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POETI STRANIERI: SYLVIE MARIE TRADOTTA DA PAOLO RUFFILLI

POETI STRANIERI: SYLVIE MARIE TRADOTTA DA PAOLO RUFFILLI

Sylvie Marie (foto di Nadine Ancher), scrittrice e poetessa fiamminga, è nata a Tielt nel 1984 e vive a Gand, in Belgio. La popolare rivista fiamminga Humo ha scritto di lei: “Un grande talento può dare voce al mistero senza ucciderlo”. Il suo è un approccio anticonvenzionale alle situazioni occasionali e psicologiche della quotidianità, considerate nella chiave appunto del mistero secondo un’ottica di sorpresa che il lettore non si aspetta. Un modo personalissimo di affrontare le proprie esperienze, anche nel rapporto con gli altri, parenti, amici o il compagno, affidandole a una pronuncia filante e affilata. (La notizia biobibliografica continua in coda alle poesie)

*

da anni ti porti dietro un uovo che non deve rompersi.

vegli su di lui, lo metti a letto

tra morbide lenzuola, lo baci. a volte, nei tuoi sogni,

gli sussurri i tuoi nomi preferiti.

 

voi due ve la intendete. sai,

bisogna mantenere la calma, non si deve muovere l’uovo

senza preavviso. è così da un po’ di tempo ormai.

tutti sanno dell’uovo.

 

oggi hai gettato l’uovo in una borsa sulle tue spalle.

abbiamo tutti stretto gli occhi. come aspettando

che ci arrivasse della sabbia addosso, provando pietà per l’uovo,

come fossimo noi l’uovo.

 

scomodo

pensami come un pezzo di carta

che casualmente ti metti in tasca

dopo averci scritto qualcosa sopra. non importa

 

cosa, anche se spero: lascia che sia una riga.

qualcosa per un verso futuro, che poi ritornerà

di nuovo a te, molto tempo dopo che te lo sei messo in tasca.

 

ormai conosci il verso di ritorno. si apre

nella tua testa come un mantra. ancora non trovi

il suo giusto contesto, una buona poesia

che lo metta al suo posto, lo incornici, soprattutto lo domi.

 

e poi, col tempo, mi ritiri fuori,

mi accarezzi e sospiri, “Cosa devo fare con te?”

 

*

trovami. sto dritta

in mezzo agli altri, i piedi piantati

in un angolo, le ginocchia unite

in un tronco. verso l’alto

fino ai miei fianchi di resina.

 

la mia spina dorsale

corteccia per storni e funghi,

il mio ventre osso per vermi e larve,

le mie vertebre rami per uccelli e nidi.

 

la mia spalla una foglia,

le mie spalle se ne vanno, verso l’alto

fino al mio baldacchino lussureggiante.

 

solo le braccia, non le

braccia. le allungo intorno a me

larghe come ramoscelli, su ogni dito

 

un frutto fresco.

 

*

ecco cosa dovremmo fare:

appena prima del bagno, con i capelli sciolti,

i nostri vestiti tolti di dosso uno a uno, la pelle

che non si squama.

 

se a volte si fa sentire troppo stretta

intorno a me, allora ho voglia di cadere a pezzi,

ingoiare tonnellate d’acqua, immergermi

 

e fluire dentro di te. che bello sarebbe

farsi trascinare insieme giù per lo scarico

che bello sarebbe

 

rimanere lì,

ultimo po’ di schiuma

che non vada subito giù per il buco

 

mela

da giorni ormai c’è una mela sul bancone,

non posso toglierla.

 

c’è un cestino nell’armadio, dove dovrebbe stare,

ma preferisco tenerla sul granito

e immaginare che sia già avvizzita sotto

 

dieci volte al giorno vado in cucina

nei pressi della mela e dovrei invece

conoscere di più il mondo,

socializzare, promettermelo, uscire di più.

 

ma finché resto in casa, lascio che lei stia lì,

per ora è ancora tonda come la terra,

e, io, il suo satellite.

 

una volta che marcisce, mi sposterò di qui.

e, se riesco a muovermi, la butterò.

 

atto

ho accumulato frasi come sandwich per la strada

per rendere divertente il tempo con te. credimi

sono saggia e spiritosa.

 

non so per quanto tempo posso continuare

o se siamo davvero adatti a tutto quell’imburrare.

cosa dirò una volta che sarai sempre con me?

 

non posso essere una tromba,

guardando sempre il suo riflesso mentre suona,

capisco bene perché lucidano l’ottone e, allo stesso tempo,

ci sputano sopra.

 

e non dirmi che queste cose migliorano con il tempo,

non siamo vino.

 

*

e poi improvvisamente vorresti trovare

la persona che ha detto la prima bugia

ti piacerebbe discuterci, però

ti rendi presto conto che è una battaglia persa.

 

siamo fatti così.

 

prendi, ad esempio, le nocche nelle mani dei bambini,

fanno fossette spensierate,

ma poi si allungano strette e bianche,

a formare i pugni.

 

forse è per questo che alle madri piace

salvare i primi ritagli delle unghie,

sono le parentesi tra le quali

un miracolo una volta ha avuto luogo.

 

*

per stare calma, mi concentro

tirando fuori le pillole da un blister

e molto più di quello che servirebbe,

si tratta di spingere, con attenzione,

i due pollici puntati avanti

le unghie fianco a fianco

 

poi l’involucro che le distribuisce,

la plastica che raggrinzisce

come una pancia gonfia, spazzata via con una frusta

dal tavolo, rompendo il bicchier d’acqua, liberando la tensione,

e la pillola mi cade nel palmo, con noncuranza

come la testa di un bambino.

(Traduzione dall’inglese di Paolo Ruffilli)

Sylvie Marie è autrice delle raccolte di poesia: Zonder (Senza), Toen je me ten huwelijk vroeg (Quando mi hai chiesto di sposarti), Altijd een raam (Sempre una finestra) e Houdingen (Posizioni). Per quanto riguarda la prosa, ha pubblicato il romanzo Speler X (Giocatore X), che ha il calcio come argomento, e ne sta scrivendo un altro. Ha vinto diversi slam di poesia e le piace sperimentare sul palco e interagire con il pubblico. Nel 2017 le è stato assegnato il Premio Letterario della provincia delle Fiandre Orientali. Tiene corsi di scrittura nelle accademie d’arte di Gand, Tielt e Ypres ed è editrice della rivista letteraria fiamminga “Deus ex Machina”.

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