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LO STILE MORALE DI IMBIMBO

LO STILE MORALE DI IMBIMBO

Moralista sembra una parolaccia: non lo è. Ha una tradizione nobilissima, una ascendenza settecentesca che fa del termine non una variante ma una specifica qualità dell’illuminista. Nel corso del tempo, il lemma ha cambiato di segno. Mauro Imbimbo, con consapevolezza di filosofo, lo spolvera ironicamente. E anche qui, l’avverbio non cade a caso: non solo perché ironia e nobile, sano sguardo morale vanno di pari passo. Anche perché nella silloge in questione, Droghe e coloniali (prefazione di Paolo Di Paolo, Edizioni di Storia e Letteratura), il verso asseconda uno spirito corrosivo, dà forma – sincopata – ai dilemmi, alle perplessità di chi osserva il mondo degli umani a una distanza intelligente. Si sorride molto, leggendo: cosa non rara nella più remota tradizione poetica europea (quella latina compresa); meno facile in quella novecentesca e specialmente italiana. Dove le «armi del comico» sono poco affilate, prudenti. Palazzeschi? Toti Scialoja? Riviello? Imbimbo, senza discenderne in modo diretto, sta in quel solco: al primo dedica un omaggio esplicito (bellissimo), per il secondo caso, Scialoja, si avverte una qualche parentela, a maggior ragione quando gioca con le forme chiuse – le quartine diventano quasi aforismi sghembi, eccentrici, imprevedibili. Più in generale, va detto che il tono complessivo di Imbimbo risulta comunque piuttosto anomalo nel paesaggio della lirica contemporanea; ed è curioso che non si tratti di una sua stagione (o ispirazione) circoscritta, ma di un percorso quarantennale. Raccogliendo qui quarant’anni di lavoro poetico, dimostra la sua ostinata fedeltà a sé stesso e a un modo di guardare: a uno sguardo morale, appunto – espressione che in un verso gli sfugge proprio in questi termini e che in qualche modo lo svela. Sarebbe divertente provare a leggere in filigrana la storia del Paese, capire dove si annida qualcosa di italiano, profondamente italiano – Buscaglione, la tratta ferroviaria Pescara-Termoli, il Messaggero di Sant’Antonio, l’Upim – e dove si coglie il segno di un cambiamento, dei cambiamenti nel tempo. Imbimbo pesca sistematicamente nell’alto e nel basso, nel quotidiano e nella metafisica, muove i livelli del discorso e del senso. «Grandiosa si spande e ridonda / la vita imbecille, / poiché»: non è, per fortuna, una condanna senza appello. Il moralista non è mai torvo, si ferma un passo prima di diventare apocalittico, e tuttavia si compiace di non essere nemmeno integrato, non del tutto. Sa che perdersi nella (o adattarsi totalmente alla) Folla/Massa (si veda il testo intitolato Il tema cruciale) comporta rischi seri. Così, mi verrebbe da dire che un vero moralista è anche un antipopulista, ma sarebbe troppo; e comunque non so in che anno siano stati scritti versi come questi: La Folla, / che è tale soltanto se Massa, / repressa, / appunto perciò ben disposta / a reggere il moccolo a chi / dispensi ruffiane carezze / e vibri virili nerbate. Saranno, a ogni modo, databili; il fatto rilevante è che non sono datati. E d’altra parte non sono testi ricattati dalla deperibilità della cronaca. Anche quando dice Calvi-bis o aliquota, anche quando evoca duty free e soccorso ACI, Imbimbo sta inseguendo qualcosa al di là dei calendari. Non un trend temporaneo (come nella poesia che irride gli anglicismi superflui e più invadenti). Tutt’al più un trend eterno. Una verità sull’umano e i suoi limiti, sul convivere fra umani; una verità non necessariamente gradevole. E se non sovratemporale, di sicuro inestinguibile. Salvo cataclismi.

Paolo Di Paolo

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