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POESIA IN PROSA

POESIA IN PROSA
La poesia in prosa è la poesia scritta in forma di prosa anziché in versi, dunque senza le interruzioni di riga, pur preservando qualità poetiche come immagini, compressioni, ripetizioni, rime, frammentazioni, paratassi, salti analogici, metafore e altre figure retoriche, oltre alla musicalità. La pratica comincia dall’haibun di Bashō nel Giappone del XVII secolo e arriva alla poesia in prosa nella Francia e nella Germania dell’inizio del XIX secolo. I romantici tedeschi possono essere considerati come i precursori della poesia in prosa, che tuttavia prese forma davvero in Francia con Maurice de Guérin e più tardi con Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé, e continuò nel XX secolo con scrittori come Max Jacob, Henri Michaux, Gertrude Stein e Francis Ponge. Ha avuto una rinascita nei primi anni cinquanta e negli anni sessanta con i poeti americani Allen Ginsberg, Jack Kerouac , William S. Burroughs, Russell Edson, e si e intensificata anche in Italia, dove per altro il fenomeno si dichiara già nella prima metà del Novecento, sia pur con caratteristiche proprie, nella prosa d’arte della Ronda e di scrittori come Cecchi, Cardarelli, Bacchelli, Boldini, Barilli.
Gli autori: Franco Buffoni, Daniele Cavicchia, Maurizio Cucchi, Enrico D’Angelo, Milo De Angelis, Raffaela Fazio, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Renato Minore, Paola Parolin, Roberto Pazzi, Elio Pecora, Susanna Piano, Silvio Ramat, Paolo Ruffilli, Silvia Venuti

Franco Buffoni
IL NUOVO CUORE
Ma se si fosse limacce di mare si riuscirebbe a rigenerare persino la testa dal corpo in tre settimane, con la ferita che in un giorno si rimargina e il nuovo cuore pronto in settimana.
Il vecchio corpo rimane com’era, ma con un fremito reagisce se incrocia la sua ex
testa, prima di dissolversi. In fondo è una lumaca che riesce a incorporare i cloroplasti delle alghe che la nutrono. Una lumaca ad energia solare per gli zuccheri prodotti dalla fotosintesi.
Che sia questo il futuro del nostro ultimo stadio nel passaggio dal cyborg all’alieno?

Daniele Cavicchia
OGGI POSSO DIRTI
Oggi posso solo dirti che sono due metà; li conosci entrambi. Non so chi sono, il tempo si è diviso e non posso ricomporlo. Solo questo posso dirti della mia realtà. Ardeva un fuoco quella sera e nel fumo sparisti, ti cercai in casa, fuori in giardino, poi ti rividi appena sudata vicino al limone. Eri invisibile in quel momento e io senza memoria; preparavi la tua assenza in quel fuoco che ancora bruciava? Il saggio ha la gentilezza del corallo, ti porge una penna per la tua storia, il legno non è stato lucidato, avrai la schiena trafitta da trucioli innocenti.

Maurizio Cucchi
MI DEPONGO TRANQUILLO
Mi depongo tranquillo con un pensiero e qualche utile domanda. Perché, allora, quel minimo balcone e quei muri gialli spigolosi? Chi siederà lassù nei pomeriggi a leggere un giornalino con un po’ di vertigine addosso?
Un assembramento, da un lato e dall’altro del corso. Una macchina, uomini col cappello, ragazzini in giacca e ben stirati pantaloncini, anni lontani. Un decoro diffuso, la facciata del Ventuno copre la ringhiera. Io sto arrivando, ho sei anni, lei sta correndo, agitata, mi prende subito per mano e mi trascina dentro.
Quale sarà, di tutte, la vera dimora a cui ritorno? Forse là in fondo al cortile, dov’è la scaletta, di fronte alla casetta della portinaia? O forse là dov’era il letto più morbido del mondo, di piuma, dove felice o col magone sprofondavo.
Poi mi sono guardato allo specchio e ho rivisto il volto di mia madre, mentre lui aveva una mano mangiucchiata dai topi nel bosco.

Enrico D’Angelo
MARINE
Da un’isola altra si ripara, in palmo di mano, una bussola di sabbia; la vela dell’imbarcazione confitta è nell’azzurro come uno stupa tibetano in mezzo all’altopiano; ora che si srotola il cordame, rivoli di pece paiono le funi che si snodano per i vicoli del molo; le donne dei pescatori addossate sono agli usci delle case, poggiate ai legni delle barche; in braccio tengono i figli come aquiloni di salvataggio, a galla – madri loro annegate di terra.

Milo De Angelis
OMBRE
Di notte le ombre si aggirano per i campi di calcio vuoti, ripetono infinite volte i dribbling non riusciti e i tiri al volo mancati dai ragazzi. Le ombre del campo rifanno di notte le partite che avevano visto al mattino. Le porte sono lontanissime l’una dall’altra e i portieri non riescono a vedersi, non sanno quello che accade a centrocampo, molti chilometri più in là, dove tutto è diverso e non è più estate: pantano, sabbia, macchie di neve intralciano le ombre dei giocatori, alcune in canottiera, altre con la sciarpa al collo.

