Paola Parolin (1952) è nata e vive a Verona dove lavora come medico. Scrive poesia dagli anni ’90. Ha pubblicato nel 2003 la raccolta in versi Interni Esterni Interni, nel 2007, con altri due autori, la raccolta poetica Trittico della sera di carta (Cierre Grafica), nel 2011 il libro di poesie Parola Corale (Anterem Edizioni, collana via Heràkleia), con prefazione di Giò Ferri, nel 2018 il libro di poesie E uscire alfine (Anterem Edizioni, collana via Heràkleia) con postfazione di Rosa Pierno. Dal 2006 al 2018 è stata segnalata più volte al Premio Lorenzo Montano. Del 2024 è la pubblicazione dell’ultima raccolta poetica Necessità e grazia (Arcipelago Itaca, collana Mari Interni) con prefazione di Andrea Afribo, raccolta entrata nella selezione dei finalisti al Premio Elio Pagliarani 2020 e premio speciale della giuria al Concorso Bologna in lettere 2021. È cofondatrice dell’associazione culturale Spazio cordis, attiva dal 2018 a Verona, che si prefigge di valorizzare e supportare il lavoro di giovani artisti di arte visiva contemporanea italiana e internazionale, presentando mostre monografiche.

parolin.paola@yahoo.it

 

 

POESIE

da PAROLA CORALE

*
lì mi rispecchio
un luogo
ove sostare
rinominare

guardare
alla luce
in altro luogo
io diserto
nel buio
nella mia casa
io deserto

*
non si accontentano
del parlare della sera
quando si rarefanno i contorni
così da raccattare briciole
soli
a camuffare
seduti
l’uno di fianco all’altro
a guardare
l’ombra rimasta

*
navigare a vista
oltre la nebbia
la barca è un guscio di noce
pazientemente ricucito
è passato il testimone
a una sarta più giovane

*
eludono lingue mentitrici
la grande domanda
sospesa al capretto sacrificato
il cielo è asciutto
e teso
un gatto in solida ombra

un’altra Pasqua del Signore

*
dietro cose
tante
tutto era compiuto
un errore
un dolore
una cicatrice
attraverso gli anni
così nella radice
senza redenzione
se non negando quel che era stato
così forte
così inutile

*
di tendenza
senza evidenza
sì il bello
il giocoso
il leggero
la rivalsa sul non potere
poter potere
accordare l’umore
penetrare il colore
non importa piacere

sognare

un cenno gli occhi socchiusi
sul crinale della guarigione
entra
trasparente esce
per altre vie
a buttare il sacco
a dare corpo all’ombra

da E USCIRE ALFINE

*
quanto di tanto conosciuto fidato sentire amicale se non amoroso
al ricordo icona di cavaliere su stele marmorea in appartato luogo
oppure in spazio vitale aperto alle folle uno solo tradito e per tutti
un’ombra scura cappa di malinconia i passi futuri a ricordare come
chi segue rivive del fatto incompiuto come il tradito ricostruisce
ogni giorno il cammino

*
si deve lasciare la mano si stacca dal cuore si segue estraniati la
via nel caos del mattino inoltrato esistenza genetica non partorita
capace di scelte lontane radici perdute nei giochi infantili fissate in
seppia per sempre e il piccolo quadro soffio vitale di luce e di
acqua a placare il fondo inesausto in strettissimo filo come un velo
di morte un sudario di sposa

*
in una dimensione sferica
si incontrerebbero tutti
– visi ad occupare lo spazio –
dimenticando la sequenza dei giorni
atmosfere corrosive hanno sottratto colore
fantasmi di forme felici
dove era il tempo
una malinconia concreta di niente
si appesantisce come cappa

*
un po’ dolore un po’ rancore il cuore inchiodato a un pensiero fisso
crocefisso narciso che cade disastro incombente passione sopita
comunicazione interrotta dov’è lo spiraglio un occhio abbassato un
mesto sorriso – vero viso vero nudo – giù la testa via la superbia
un modo di dire ho sbagliato e di nuovo il sorriso nell’incerto
mattino lusinghiero allegretto

*
dal coro
le voci
un’eco
nello spazio – sequenza –

parlano
oggetti angeli rosa turrite città
trasparenti fonemi da triplici segni
– e unico sentire –

per quanto sono parola
leggerezza spogliata
isolata un poco
dissociata
fuori dal modo

*
ha portato questa bellezza silenziosa il giorno di gelo la notte compassionevole precede e segue la battaglia spezzate le voci degli uomini ha insegnato a meditare il silenzio una verità la radice di questa bellezza in un pensiero logico o forse di fede

*
cristallizza pietoso
e prepotente il legame
nei legni
nei marmi perfetti
nei materiali informi
la passione inonda quella relazione
oltre la forma
oltre l’idea
forte paziente
è la natura madrefiglio

*
il nulla dei giorni a venire all’improvviso voi mortificati di nuovo
imparare per rimandi in immagini moltiplicate dal tempo evoluta
creazione i risorgenti sulle strade di Darwin disconoscono il diritto
del sangue e del suolo e camminano sulle tracce dei fratelli minori

*
parole appena comprensibili affiorano sulla superficie carsica esonda la stanza la casa il giardino e oltre le radici si allargano come cerchi sull’acqua la città – una e molteplice – vive instabile fra prossimità e distanza sciame di insetti si apre al nuovo lo ingloba corre avanti down-town di ogni nucleo qualcuno rimane ai margini – l’accadimento è corale – ma la traccia è in ognuna delle sue storie cresce la città in altezza disegnando profili su di un orizzonte opaco si estende in periferia misura la profondità fra egoismo ed eroismo la città lì sono le pietre e le patrie parole

*
– insegnami il segreto –
tu immutabile
stabile
fragile
e forte
ambivalente
potente
inesauribile
madrepadre
comune destino

*
fu sera
e fu mattina nel racconto
poi che le cose furono create
multiformi vite
insieme con occhi diversi
le danze del convito un simulacro
pure si va con piede leggero
uno accanto all’altro
in disegno complicato
cercando il nucleo di quella fede