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ZERO AL QUOTO DI FABRIZIO BREGOLI

ZERO AL QUOTO DI FABRIZIO BREGOLI

Se i punti di riferimento, per chi scrive, sono importanti e illuminanti, quelli di Fabrizio Bregoli non lasciano dubbi in quanto a spessore. L’ultima sua raccolta si apre infatti con tre citazioni, rispettivamente di Giorgio Caproni, Luigi Di Ruscio ed Edoardo Sanguineti. Non sono le uniche presenti nel libro: più avanti infatti troviamo richiamati autori del calibro di Luzi, Pavese, ma soprattutto Zanzotto e Sereni, in una diffusa disseminazione di versi, eserghi e dediche, come scrive giustamente Vincenzo Guarracino nella sua nota iniziale, quasi che Bregoli abbia voluto mettere dei punti fermi, dei veri e propri segnali indicativi ad accompagnare il lettore durante l’attraversamento del percorso. Proprio il percorso è irto di insidie (piacevoli insidie, aggiungerei), che a mio avviso non devono mai mancare nella scrittura poetica: a cominciare dal titolo, oscuro e difficile da decifrare. Zero al quoto (Puntoacapo) indica, nel gergo matematico, un’operazione che dà come resto zero, ma è anche espressione gergale per dire: niente, non se ne fa nulla. Ed è proprio il nulla a fungere da fulcro di questa intensa raccolta: Bregoli si chiede quali possano essere le vie d’uscita per scappare da questo vuoto che ci opprime e che sembra caratterizzare il momento storico che viviamo. Un vuoto esistenziale, ideologico, sentimentale, ma non solo. Scrive Bregoli in una delle prime poesie della raccolta (Qui il mondo è un esitare) che il tempo è un orizzonte da colmare e già qui si avverte la necessità di riempire il vuoto temporale, poi il concetto di nulla ritorna prepotente, in modo tranchant, qualche verso dopo: La vita è il nulla che le dà principio / l’assurdo che s’intrude nel possibile. È indubbiamente poeta di raffinato lirismo Fabrizio Bregoli, basti pensare a certi versi quali la disossata spunta degli assenti oppure l’ambasciata a baluardo del nulla o ancora Di questo turbinare a scarna luce, dai quali traspare la ricercatezza (cristallina, sincera e niente affatto spocchiosa) con la quale il poeta tesse la propria scrittura. L’uso di termini arcaici che sembrano appartenere al passato (periglioso, ad esempio, oppure si leggano i due versi Così inseguo le orme umide dei giorni / ne delibo il fumigare sottile ) fa pensare a un indissolubile legame tra la poesia di Fabrizio Bregoli e la poesia lirica di tradizione, dalla quale il poeta attinge, senza indulgere però nel calligrafismo, ma anzi attualizzandola e quasi ricreandola con il proprio sguardo attento sul presente. Zero al quoto è poesia ricca di citazioni colte, con un’intera sezione (Iconoclastie) dedicata all’arte, usata come strumento di lettura del mondo. Qui le opere d’arte si trasfigurano nelle immagini della vita quotidiana, le quali diventano a loro volta icone della modernità triste dei nostri tempi: ne è un fulgido esempio la poesia intitolata Pietà Rondanini. Affiorano, nei versi di Bregoli, Fritz Lang e Leni Riefenstahl, ma anche i Pòkemon e i Duran Duran, a dimostrazione della solida cultura del poeta intrecciata ad un’inesausta curiosità per tutto ciò che lo circonda. Esemplare, da questo punto di vista, il testo Educazione sentimentale (1984-’91) che mescola, con singolare naturalezza, citazioni colte (Botticelli, il Romanticismo, il Bildungsroman, Boris Vian, Ezra Pound) ad altre decisamente pop (Karate Kid, Laguna Blu, Colpo Grosso, Gullitt, Madonna, Sturmtruppen). La poesia di Bregoli è narrazione del vuoto, del nulla, dello zero, dove però il vuoto non è impalpabile, ma al contrario è fatto di carne e ossa, mentre il nulla ha contorni definiti di materia densa e lo zero contiene al proprio interno tutti i numeri del mondo reale. Il poeta percorre (e con esso il lettore) il proprio viaggio alla ricerca della via d’uscita (o delle vie d’uscita) dal vuoto della nostra epoca: lo tormentano i dubbi, lo inquietano le false certezze. Del resto “Cosa potrebbe fare un poeta senza tormento? Ne ha bisogno come della sua macchina per scrivere” diceva Charles Bukowski e Bregoli dispone sulla carta i propri tormenti, mette a nudo la propria vulnerabilità, osservando nel contempo con precisione, da uomo di formazione scientifica quale egli è, le debolezze umane. Gli uomini (o la loro ipotesi) è il titolo della prima sezione della raccolta, alla quale seguono la già citata Iconoclastie e poi Memorie (da un futuro), Diversa densità degli infiniti, Amba Alagi, Per una poesia possibile. In quest’ultima sezione è indicato più volte in esergo Vittorio Sereni: Si fanno versi per scrollare un peso / e passare al seguente è la citazione che più mi ha colpito, perché qui ho ravvisato, più che altrove, una vicinanza d’intenti con la poetica di Bregoli. E sono tornato all’inizio della lettura, al proemio intitolato Detto? Taciuto appena che si conclude con i due bellissimi versi Eterno quest’istante? / Eterno. Fragile ed eterno. Dubbi, domande, punti interrogativi, la fragilità e l’eternità: qual è, alla fine, la soluzione? In Zero al quoto Fabrizio Bregoli sembra identificarla nella ricerca, nel sapere e nella fede in essi. Perché certamente è solo (ri)cercando e lasciando viva la nostra sete di sapere che possiamo uscire dal vuoto che riempie i nostri giorni.

Enea Roversi

Versante Ripido

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