Umberto Piersanti è nato nel 1941 a Urbino, dove vive. Ha pubblicato i libri di poesia: La breve stagione (Ad libitum, 1967); Il tempo differente, (Sciascia, 1974), L’urlo della mente (Vallecchi, 1977), Nascere nel ’40 (Shakespere e C., 1981), Passaggio di sequenza (Cappelli, 1986), I luoghi persi, (Einaudi, 1994), Nel tempo che precede (Einaudi, 2002), L’albero delle nebbie (Einaudi, 2008), Tra alberi e vicende (Archinto, 2009), Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos, 2015). Un’ antologia di sue poesie è uscita in Spagna col titolo El tiempo diferente (Los libros de la frontera, 1989) Con Fabio Doplicher ha curato l’antologia di poesia italiana Il pensiero, il corpo (Quaderni di Stilb, 1986). Ha inoltre pubblicato i romanzi: L’uomo delle Cesane (Camunia, 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio, 2001), Olimpo (Avagliano, 2006), Cupo tempo gentile (Marcos y Marcos, 2012), Anime perse (Marcos y Marcos, 2018). Ha scritto tre volumi di saggistica: L’ambigua presenza (Bulzoni, 1981 ), Poesia diffusa (con Fabio Doplicher, Shakespeare e C., 1982) e Sul limite d’ombra (Cappelli, 1989). È autore del film L’età breve (1969) e dei film-poemi: Sulle Cesane (1982), Un’altra estate (1988) e Ritorno d’autunno (1988). Tre suoi testi filmici, L’età breve, Nel dopostoria, Sulle Cesane, insieme a numerosi interventi sulla sua produzione cinematografica, sono usciti nel volume Cinema e poesia negli anni ’80, curato da Gualtiero De Santi (Cappelli, 1985). Dirige la rivista “Pelagos”.

http://www.umbertopiersanti.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Piersanti/

umberto.piersanti@gmail.com

TRANSLATIONS

POESIE

da PER TEMPI E LUOGHI

Dopo Natale
spente le luminarie
l’ultima che risplende
a fianco dello scivolo,
bassa sul mare

sei cresciuto Jacopo
dall’altro anno,
ma i giochi e lo sguardo
sono gli stessi,
figlio, il tempo non ti riguarda
il cerchio delle luci
le feste ora passate
la luna di gennaio
ch’esce più tardi

delle tronche parole
senza storia,
della corsa priva di compagni
solo ti ricompensa il tempo
fatto eterno

per noi si spengono le luci
dopo le feste,
come la neve bianca
grigia si scioglie
sull’asfalto

da I LUOGHI PERSI

L’isola
Ricordi
il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo e odoroso, scendere per i dirupi
sopra quel mare? e le capre
tenaci brucare il timo, l’enigma
dello sguardo che si posa
dovunque e sempre assente?

più non so il luogo dell’imbarco
come salimmo nel battello
quali erano le carte per il viaggio.

Scendevi alta per lo stradino polveroso
antica come le ragazze
che portarono i panni alle fontane
la tua carne era bruna come la loro.

Férmati nella radura dove il vento
ha disseccato e sparso i rosmarini
qui potremmo vederle se aspettiamo
immobili alle euforbie quando imbruna
vanno alla bella fonte degli aneti
giocano lì nell’acqua e tra le erbe
e mai s’è udito un pianto
sono felici.

Tu eri come loro, solo una volta
quando uscivi dal mare, ti sei seduta
nei gradini del tempio, un’ombra appena
trascorse di dolore nella faccia.

Seppi così che il tempo era finito
che tra li dei si vive
un giorno solo.

E riprendemmo il mare
normali rotte.

Qualcun altro s’imbarca, attende il turno
né l’isola sprofonda
come vorrei.