Raffaela Fazio
ČIURLIONIS
D’un tratto oggi ho capito il sogno sognato settimane fa. Millenovecentoquattro. L’ho visto dipinto. Čiurlionis lo chiama: “Serenità”. Čiurlionis il fremente, la sua fine precoce, i notturni, le sue turbolenze. “Serenità” non è quiete, non pace. È dove converge un duplice stato: liquido, solido. È il mare in cui s’immerge il corpo-roccia. Unica traccia, la metà del volto. Occhi, scintille nel mistero di caverne. E lacrime sottili, luminose. Le vede solamente chi le vede nel mondo capovolto. Lacrime eterne. Scorrere immoto. Riflesso che invera la realtà. Il doppio rende l’uno intero, ma l’uno anche se intero è incompleto. Cos’è la verità? Forse un brillio che dal buio nasce, e a un altro fondo buio è destinato. “Serenità”. Dispersa in rivoli sottili, la nera calda voce. Elusiva. Sono soli i cuori più vivi. Anche il mio sogno, Čiurlionis, era l’irrequietezza sotto la superficie: dentro lo specchio della carezza, il tempo si rassegna, ma è ancora vorace.

Vivian Lamarque
COME NEL FILM
Ai cinema di Milano quando erano 133
In certi le sedie erano di legno, facevano rumore; si poteva entrare a film cominciato, il fotogramma del ricongiungimento tra il già visto e il non ancora visto era incantato. Da bambina non usciva da casa per andare al cinema, usciva dal cinema per andare a casa; a volte le lasciavano schiacciare l’interruttore, lo accendeva lei il cinema, la platea, la galleria. Su in cabina, come al Cinema Paradiso, ma senza incendio, guardava lo schermo da uno spioncino. E un giorno sentì una guardarobiera chiedere a un’altra: ma è la bambina della cassiera? E l’altra bisbigliando rispose sì, ma adottiva. La maschera con la pila controllava che non le si sedesse vicino nessuno, ma una volta uno si sedette lo stesso. I tendoni rossi di velluto avvolgevano come mamme. E un giorno, per caso, una sua mamma venne a comprare il biglietto dall’altra. Come nei film.

Valerio Magrelli
IL BANDOLO
Il mucchio di biglietti e bigliettini dove ho trascritto i miei appunti per quasi dieci anni, sembra una cesta piena di pulcini: che pigolìo sale da quel paniere, in cui ho raccolto e conservato tanti foglietti! Sapevo che ogni voce era una gola che domandava cibo. Sapevo che ogni richiamo era come un filo, il bandolo canoro di un’infinita matassa di storie.

Renato Minore
UN ADDIO, UN SOGNO
E chiedevamo un qualche consuntivo, che la vita bisogna pure inquadrarla, e svenderla quando il sabato giungono in paese le organze e i mocassini della nostra prigione. Te lo chiedevo in falso falsetto:« Ma certo che ti ho pensata, sei il luogo, il centro, l’abisso ». Ricordi gli amanti di Bergman confidenti dopo un quarto di secolo? Ero assai ben disposto nella parte, la sola a cui mi sono dedicato con rigore da trappista, altro che quel trombone in teatro quando si finge sincero e vacuo. Che il mio sforzo fosse sincero, può testimoniarlo il fiatino del commiato che ti lasciò in bolletta d’ansia e avresti pregato il dio del tempo per avere l’ultima impossibile concessione. E avevi ragioni – o quante!: ascoltavo con gaudiosa pazienza come qualcuno che pure attende la lama definitiva. Ed io avevo litanie d’annata quando quel tenero, rugiadoso svanire ragionevolmente ci prese con l’obbligo di appuntamenti mancati e improrogabili rimpianti. Ma il difetto fu proprio il sogno, lieve, lievissima mancanza: ma quanto decisiva! Eri piccolina, vuota di tempo, come se un malefico congegno avesse impedito il giusto propagarsi delle forme. Artificio, escrescenza, simulazione di una quasi bambina chiusa nella trappola di parole sagge e quasi conclusive? Ma ora so che non viene più il giorno quando scriverò di queste cose in modo più preciso.

Paola Parolin
DISSOCIAZIONE
è un’ala protesa su spalle cadenti di peso e di freddo non avvolge imprigiona il piumaggio cedevole all’acqua inefficace natura di uomo diverso nel cuore e ora non vola vede il mondo all’inverso giorni e giorni consunti di niente chiodi nel muro bianca superficie aperta a parole le prime in bocca innocente parole le prime dure pietre miliari e di inciampo

Roberto Pazzi
RISVEGLIO A MEMORIA
Nasce dal silenzio la giornata, crepita nella mia voce muta la parola pronta al primo incontro per la via, fra la mia gente, s’alza così la vita che mi porta, ad ogni risveglio la recupero dopo averla ben dimenticata, la ripeto tutta a memoria, rubata alla resa della notte, a ogni alzata risponde l’abbandono a quel notturno che sarà sprigionata da me l’eternità.

