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POETI ITALIANI SULLA GUERRA

(Repertorio Galileo Chini)

POETI ITALIANI SULLA GUERRA

Alessandro Agostinelli, Mario Baudino, Alberto Bertoni, Enrico D’Angelo, Patrizia Fazzi, Alessandro Fo, Gianfranco Jacobellis, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Roberto Pacifico, Paola Parolin, Susanna Piano, Umberto Piersanti, Patrizia Riscica, Paolo Ruffilli, Giovanni Sato, Lilia Slomp, Antonio Spagnuolo, Claudia Manuela Turco

Alessandro Agostinelli
1915
tu soldato d’ambra
di prime e seconde
gioventù mondiali
che dedichi la vita
alla disciplina
e non tradisci mai,
tu giaci sepolto
povero diavolaccio
– molotov o bazooka –
sotto l’albero del tasso
tra le sue umettature velenose
delle foglie cadenti.
guerra di sempre e di poi
ti conduce lì
sotto l’albero del tasso
tu soldato d’ambra
pedone di grigia carne.

Mario Baudino
CACCIATORI
I cacciatori a volte urlano tutti insieme di notte
o mandano una scolta, un solo
esploratore nel cavo di una mano
che nuota nel nostro cuscino come
fra le nuvole l’aeroplano
Noi annusiamo il vento, chiudiamo
le porte, sigilliamo i bambini
i cani fuori strillano e guardano in casa
spegni la luce, taci, rinforza omnia
moenia dice la mosca che ronza sollecita
come una zia che ti riempia di baci
che ti curi l’insonnia
Mi chiedi se ho visto anche altro
Mi chiedo se sia il caso di rispondere

Alberto Bertoni
SIBERIA
Oblio, testa dormiente
e va bene
ma la Siberia è un magnete
che vuole per sé, fauci protese
Il velivolo intero, con le sue
vite sospese,
padrona più semplicemente
della guerra che non può
essere seme

Algido cammeo miniato
su una piana di pietre
alternate a interminabili foreste
di verdi di bianchi
e poi subito di altri
verdi ma più chiari
tagli dei corpi calcinati
o sbriciolati, che trattiene

Enrico D’Angelo
TRE SOLDATI
da un quadro di Michail Larionov
In una stanza due soldati un sacco portano
distante ognuno per il timore che possa l’altro
per primo cedere in lontananza la vicinanza.
Dietro i vetri d’una finestra, le pupille
vagando, all’interno la schiena dando,
un terzo soldato in divisa, ben oltre diviso
dal suo tacere, sospende sé. Io credo ch’egli
imploso preghi commosso l’impensato forse.

Patrizia Fazzi
PER I BIMBI FERITI IN GUERRA
Occhi di bimbi feriti, sguardi persi
nella domanda arresa,
senza una carezza
che dia luce al buio che benda la pupilla,

innocenza tradita da adulti
troppo di sé sicuri,
tenera carne violata
mai troppo guarita,

teste di angeli pronti al volo della vita
macchiati invece nelle ali
da sangue dall’odio scaturito,

occhi di bimbi che imparano la guerra
non come gioco di cortile
con spade di legno improvvisate,

quanto amore negato,
quanto riso represso
vorrei vi inondasse dalle mie poche parole

e vi portasse una farfalla di speranza,

uno spicchio di cielo terso a cui mirare,

anche dalla ferita che oggi
nulla può giustificare.

Alessandro Fo
FILO SPINATO
Nonno Felice, quando sono nato,
veleggiava verso i sessant’anni
così nel mio ricordo è sempre «anziano».

Poi sfoglio un album, lo ritrovo giovane
in certe foto come capostazione
coi tre figli bambini.

Più indietro, c’è una foto del ’28
l’anno in cui nacque anche Fulvio, mio padre,
dopo dieci anni dalla Grande Guerra
che il nonno raccontava
a noi nipoti in vacanza a Luino.
Eventi troppo grandi
al cuore di un bambino,
confusi con i film, le fantasie
dei nostri finti giochi di soldato…

Tanto che poi abbiamo tutto scordato.

Tranne una storia, che è lì nella mia mente
(senza riscontri; me lo sarò sognato?)
Dopo un assalto, rientrava di fretta,
ma al momento del salto, sotto i colpi
restò impigliato in un reticolato.
Bestemmiando contro i numi avversi
disimpegnava in affanno la ghetta,
quando una bomba gli sorvolò la testa,
finì in trincea al suo posto, e uccise tutti.

Senza quel filo, a cui noi siamo appesi,
niente Bianca, né Dario, né Fulvio,
né noi nipoti, né il premio Nobèl,

(né questa nebbia di ricordi in versi).

