Nato a Roma nel 1957, Valerio Magrelli ha pubblicato le raccolte di versi: Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980), Nature e venature (Mondadori, 1987), Esercizi di tiptologia (Mondadori, 1992), riunite nel volume intitolato Poesie e altre poesie (Einaudi, 1996), Didascalie per la lettura di un giornale (Einaudi, 1999), Disturbi del sistema binario (Einaudi, 2006), Il sangue amaro (Einaudi, 2014). Docente di letteratura francese, collabora a quotidiani e riviste. Ha diretto per le edizioni Einaudi la serie trilingue della collana “Scrittori tradotti da scrittori”. In prosa, ha pubblicato: Nel condominio di carne (Einaudi, 2003), La vicevita. Treni e viaggi in treno (Laterza, 2009), Addio al calcio. Novanta racconti da un minuto (Einaudi, 2010), Geologia di un padre (Einaudi, 2013). Tra i suoi lavori critici, lo studio Profilo del Dada (Lucarini 1990), e la monografia La casa del pensiero. Introduzione all’opera di Joseph Joubert (Pacini 1995), Vedersi vedersi: modelli e circuiti visivi nell’opera di Paul Valéry (Einaudi, 2002), Magica e velenosa. Roma nel racconto degli scrittori stranieri (Laterza, 2010).

valerio.magrelli@gmail.com

 

POESIE

da ESERCIZI DI TIPTOLOGIA

“Che la materia”
Che la materia provochi il contagio
se toccata nelle sue fibre ultime
recisa come il vitello dalla madre
come il maiale dal proprio cuore
stridendo nel vedere le sue membra strappate;

Che tale schianto generi
la stessa energia che divampa
quando la società si lacera, sacro velo del tempio
e la testa del re cade spiccata dal corpo dello stato
affinché il taumaturgo diventi la ferita;

Che l’abbraccio del focolare sia radiazione
rogo della natura che si disgrega
inerme davanti al sorriso degli astanti
per offrire un lievissimo aumento
della temperatura ambientale;

Che la forma di ogni produzione
implichi effrazione, scissione, un addio
e la storia sia l’atto del combùrere
e la Terra una tenera catasta di legname
messa a asciugare al sole,

è incredibile, no?

Parlano
C’è intorno una tale quiete che quasi si può udire

il tintinnare di un cucchiaino che cade in Finlandia
(I. Brodskij)

Ma perché sempre dietro la mia parete?
Sempre dietro, le voci, sempre
quando scende la notte iniziano
a parlare, latrano o addirittura credono
che sussurrare sia meglio. Mentre mi sento
questo filo d’aria fredda delle loro parole
che mi gela, che mi lega
e mi tormenta nel sonno.
Sempre dietro la mia parete. Ero
ai confini del circolo polare, e anche laggiù
una coppia piangeva nella sua stanza
oltre un muro trasparente, piangeva,
luminoso, tenero come la membrana
di un timpano, e io stavo lì vibrando
facevo da cassa armonica
alla loro storia. Fino a che, a casa mia,
hanno rifatto il tetto, le tubature,
la facciata, tutto, e battevano
ovunque, sopra, sotto, e battevano sempre
chiacchierando tra loro solo quando dormivo,
solo perché dormivo,
solo perché facessi da cassa armonica
alle loro storie.

Sul nome di un’utilitaria della D.D.R.
che in tedesco significa satellite
Satelliti di un sistema solare che si disfa,
di un nucleo che decade, libera particelle
e perde le sue perle dai fili di orbitali, chicchi
di un ticchettìo che grandinando
brillano sugli asfalti occidentali,
TRABANT rosa, beige, verde
pastello, carrozzine due tempi, tintinnanti
trabiccoli azzurrini, trine tremule,
TRABIS, patrie portatili, gingilli
di una classe fossile e stilizzata,
scatolette di latta in cui si accalca
una trepida, dolce borghesia comunista, reperti
minerali, auto di Topolino
che fuggite dal vostro pifferaio assassino,

ben arrivati ad Hameln, B.R.D. !