Lo spino bianco
Le lunghe bacche rosse splendono
intatte quando l’ottobre entra,
i cieli sono i più azzurri
dell’anno, ma freddi e brevi,
porta pace lo spino
gli agnelli bianchi brucano foglie
e frutti, dormono al ceppo

ma quando viene la bruma
nera e spessa
e scolora le bacche, cascano secche
spegne malva e falasco
fa l’acqua nera
escono allora le anime dai rami
girano come fuochi quasi spenti
ma solo chi è malvagia lascia lo spino
se c’è uno che passa
quando annotta
dovrà seguirla
e perdere la strada

Il favagello
è d’un giallo squillante, nessun fiore
l’uguaglia anche se prendi l’anno intero
copre a febbraio i greppi
verdissima è la foglia
umida sempre un poco e immacolata
quando la neve cade che ritarda
il favagello resta sotto intatto

se sta sotto la neve tre giorni sani
e viene una ragazza che lo coglie
dinnanzi alla specchiera, in un bicchiere
col gambo dentro l’acqua poi lo mette
sale nel vetro l’uomo, sale le scale
bussa alla porta
e aspetta se lei apre

da PER TEMPI E LUOGHI

Per tempi e luoghi
c’era la palma sola o a branchi radi
ma so che oltre quel cerchio essa non cresce
resta la sabbia nuda, la distesa
dove affondi la gamba, dov’è scesa
la donna corsa avanti che s’arresta
sgomenta nell’Aperto che la cerchia

il suono monocorde dell’azzurro
che s’alza nel silenzio fino al cielo
senza una striscia bianca, senza una piuma
è come questa febbre che m’appanna
poeta che conosci il deserto vasto
ci sono stato io una volta sola
come turista che si serra ai vetri
nel lungo viaggio dove è il più solo
trasale per la febbre e lo sgomento
c’era prima un villaggio calcinato
come talvolta vedi nei presepi
ma qui non scorre l’acqua, non c’è il mulino
trapassa nell’azzurro anche la terra
verde no, ma rossiccia come capra
e la viola africana gigantesca
anche lei nell’azzurro ci si staglia

è stato un lungo viaggio prima gli olivi
poi una landa con il vento freddo
e le piane di sale bianche e perfette
la febbre la portò quell’aria ghiaccia
spira lungo il gran disco che m’abbaglia
per il suo cupo caldo e la sua luce

un solo dio abita il deserto
e compone i miraggi, alza la sabbia
entra dentro la tenda pervade il sogno
del pastore di popoli e di greggi
dio dell’imperio sa che nel deserto
vince la sabbia e vince nel pianeta

ma nei miei boschi passano gli dei
stanno dentro le fonti e nelle grotte
s’accostano improvvisi nel cammino
di rado sono saggi, pronti al riso
all’ira e all’amplesso cogli umani

Cerveteri ricordo, cogli asfodeli su tumuli
rotondi, l’erba che scende, il solco di quel carro
che si perde nelle strade dei morti incontro ai vivi
e io passo con te mia bionda amica tra le rose canine,
tra fiori bianchi e quel cespuglio d’acanto
che chiude la nostra storia alle voci d’intorno

conobbero il deserto anche gli etruschi
o com’era il deserto quando d’intorno
scorrevano i ruscelli e nel palmeto
la timida cerbiatta s’addentrava
prima che arrivasse quel solo dio
che non ama l’idillio ma che parla
dai rovi o tra la sabbia o la tempesta

dentro l’ultima tenda l’etrusco vede
l’anatra colorata appesa al palo
fitti di voli i cieli di Maremma
colmi di pesci tutti i rivi chiari
porta nella sua tomba la cara vita
l’avrà fissa d’intorno per l’eterno

ad Achille pensavo, alla grande ombra mesta
nei Campi Elisi, e mi cerchiava l’erba luminosa
maggio di tutti i mesi il più gonfio e verde
meglio fare il porcaro nel caldo sole
che principe dei morti per l’Ade grigio
caddero i giovinetti nello Scamandro
e fu l’ultimo fiato di rimpianto

in un lontano autunno ero venuto
qui con Rosaria, il tempo differente
era morto per sempre ma da poco
per il nero sgomento che mi colse
io guardavo il tuo corpo grande e scuro
lo specchio che era dietro, il mare in fondo
quel tuo corpo in cui entro e mi ci stringo
il solo che mi stacchi dalla catena
i tuoi capelli sono come arbusti
che io afferro e tormento e poi odoro