Elio Pecora
L’OCCHIO CORTO
Eventi da poco. Notizie prossime, come cartoline di saluti, come telefonate frettolose. Spettacolini per gli intimi, giostre casalinghe. A volte, in pochi righi, appare l’allegria, passa velata la morte. Una folla, in cammino verso il giorno o la notte, verso il ricordo o la dimenticanza, sosta dentro il presente. Che vale di queste storie mentre il pianeta ruzzola e ruota, avanzano ghiacciai, si consumano stelle, il tempo cambia di numero, si perpetrano orrori, si assolvono speranze? Vengono certo da umori segreti, da attenzioni a minimi segni: passi brevi, desideri inseguiti, attese bestemmiate, rabberciate bellezze. Lacerti di un mondo spiato, intravisto da un occhio corto.

Susanna Piano
L’ANIMALE POESIA
La Poesia è un selvaggio essere notturno che si nasconde nella notte, dentro il buio delle tane che la accolgono. È per natura nomade, perché non ha un cammino predefinito ma vaga, lasciandosi guidare dall’ululato dei lupi, dal soffio del vento, dall’odore delle foglie bagnate. Dimentica la paura cantando. Celebra ogni umano sentimento. Non obbedisce ad alcuno. Le spine degli umani la feriscono a volte, ma dalle sue ferite sgorgano fiori. E a te solo quei fiori è dato di vedere. Lei non la cercare mai, se non vuoi perderla.

Silvio Ramat
MIA BIONDA E GENTILE SIGNORA
Mia bionda e gentile Signora,
non è detto che a stabilire una lontananza fra due dimore debbano sempre levarsi impervie schiene di roccia. Basta a volte la noia di una pianura prolissa, magari solcata da un paio di grandi fiumi. E i miei cavalli sono stanchi, malandati: come il loro cavaliere, che su ponti di fortuna evita di arrischiarsi. Così, accusando questa lontananza, io mi chiedo se (per gli anni che mi restano) non potremmo legarci, l’uno all’altra, di un ardore tenero ma costruttivo. In armonia e senza con ciò violare, né Lei né io, la fedeltà alla cerchia dei quotidiani affetti. Non potremmo, alla maniera degli innamorati, prometterci scambievolmente di guardare la luna ad un’ora convenuta? O, in un dato giorno dell’autunno, spiccare ciascuno dal proprio rosaio una bacca? Oppure, in un’alba concordata, accennare a mezza voce il ritornello di una canzone che fosse “nostra”? O, al crepuscolo, recitarci nel cuore un sonetto del Petrarca, o L’infinito? E, ogni tanto, scriverci una lettera nella quale svelassimo – Lei a me, io a Lei, e adottando, in itinere, il “tu” – un dolce segreto? Castamente, io lo spero.                                       ……………….
autunno 2004

Paolo Ruffilli
RITUALI
Gli addetti alle pompe funebri, in grigio scuro preferito al nero, sbrigano le faccende con sussiego nello sforzo di attribuirgli un tono se non solenne almeno austero di fronte alla maestà che da sé si conferisce inderogabile la morte: sono i valletti e gli scudieri che al servizio di una regina assente dalla vita, nel paradosso unica immortale, portando le sue insegne e gli stendardi, nello sforzo di ridurlo all’uso asettico laicale, ne curano il cupo rituale. E non c’è silenzio più profondo di quello di una chiesa che ospita in sé un morto e tutti gli altri stretti l’uno all’altro nel timore e disperati ciascuno per se stesso, spinti allo strepito comune e al chiasso che al silenzio oppone a un tratto inaspettato, a liberarli, lo scroscio per se stessi di un profano battimano.

Silvia Venuti
NEVE
L’inverno non ha voluto lasciarci senza un commiato di neve. Una neve inaspettata, dolce di malinconia perché rivincita fuori del tempo sui fiori sbocciati. E corrode le nostre pur minime certezze sulla vita, metafora della nostra impotenza. Vita sempre così gravida di dolori e di sottili, inaspettate gioie!

 

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Commenti 3

  1. Una buona scelta e un’ottima antologia dove si dimostra e si mostra quanto la densità della poesia giovi alla sostanza della prosa. Se, come sosteneva.Italo Calvino, la poesia è “un imbuto attraverso il quale deve passare il mondo”, qui accade.

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  2. Elisa Zoppei

    Paola PAROLIN “Dissociazioine”

    Le immagini fatte parole sono parole fatte immagini: si vedono,si toccano, colpiscono, si irradiano nel profondo sentire e camminano dentro sconvolgendo l’ordine naturale di ogni pensiero….

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