L’abbraccio
Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.

Porta Westfalica
Una giornata di nuvole, a Minden,
su un taxi che mi porta
in cerca di queste due parole.
Chiedo in giro e nessuno sa
cosa indichino – esattamente, dico –
che luogo sia, dove, se una fortezza
o una chiusa. Eppure il nome brilla
sulla carta geografica, un barbaglio,
nel fitto groviglio consonantico, che lancia
brevi vocali luminose, come l’arma
di un uomo in agguato nel bosco.
Si tradisce, e io vengo a cercarlo.
Il panorama op-art si squaderna tra alberi
e acque, mentre i cartelli indicano ora
una torre di Bismark, ora il mausoleo di Guglielmo,
la statua con la gamba sinistra istoriata
dalla scritta: “Manuel war da”,
incisa forse con le chiavi di casa, tenue
filo dorato sul verde del bronzo,
linea sinuosa della firma, fiume
tra fiumi. Lascio la macchina, inizio a camminare.
Foglie morte, una luce mobile, l’aria gelata,
la fitta di una storta alla caviglia,
io, trottola che prilla, io,
vite che si svita. Nient’altro.
Eppure qui sta il segno, qui
si strozza la terra,
qui sta il by-pass, il muro
di una Berlino idrica in mezzo
a falde freatiche, bacini artificiali,
e la pace e la guerra e la lingua latina.
Niente. E mentre giro nella foresta penso
all’autista che attende perplesso,
all’autista che attende perplesso
e ne approfitta per lavare i vetri
mentre nel suo brusìo
sotto il cruscotto scorre sussurrando
il fiume del tassametro, l’elica del denaro,
diga, condotto, sbocco, chiusa dischiusa, aorta,
emorragia del tempo e valvola mitralica,
Porta Westafalica della vita mia.

A capo
Andiamo nella neve fresca
adesso,
adesso scivoliamo ma
curvare
in questa nuvola di luce e d’aria
fresca
ma curvare è difficile
curvare.

S. Eustorgio
a Antonio Porta
Ora non ricordo il nome della chiesa
ma so che dava su una distesa,
un prato rovinato, e sotto,
diramandosi fino sotto il prato,
stava la cripta. Diramandosi,
l’albero di Jeffe o l’ostensorio,
un mozzo sepolto, araldico,
radiante (se “radiante” è il punto
della volta celeste da cui sembrano
divergere le traiettorie tracciate
dagli sciami di stelle cadenti).
Sostavamo parlando accanto all’asse
di quella cripta, cripto-perno
di un organo rotante.
Perché questa è la città,
sciame di stelle cadenti,
alveare astronomico.
“Si dovrebbe sempre partire da qui”,
mi spiegava.

Treno-cometa
Treno-cometa
fiammifero stregato, ferro
sfregato contro le rotaie,
freno tirato e attrito,
treno-freno che strazia
e stride nella notte.
Venivo avanti con le ruote bloccate
le vertebre contratte
le parole-trattino
e dal mio sforzo veniva
un calore e un colore
e un odore di carne strinata:
scintille, una pioggia di lingue
focaie nella notte.
Ah vagoni frenati, ah parole-trattino
io fricativo, ritratto dell’attrito.

Lezione di metrica
Un pettine d’acciaio fila
le note, sfila
una musica dolce di zucchero
filato. Come un incantatore
di serpenti incantato
mi ipnotizza la lingua
del suono che si srotola
mentre i denti di ferro,
il rosario di uncini,
strappano questa carne
da scortico, e sbranato
sta il cuore di chi ascolta.
Qui suonano il mio cuore!
Vezzo e lezzo. Rotto l’involucro
con la ballerina, il carillon si arresta
perché il cattivo gusto
è il suo buon guscio armonico,
l’astuccio per la perla
matta della leziosità. Notte.
Il violino di Frankenstein mi chiama.
E io sono quel mostro musicale
condannato alla ruota musicale
della sua musicale nostalgia.

