Maurizio Cucchi è nato nel 1945 a Milano, dove vive. Ha pubblicato i libri di poesia: Il disperso (Mondadori, 1976, e Guanda, 1994), Le meraviglie dell’acqua (Mondadori, 1980), Glenn (San Marco dei Giustiniani, 1982, Premio Viareggio), Donna del gioco (Mondadori, 1987), Poesia della fonte (Mondadori, 1993, Premio Montale), L’ultimo viaggio di Glenn (Mondadori, 1999), Poesie 1965-2000 (Mondadori, 2001), Per un secondo o un secolo (Mondadori, 2003), Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda, 2008), Vite pulviscolari (Mondadori, 2009), Malaspina (Mondadori, 2013), Paradossalmente e con affanno (Einaudi, 2017), Sindrome del distacco e tregua (Mondadori, 2019). In prosa: Il male è nelle cose (2005), La traversata di Milano (2007), La maschera ritratto (2011), L’indifferenza dell’assassino (2012). Ha inoltre curato un’antologia di “Poeti dell’Ottocento” (1978), il “Dizionario della poesia italiana” (1983 e 1990), e, con Stefano Giovanardi, l’antologia “Poeti italiani del secondo Novecento” (1996). Ha diretto per due anni la rivista “Poesia” (1989-1991), ha tradotto dal francese opere di vari autori tra cui Stendhal, Flaubert, Lamartine, Villiers-de-I’Isle Adam, Valéry.

mauriziocucchi2@gmail.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Cucchi

 

POESIE

da L’ULTIMO VIAGGIO DI GLEEN

La prima immagine é il Lago di Garda,
scavata in bianco e nero fino all’Ortles.

Sarò solo un bambino,
ma mio padre vive in eterno.

Dopo la Jugoslavia, nel luglio ’41,
con firma fiorita
salutava la Magda.

a Mauro
Il paese era sparso sulla schiena del colle
e mi scorreva limpido negli occhi.
Nell’aria illogica di un sole svizzero
come la donna bidimensionale
in visone e scarpe di plastica
che aspettava il bambino a scuola.
<<Non sento quasi niente – ho detto -.
Però ti fermi su, alla chiesa,
e lasci che io vada solo in mezzo al bosco:
per rispetto, almeno, per raccoglimento>>

C’era un bel sole quel mattino di maggio.
Glenn se ne andava in moto dalla periferia,
la 6,35 in una tasca del vestito beige.
Vide l’amico nella casa al confine
e mangiò alla sua tavola
tranquillamente.
Tina era sempre golosa,
ecco perché il cercatore di funghi
che attraversava il bosco,
gli trovò addosso,
trentasei ore dopo,
la tavoletta di cioccolato.

Glenn, come lo chiamavo nella mia mente io,
o com’è più dolce e semplice
com’è più vero:
Luigi.
Resti per me una crepa d’affetto
o un lampo intermittente nel cervello.
E anche tu, che non l’hai mai visto,
lo ami.
Tu che hai taciuto, e oggi non taci più,
hai la memoria smangiata come la tua macula:
cerchi e non trovi più
nemmeno la sua voce.

Facevo il viale: per arrivare al campo.
Attorno, uomini coi badili,
e io piangevo poco.
Ma davanti alla scatola col tuo vago sorriso,
bellissimo, con la camicia scura aperta
e il distintivo del ferito,
il gelo mi è venuto dentro.
<<Cosa vuoi che ti dica?>> ho fatto allora
con le mie rose in mano e con paura,
<<forse è già il tempo dell’indifferenza>>
Forse sono decotto, forse io stesso,
sono solo memoria di me stesso.

Lui se ne andò gettandoci
nell’improvviso smarrimento.
In un sacchetto della polizia,
ecco gli assegni, il pettine,
la benda per il polso…

Ciao, dico adesso senza più tremare.
Io ti ho salvato, ascoltami.
Ti lascio il meglio del mio cuore
e con il bacio della gratitudine,
questa serenità commossa.