ho rivisto poi la chiesa quadra
s’alza potente e chiara sulle mura
ha in faccia il mare etrusco verderame
un ceppo di giusquiamo era filtrato
dalla sua pietra bianca gode la luce

il tondo lago di Bracciano è specchio
alle selve d’intorno, tra i grandi ontani
solo un momento ti saresti distesa
per un istante solo t’avrei colta
così assoluta e tesa nel lucore
che trapassa le erbe, mescola il giallo
della prima ginestra al miele della pelle
ai capelli biondissimi che sanno di ramo nuovo
——-e foglia
quindi un quieto paese in fondo al lago
come altre volte mi stringeva il cuore
che ce ne andiamo e il cielo quasi piove

il tuo corpo e le erbe i campi e i fiori
tutto trascorre è tempo di tornare
parto questa volta di primavera
i prati sono gialli per le rape
ma come allora scorgo l’Appennino
che addensa nubi e nebbie alle sue cime

da IL TEMPO DIFFERENTE

Viaggio
E la suora presente all’improvviso
bella, il volto velato nero
e la voce antica un testo sacro
nel convento-emporio sotto il Subasio
dove Crista si merca tutto il giorno
turisti-ricordini fitti tra le navate
un residuo di stupore per questa mortificata religione
solenne solo per i ceri
e le cripte chiuse da ferro lavorato
dove sono le ultime penombre
ed odori d’incenso
simili ancora a quelli dell’infanzia.

Pellegrini meglio mendicanti di sensazioni
esteti ingenui e patetici
ad essere cattivi
ma, meglio, forse uomini semplicemente
uomo e donna per esattezza.

Eremo delle carceri
tu il più puro di francescana bellezza
con il leccio non ulivo benché somigliante
quello di Giotto con gli uccelli
a cui predica frate Francesco
e la grotta di frate Leone
quello che “ne combina” sempre tante
come dice la dolce amica
col sorriso degli occhi chiari
azzurri e franchi occhi del Nord
e io godo a stare qui
senza estasi mistiche
ma lieto tra i lecci.

È lo stupore d’ogni affresco
i muri sghembi, i buoi e gli animali
le campagne appena accennate
e quelle rocce-rupi bianche-grigie

È così inutile l’arte
come mezzo di comunicazione ormai superato
e si può anche credere vero
e forse è meglio utilizzare le parole
obbedendo ai compagni del Movimento Studentesco.

Ma qui, vicino alla cripta oscura,
nel riquadro degli olmi sulla collina umbra

qui non ti sorprende il dubbio
anche se l’affresco è rovinato
e ci dev’essere la superstrada poco lontano.

L’amica ha occhi chiari
adesso quasi tristi
e gira, gira su se stessa al centro della Chiesa
e guardarla m’è sufficiente
ed ho quasi vergogna degli occhi scuri e velati
del collo pesante e la bocca affannosa

Ritorneranno fuori le parole
sul mattone bianco del crepuscolo in Assisi
a tentare di nuovo la scommessa
anche se la sua lingua vera
ha note di gola musicali

Sarai poi nuda con i tuoi occhi chiari
nuda e tranquilla sotto le mie mani.

Tu lo capisci quest’ultimo sforzo
e il rifiuto patetico del contingente
tu lenta e umana con il corpo disteso
e sorridi perché tu sei sana
ma sui tuoi occhi azzurri e sul volto chiaro
per fermarli alla mente e al tocco delle mani
libero una pazzia testarda
e la tensione mortale dell’istante.

Perché allora tutto era istante
fisso nel semicerchio dei monti
vicenda conchiusa nel tempo e nello spazio
così sicura e vera e lieta
e fragile e commovente e spaurita

Bruciarlo sul pendio delle more
impazziva tra ulivi e cipressi
passavano frati bigi e neri
chi sornione, chi tetro, chi francescano
come il giovane umbro dalla voce armoniosa,
stretto contro la tua veste rossa
difeso da un cerchio di braccio
ostinato nel tuo sguardo mutevole.

E fu il momento di ripassare i valichi
un rettangolo scuro veloce tra i monti
con caldo, affetto, tenerezza, presagi di paura
e vino e frutta e panini imbottiti

agli orli, fermi negli attimi scanditi del ritorno
i vecchi umbri giocavano e bestemmiavano.