“Ero su un letto di ambulatorio”
Ero su un letto di ambulatorio,
nascosto dietro un paravento.
“Antigone”, “Sì”, “Sei qui?”, “Sì, qui”.
Le vertebre, le vertebre.
E iniziano a discorrere tra loro,
due vecchi, due voci di vecchi.
Perché una voce invecchia,
anche nel suono sta l’osso del tempo
anche nel fiato. Soffiavano, e c’era
dentro un’eco di se stessa,
un’eco che precedeva la pronuncia.
Qualcosa di scassato, il midollo
sfilato dalla spina dorsale e
sguainato come una spada luccicante
voce-carcassa
vertebra della voce.

A te Dna della poesia
Ella sen va notando lenta lenta:
rota e discende ma non me n’accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta

A te Dna della poesia
elica e elastico
avviticchiati a forza
a malincuore treccia
attorcigliata torte e ritorte
rime
di un aereo giocattolo
che appena liberate
frullano via nei secoli
verso il futuro della lingua madre.

L’imballatore
“Cos’è la traduzione? Su un vassoio

la testa pallida e fiammante d’un poeta”
(V.Nabokov)

L’imballatore chino
che mi svuota la stanza
fa il mio stesso lavoro.
Anch’io faccio cambiare casa
alle parole, alle parole
che non sono mie,
e metto mano a ciò
che non conosco senza capire
cosa sto spostando.
Sto spostando me stesso
traducendo il passato in un presente
che viaggia sigillato
racchiuso dentro pagine
o dentro casse con la scritta
“Fragile” di cui ignoro l’interno.
E’ questo il futuro, la spola, il traslato,
il tempo manovale e citeriore,
trasferimento e tropo,
la ditta di trasloco.

Guillaume Colletet (dall’elegia “Contre la Traduction”)
Son stufo di servire, basta con l’imitare,
Le versioni sviliscono chi è in grado di inventare:
Sono più innamorato di un Verso che ho prodotto
Che di tutti quei Libri in prosa che ho tradotto.
Seguire passo passo l’Autore come schiavi,
Cercare soluzioni senza averne le chiavi,
Distillarsi lo Spirito senza capo né coda,
Far di un vecchio Latino un Francese alla moda,
Spulciare ogni parola come fossi un Grammatico
(Questa funziona bene, quella ha un suono antipatico),
Dare a un senso confuso uno sviluppo piano,
Unire a ciò che serve tutto un linguaggio vano,
Parlare con prontezza di quello che più ignori,
I Dotti, dei tuoi sbagli, rendere spettatori,
E seguendo un capriccio spinto fino all’eccesso
Capire chi neppure si capì da se stesso:
Ormai, questo lavoro mi ha talmente stancato
Che ne ho il corpo sfinito, lo spirito spossato.

da POESIE E ALTRE POESIE

Ecce Video
In memoriam E. H.

ritrovato nel suo appartamento
nove mesi dopo il decesso
seduto davanti alla tv

I.
Morì fissando il suo Televisore
la sfera di cristallo del presente,
guardava il Niente e ne vedeva il cuore,
cercava il Cuore e non vedeva niente.

Chi sfidò il lezzo del buio malfermo
si accorse che veniva dall’Illeso,
non dal Morto, ma dal Morente Schermo,
non dal Corpo, bensì dal Video acceso.

Carogna divorata dagli insetti,
Il Monitor frinisce e brilla breve
senza più palinsesti e albaparietti.

La Sua vita larvale svanì lieve
(goal, quiz, clip, news, spot, film, blob, flash, scoop, E.T.),
circonfusa di niente, effetto neve.

II.
Per interposta decomposizione
(Transfert, Pasqua del Video, Eucarestia)
la parodia della Resurrezione
ebbe la forma di Tele-patia.

Fu una morte mimetica, vicaria,
e l’animula vagula, farfalla
luminosa del pixel, volò in aria,
blandula bolla che ritorna a galla.

