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POETI STRANIERI: FERNANDO RENDÓN TRADOTTO DA PAOLO RUFFILLI

POETI STRANIERI: FERNANDO RENDÓN TRADOTTO DA PAOLO RUFFILLI

Fernando Rendón è nato nel 1951 a Medellín, in Colombia. Nei suoi versi, come nelle pagine di un diario, la voce dell’autore, scegliendo nel folto dei fatti quotidiani, dà rilievo di immagini alla presa di posizione dell’uomo nei confronti di se stesso e del mondo. La poesia come bilancio della vita realizza una radiografia profonda della condizione esistenziale, insieme come scavo e rappresentazione oggettiva di una realtà in avanzato stato di decomposizione, nella contiguità con il dolore e con la morte. E ha spazio lirico e misura di canto il suo accostarsi, con nuova coscienza di uomo di oggi che cerca le ragioni di sempre, agli elementi della natura e ai suoi cicli, ai paesaggi, alle ore del giorno e alle stagioni, nel contrappunto del vuoto che assedia le cose della vita e del mondo. (La notizia biobibliografica continua in coda alle poesie)

Destino

Considera il canto di un uccello ferito.

Il suo bellissimo piumaggio celeste, oro e sangue sull’erba.

Considera il volo del falco che scende a spirale dopo aver avvistato la preda.

Nel momento in cui la ferita cede vita agli artigli, la bellezza che guarda la morte e la speranza che indaga il supplizio deciso dal caso restano ancora in sospeso.

Pur nel rischio di spezzare il legame tra la causa e l’effetto, sappi però che la mano della poesia toccherà nel suo cadere l’uccello rapace, abbattendo la morte, perché l’amore è arrivato anche lui all’incontro fatale.

 

A proposito della riflessione

Sogna di avere paura. Come se la crosta terrestre tremasse, e gli uomini perdessero ogni controllo.

Sogna la metamorfosi che unisca essere e rischio. La dama celeste illumina dunque le evoluzioni, le rivoluzioni, l’alleanza che infiamma.

Sogna di stare fatalmente legato alla medusa che in pietra ti muta. Tutt’altra ostilità che si accende, le forche  che crescono, la piaga della rabbia che avanza.

Sogna che il paradiso sia sul punto ormai di arrivare. Solo così ci si può innamorare e sovvertire in tal modo la condizione mortale.

Sogna che la specie si estingua. Metti in sospeso il silenzio: se stabile resta, vedrà la sua faccia in quella vertiginosa dell’abisso.

Lascia che – come il pendolo – di nuovo possano continuamente oscillare le visioni e in loro potremo alla fine trovare la libertà.

 

Una rete di mani

Una rete di mani ha fondato le basi del mondo. Una rete di mani le mina. Va affondando ciò che di buono si è fatto.

Il fervore che c’è a primavera ci richiama a selvagge distese di luce, perché il buio i contorni del giorno già assedia.

Fuoco e dolore, ma l’avidità non svanisce. Tutto cambia al di fuori, ma l’uomo rimane miserabile in sé.

Siamo vivi: senza sosta il fiume dei sensi scorre dentro il mare del nostro sentire.

Ogni giorno prove nuove, verità le più dure finiscono dentro l’abbraccio del sonno che aiuta a dissolvere le asprezze del tempo.

E una rete di mani va fondando le nuove basi del mondo, mentre un’altra rete di mani è lì a indebolirle.

 

Come i volti degli dei che stanno a vegliare

Avevamo già fatto gran parte del nostro cammino

Eravamo vicini oramai al tetto del mondo

Che alzava al cielo la sua vasta prua

E sulla prua da polena la Sierra Nevada

Tra i flutti in preda all’ira del mare

E reggerla solo potrebbe chi è sovrumano

Senza finire giù a precipizio dentro l’abisso

Ma chi oserebbe mai cavalcarla, la fine del mondo?

Eravamo sulla cima nella quale le stelle si incontrano

Affacciati sull’equilibrio di tutti i pianeti

Fino alla fine del mondo ci è stato dato guardare

Le diramazioni che prende la storia

La geografia dei secoli sia vinti che persi.

La dolce terra nell’estensione sua inebriante

Il tuo amore è come i volti degli dei che stanno a vegliare.

 

Vietnam

Aguardiente di riso bevono i signori delle parole.

Molte lacrime e sangue è costata la celebrazione

E si sono usate le armi per riprendere il giorno.

 

Ogni chicco di riso costa sette gocce di sudore.

 

Bocche piene di vuoto ci versano addosso le loro canzoni.

A ondate arrivati se ne sono poi andati gli invasori

Come la fame, come l’inverno, come la morte.

 

Ogni chicco di riso costa sette gocce di sudore.

 

La nostra canzone è una fiamma che ha il tempo come radice.

La resistenza va alimentando l’alta speranza del mondo.

Con il sangue la musica scatena seminando nuova vita

 

Perché ogni chicco di riso costa sette gocce di sudore.

 

La primavera con i fiori ci prepara l’attesa offensiva

E chi semina si inchina a far carezze alla Terra

La voce della vita, persistente, germoglia a aumentare le persone.

 

Ma ogni chicco di riso costa sette gocce di sudore.

 

Incenso, acqua, fiori e frutti riempiono gli altari dei nostri antenati.

Il linguaggio ara, germogliano i semi, al colmo delle difficoltà,

Vietnam, da battistrada, sii proprio tu il nostro ritorno.

 

(Traduzione dallo spagnolo di Paolo Ruffilli)

Fernando Rendón è il direttore del Festival Internacional de Poesía de Medellín e della rivista di poesía Prometeo, oltre che coordinatore del Movimiento Poético Mundial. Ha pubblicato i libri: Contrahistoria (1986), Bajo otros soles (1989), Canción en los Campos de Marte (1992), Los motivos del salmón (1998), La cuestión radiante (2006, tradotto in Francia, Stati Uniti, Egitto), Canto de La Rama Roja (2010), En flotación (2010), Canti del Ramo Rosso (2011, Ed. Franco Rosso, traduzione di Gaetano Longo), Carta di Navegare (2012, traduzione rumena di Diana María Nicolaescu), En flotación (2014, traduzione ciñese di Zhao Zheng Jiang), Entre presencias visibles e invisibles. Un mapa de la poesía mundial (2015), El canto de todo el amor del mundo. Recuento de una batalla espiritual (2015, storia del Festival Internacional de Poesía de Medellín), Piedra de la Memoria (2015), Estación Rimbaud (2016, con il poeta colombiano Juan Manuel Roca), Qual era la domanda? (2016, traduzione italiana di Antonino Caponnetto), El porvenir está escrito sobre la piedra antigua (2018, traduzione vietnamita di Quan Pham), Destinacioni (2018, traduzione albanese di Jeton Kelmendi).

 

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