Gianfranco Jacobellis
DESIDERIO DI CONQUISTA
Da uno stralcio
di memoria
della fanciullezza
traggo il ricordo
del suono ostile
del cannone
la fiamma
dopo l’esplosione
e poi il silenzio
Ricordo un filo spinato
insanguinato
come ogni confine
che accresce
il desiderio di conquista
metafora
della vita ingiusta

Vivian Lamarque
CONTAGIOSA MORTE
Guardali i prematuri morti
– pallidi come prematuri
nati – varcano la soglia
del nuovo regno, impreparati.
Di già la vita eterna? ma dove?
da che parte? Polvere bianca
tutti li ricopre. O sono loro, quella?
Loro quei granelli là? Alto
il loro numero più dell’alto dei cieli
perché come peste è contagiosa
la morte per guerra.

Valerio Magrelli
DA UN PIANETA REMOTO
La guerra è il contrario della legge.
Non fatevi ingannare dal rigore militare:
è solo il grimaldello per scassinare la civiltà.
La guerra sospende ogni punizione:
puoi uccidere, rubare, violentare,
saltare una fila, andare contromano
o passare col rosso senza che mai nessuno te lo vieti.
La guerra è l’assoluta Libertà: l’Io ha cancellato l’Altro.
La guerra è l’Io assoluto, il sogno di Sade e Caino.

Quanto a noi, che veniamo da un pianeta remoto,
veneriamo la Pace come la punizione del violento
e la difesa del debole, la pace come sistema di limiti
invalicabili.
Non abbiamo nessuna compassione per il colpevole,
che invece voi terrestri amate al punto da averne fatto
un martire: abbiamo solo un’infinita pena per le sue vittime.
Questo per dire quanto siamo diversi da voi, creature
sublunari, seguaci della guerra, di Caino e di Sade.

Roberto Pacifico
RIPENSANDO ALL’ENEIDE, LIBRO II
D’un tratto una cometa illuminò
il cielo: allora capimmo che il fuoco
e la violenza dei Greci fra poco
avrebbero vinto. Il padre fissò

quel bagliore in alto e l’altro bagliore
bruciante d’urla: un uguale volere,
allora ignoto, dietro all’accadere
d’un crollo e d’un prodigio; quell’ardore

di stella ci indirizzò alla salvezza;
ma quella notte persi anche Creùsa
che si smarrì nella fuga confusa.
Non vidi (né potevo) la chiarezza

del Fato: come potevo pensare
che un’altra patria, un’altra moglie il Fato
prevedeva? Quella notte franare
sentii in me tutto senza lei a lato.

Paola Parolin
PAROLE E PIETRE
un palazzo borghese tardo ottocento
e una famiglia
traspariva la luce dietro le tende
modesti arredi sul balcone
con il vento lì si appoggiava il tricolore di vicini patrioti
negli anni un lento declinare
luce arredi tricolore
le familiari parole si tramutavano in pietre
qui visse
qui scrisse
da qui parlò
epiche vicende tragiche gloriose
pietre della città
radici testimoni di serena riconoscenza
non per uno soltanto per tutti memoria
pietre divenute patrie parole
poi una voragine dietro l’angolo
senza contorno senza fondo cumulo di macerie
irriconoscibili manufatti stracci sangue nero
nel disegno di quella mano armata l’azzerare della memoria
dei vivi
dei morti
delle patrie pietre
erose a mute parole
il cuore straripa la sua pena
dure pietre in questa veggenza renderò le mie parole

Susanna Piano
PRELUDIO DI GUERRA
dal travaglio epocale
nascono i figli della paura:
piccoli disseminati terrori
accesi sul vuoto
a sfaldare i nostri passi occidentali
dove il buio abbaglia
più della luce

Umberto Piersanti
FEBBRAIO 1941
forse nevicava quel giorno
come adesso,
stroncava i gialli,
impazienti favagelli
e nevicava forte nei Balcani
dove il padre soldato
nel suo lungo cappotto si rannicchia,
autarchico e gelato,
gelata la discesa
giù per il Monte,
lì passa la tua lettiga
madre,
in quattro la sorreggono
per l’ospedale

tu scalci,
hai fretta
d’uscire in mezzo al gelo,
sai che la vita
è oltre quel tepore,
altro non sai
e altro non ricordi,
inquieto come i favagelli
che la neve cela
dentro il bianco

e la sorella grande
col gelo della sciarpe
e sulla bocca
segue quella lettiga
all’ ospedale,
l’altra prepara
la minestra con dentro
il pane,
la famiglia è di cinque
il numero più giusto,
la madre
ed anche il padre
hanno quei nomi immensi (*)
del Vangelo

dalla bianca pineta
i corvi neri
scendono alle torri
che il bianco cerchia,
un aereo vola
così lontano,
lontano com’è ancora
la guerra in quelle ore

scende un soldato piano
dalle Cesane,
ha governato le bestie
la sera prima
e quell’acqua l’attende
sconfinata – appena
s’intravede e fa paura –
dove la morte piomba
da sopra o dal fondo,
e sabbia e fuoco
sono là
se arriva

tu non sai
le vicende e le figure,
solo suoni e colori,
non li ricordi,
solo suoni e colori,
non sai se madre
s’appresta a consolarti
dell’esser nato
o se la vita saluti
e bevi a sorsi lunghi
dopo quel limbo caldo,
ma vicino,
così vicino
al Vuoto che tutto
precede