Quale anima risale verso il cielo?
Se la merce, marcito status symbol,
si fa carne corrotta, rotto il velo

l’Immagine si muta in cirro, nimbo,
diventa puro spolverio, sfacelo,
onda di impulsi e interferenze, Limbo.

Lettera sull’invasione dei dinosauri
Quali linee ci uniscono a questo Walhalla zoomorfo
che attraversa le ere per sbocciare tra i giochi dei bambini,
con i suoi eroi prostrati, abnormi, corazzati da coltri
epiteliali, propaggini ortopediche, appendici caudali?
Bestie, ma nulla di bestiale resta
negli occhi dove passa disarmata la pena
di una specie destinata all’estinzione.
Il grande silenzio del sangue
pesa su questi orfani del futuro
e li fa tristi animali da congedo,
belve della malinconia, creature agoniche.
Dietro la loro fissità di totem
la goccia nera dello sguardo reca
una stremata dolcezza liminare,
una passiva potenza inesplicata,
una violenza senza genealogia.
E dunque non ruggire, Tyrannosaurus Rex, ma lascia,
fra il pietrame della corteccia cerebrale,
sul ticchettante châssis della gabbia toracica,
dall’albero frondoso e ventilato del tuo sistema nervoso centrale,
lascia brillare inerme la pupilla
lontana e irrevocata dell’infanzia.

Diffamazioni
A Pierpaolo Pasolini
Avebbe minacciato un benzinaio
Con la pistola carica
di un proiettile d’oro.
Cineasta e poeta, orafo e orco!
Ma cosa contestare a quest’accusa,
l’arma o la sua pallottola?
Cosa rivendicare,
Santa Romana Chiesa o l’usignolo?
Quel colpo mai sparato
traversa la sua opera
piegandola ad un duplice ossimòro,
fantastico fantasma
di violenza e pietà,
di sangue e alloro.

da DIDASCALIE PER LA LETTURA DI UN GIORNALE

Codice a barre
Onoriamo l’altissimo vessillo
che sventola sul regno della cosa
l’anima crittografica del prezzo
rosa del nome e nome della rosa
mazzo di steli, fascio
di tendini e di vene
– polso
per auscultare
il battito del soldo.

Cronache
Quanto vasta è la nostra
capacità di perire. E varia.
Il talento di soccombere
ai grandi deragliamenti in Cocincina
e insieme l’arte di spegnersi
durante i terremoti nel Cipango.
Ovunque l’ecatombe svela quanto
sia vocato alla morte l’uomo-faglia,
la zigzagante linea di
frattura
fra tecnica e natura.

Costume
Ritorna lo yo-yo,
l’orbitante, l’astrale,
con il ron-ron dell’ape
in volo attorno al favo
di una mano, Fort-da,
ossia conoscenza
come miele della prossimità,
un sapere che accoglie il “questo e quello”
scongiurando l’aut-aut nel ronzare
del ciclo, fiamma
che viene e va
legata a un dito.

Giochi:
Cruciverba
Quale lutto accompagna le lettere
tra una parola e l’altra?
O è un sospiro, quel nero, una pausa
musicale perché il flauto possa
prendere fiato? Sillaba quei nomi
ad uno ad uno, rispondi pure
alla Sibilla crociata, tessi
e ritessi la rete del tuo effato.
Ma tra le maglie,
come pescetti muti,
ritroverai quei buchi
ritroverai quei buchi.

Giochi:
Rebus
E’ un mondo senza tempo
e senza vento.
Tutto sta fermo
e faticosamente significa.
Enorme è la fatica del significare
in questo cantiere del senso.
Ogni parola è una massicciata
di lettere e figure.
Tutto pesa.