Viene poi la fine della leggenda: ed è ancora tempo di
——————————————[cronaca.

Mi commuove il ragazzo immortale
Mi commuove il ragazzo immortale
alla luce chiara di gennaio
ha il cammino lieve di un dio
e una femmina tenera sulla spalla.
L’ho sentito parlare con voce forte
ai ragazzi splendenti con le giubbe e i pastrani;

si scuote ora nei capelli lunghi e nel sorriso
gli si allaccia la compagna per lo stradino.
Anche tu sei entrato di soppiatto
insieme agli altri, con parole ed atti
già nella storia, come l’ultimo gioco.
Ma ti è ignara la meta
e il tempo che ti sovrasta.

La battitura
sulla macchina da battere
stavano senza camicie
o solo con le canottiere
buttavano il grano
nel nastro col forcone
mentre le donne
preparavano ai camini

a mezzogiorno passavano con le fiamminghe
prima col lesso, poi con l’arrosto
e non avevo mai
mangiato tanta carne
in vita mia
mi dava gusto
mordere sui cosci
dei conigli nelle ali
dei capponi

gli uomini venivano
dagli altri poderi
per battere a Che’ Gino
m’anche le donne
erano numerose
perché così si lavorava
nell’anno una volta sola
e chi sta a battere
sotto il sole
tutto il giorno
deve mangiare ciccia
molta
della più buona

Verso le tre
i grandi
russavano nell’aia
noi giocavamo dentro
i mucchi di grano
sul magazzeno
e facevamo moscacieca
coi piedi curvi
sprofondati negli acini
fino ai ginocchi

ma qualcuno preferiva
andare coi battitori
al pozzalone

dove la figlia di Carloni
faceva il bagno
nei due pezzi

era come le donne
nei cinema americani
il corpo lungo
e nella pelle
non c’erano le crepe
né le rughe
senza l’odore nero
delle altre donne

Carloni aveva
più di trenta poderi
ma rozzo più
dei contadini
scorreggiava perfino
quand’era a tavola
ma lei aveva
per amante
un cittadino
che teneva la cintura
bianca sui calzoni

dopo la cena nell’aja
cacciavamo le lucciole
noi bambini
mentre i più grandi
andavano con le ragazze
nel canneto.

da PASSAGGIO DI SEQUENZA

Figure dell’autunno che trascorre
Dove un cerchio finisce un altro volo
il compasso perfetto ridisegna
dell’anatra marina questi anelli
sono come la coda d’aquilone
che al luogo destinato obliqua tende
e perché porta la pioggia l’ho rivista
incrociarsi a Pescara sopra il mare
baluginava fitto dentro l’aria
nelle nubi di nebbia coi gabbiani

Evi noi stemmo dentro l’aria
sui platani settembre l’ha indorata
nel bosso che va a siepi lungo il mare
l’estate già declina sulla tua faccia
alta sopra di me che son steso nella sabbia
e godo di quest’ora avanti sera

la stanza dell’albergo era ristretta
e la finestra lunga quasi spegne la luce scarsa
———————————-[sull’imposta
un cachi rinserrato da palazzi
il tronco veniva fuori da un resto d’orto
tiepido era e scuro di tra il vetro
c’era un’ombra di foglie lungo il collo
senza sfilarla apristi la tua gonna
hai le cosce potenti, i fianchi stretti
mentre mi tocchi c’hai i miei occhi addosso
l’amore lo fai bene sei pacata
sei tenera negli occhi se ti guardo
e continui a baciarmelo anche dopo
la bruma di novembre avanti sera
spande giù nella selva i Cappuccini
e il cipresso posto sul declivo
che spesso Paolo Uccello ha disegnato
diventa un’ombra densa nella valle
ora non è che morbido contorno la campagna
anche il disco del sole puoi guardare
pacato vi risplende con l’alone

in questi giorni nei prati bagnati
si spengono le malve e le cicorie
viene fitta la nebbia su dai fossi
ma il cachi luce tento forte
che non l’uguaglia frutto lungo l’anno.