e nella stessa ora
l’altra sorella
libera dalla neve
un favagello

(*)Il nome di mia madre è Maria, il nome di mio padre è Giuseppe

Patrizia Riscica
LA DOMANDA DEL DOLORE
il dolore onnipresente e impotente
scava tra macerie corrotte
ostinato e rassegnato poco gli importa
della filosofia di Eraclito e che Polemos
è padre di tutte le cose e …tutto accade secondo contesa e necessità
questa forzata appartenenza non lo rende certo più lieve
il dolore continua il suo sudicio lavoro
fruga tra il fetore dei fumi dove
spuntano resti inutili – brandelli di vita umana –
piccoli ritagli di distruzione di umane costruzioni
infine trova un frammento di cuore da cui
sgorgano lente lacrime di sangue che si disperdono in mare
– molecole invisibili che bagnano tutte le terre del mondo –

quando un giorno uno sguardo consapevole
oltrepasserà lo smisurato del mare
la domanda del dolore abbandonata sulla riva dall’onda
– rifiuto non riciclabile –
troverà forse un’ignota risposta

Paolo Ruffilli
VIOLENZA
La violenza che gonfia e scoppia fuori
saltata via la crosta, la potenza mortale
di aguzzini e stupratori in versione
pressoché normale, con le mani affondate
nel sangue di una vittima ogni volta
rinnovata e lo scempio, poi, della carne
martoriata: agnello di una propria
colpa originale, la ferita a tutto tondo con su
marcata l’intenzione di farne l’ostensione.
Il coltello del cupo sacrificio rituale
nei profani scannatoi di questo mondo.

Giovanni Sato
POICHÉ LA MIA SABBIA SCENDE
“Poiché la mia sabbia scende”
– Thomas Hardy –
ed il velo che ci conduce è primo:
nulla dalla clessidra se non granelli:

questo è dunque il tempo?
E se non fosse così,
che Orione
girato dall’altra parte
sempre più scompaia
verso la fine degli orizzonti.

E se non fosse che Cronos?
E se Kairos
il propizio del cuore
non fosse visto
dalle dune scomposte dal vento.

E se il vociare
delle genti incuranti
della guerra che uccide i bambini
e mangia alla mensa senza curarsi
di chi non ha nemmeno il pane?

“Poiché la mia sabbia scende”
sulla disperazione e sul pianto
e sulla mancanza e sul buio
dove sprofonda l’Uomo.

Ricucire il bosco,
piantare germogli d’albero,
fuggire dalle parole
dette per niente,
tanto la morte al bivio
non ha né remore né pietà alcuna.

Questo è Cronos
e ineguale senza giustizia
scende il granello
minimo delle ingiuste fini,
degli ingiusti scopi,
delle ingiuste pene,
degli sconsolati addii.

E “poiché la mia sabbia scende”
lascio che le redini
siano prese da altri,
tanto per me basta
un granello al giorno

e chi ha il Male si arrangi.

Lilia Slomp
EN BRAZ AL VÈNT
Come rose se sfòia le parole
spontezade sul fòli de la nòt
en prà segà da quela falz de luna
presonéra de bruma dentro ’l ziél.
En ziél de vènt, ancór senza confini
en prà che forsi l’è l’eternità.
E noi sen quela s’cianta de lumini
sen noi, en processión, la nòssa falz
la mort che a ogni pass ciama na guera.
Entant fioris parole al fil spinà
squasi poesie che no le serve a gnènt.
Nissùn capìs la rabia smarimént
i lampi de la falz al prà segà
quel che è zà stà che ziga disperà
en ritornel che mòre en braz al vènt.

Antonio Spagnuolo
CONFLITTI
Anche le illusioni hanno nel cielo
riflessi di un argento a lungo raggio
per un conflitto che sorprende il fiato.
Non c’è spazio che freme nel boato
ed infrange vocali sussurrate
alle arterie indiscrete del nemico,
oscillando tra un mitra ed il plasma.
Troppe stagioni hanno il tempo
del fragore e del fuoco, senza un come!
Incursioni incise agli inganni dell’agguato
per distruggere ogni traccia dell’amore,
nel profondo richiamo della caccia da lupi.
Volteggia incandescente la rabbia
di una selvaggia colomba impaurita
mentre la guerra ripete la sua nebbia.

Claudia Manuela Turco
LA GRANDEZZA DI UNA NAZIONE
una patria che ricompensava i reduci con misere pensioni
e qualche medaglia e mandava al macello le truppe ausiliarie
non più utili per la guerra
                                                  Margherita Hack
Scolpiti nella mente e nell’anima della donna,
The Brown Dog e The Horse Memorial
di Joseph Whitehead:

la grandezza di una nazione
non sta nel fare più figli,
oppure nell’annettere nuovi territori,
bensì nel proteggere la vita che già esiste.

Porgendogli un secchio d’acqua,
che l’uomo si inginocchi dinanzi al cavallo.

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