Annunci immobiliari
Affittasi villino sopra la ferrovia
con tavernetta adiacente
il capolinea dei bus
e salotto limitrofo al metrò.
Povere case abitate dal rumore
dove famiglie piccole e isolate
si stringono – uccelletti sopra i cavi
dell’alta tensione. L’alta
tensione del censo
e delle classi, l’alta
tensione del denaro,
quella scossa invisibile
che divide le vacche
nei campi, e voi da noi.
Non toccare la corrente che ti scivola accanto,
lasciala sospirare mentre romba
via sui tralicci
nel suo cupreo fiume
intrecciato.

Programmi Tv
Brilla il vapore
iridescente dei pixel
per fare arcobaleno
sulla cascata di immagini.
E’ la fontana della giovinezza,
questo pozzo catodico?
E’ la fontana dell’identità,
da dove si esce uguali
a quando si era entrati,
uguali, ossia peggiori
perché un poco invecchiati.

Medicina:
Innestati nelle fragole alcuni frammenti di Dna delle lucciole
Questo barbaglio nelle siepi notturne
è la nostra risposta biogenetica
al roveto ardente.
Non più specie o famiglie,
solo la solitudine di chi, ibrido,
scivola via da un corpo all’altro,
fiamma senza contorno
che già divora il bosco delle forme.

Posta dei lettori:
Nuovi incontri
D’improvviso ho visto un colibrì, anzi
l’ho udito frullare fra i rami
di un cespuglio che stavo scostando.
Per meglio dire, ho avvertito il suo brivido,
simile a quello dei centomila volts
che sibilano sui cavi, da traliccio a traliccio,
nelle nostre campagne – uccellini di pura energia.
E questo punto puro era lo stesso
che vortica recluso
negli acceleratori di particelle,
lungo le cieche nozze di un circuito sotterraneo.
O forse il matrimonio
è la struttura che conserva la forza
affidandola a un percorso anulare,
mobile e ferma insieme
(un’aureola del sesso). Eppure nel ribrezzo
che provavo per la sua minacciosa libertà,
libertà di colpirmi, il colibrì stava prima,
precedeva ogni forma, era la folgore
che ancora non ha scelto il suo tracciato,
era tutti i tracciati. Potenza di insostenibile fragore
era lui la cascata che cercavo
mentre andavo spostando quei cespugli.

Un amico lontano

La nostra città:
Graffiti
Da dove sbuca questa lingua fetale,
con i suoi guizzanti caratteri
alfanumerici?
Chi parla l’interlingua-spray
dai muri, dai tram, dai citofoni?
Cosa cerca di dire
questa citofonata lingua
che dal basso chiama?

Fotografia
E’ che lo scatto recide l’ombelico
della luce. Recide, quella forbice,
il filamento lento e lungo dello
sguardo, budello
del nutrimento, separa
perché l’immagine
venga al mondo dividendosi
dalla madre.
E quella pupa d’ombra,
quel bozzolo, è la cesta
lasciata a galleggiare sulle acque
per mettere in salvo la forma.

L’angolo del bambino:
Ninna nanna del Gobi
Soffia il deserto sul Celeste Impero
l’Imperatore della Cina ha freddo.

Per riscaldarlo i sudditi gli donano
una sciarpa lunghissima
di pietra.

Se quel regalo non gli servirà
ad arginare il vento della steppa,
almeno sarà un segno della Terra,
l’unico che si scorge dalla Luna.

La poesia
Le poesie vanno sempre rilette,
lette, rilette, lette, messe in carica;
ogni lettura compie la ricarica,
sono apparecchi per caricare senso;
e il senso vi si accumula, ronzio
di particelle in attesa,
sospiri trattenuti, ticchettii,
da dentro il cavallo di Troia.

Saldi
Quei pantaloni offerti
a diciannove e nove
in un azzurro elettrico,
quei calzettoni di tessuto sintetico
nei quali la corrente guizza via
come in un corpo ad alta conduzione:
l’impuro della casta
imperscrutabilmente regna
su questi sudari di terital,
messi in liquidazione
fino a sabato prossimo.

[Envoi]
Dormi ma senti frinire
remote
le rotative
rotanti nell’oscurità
per dare forma
all’aldiquà.