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IL SOFFIO DEL DIARIO DI RUFFILLI

IL SOFFIO DEL DIARIO DI RUFFILLI
Leggendo le poesie di Paolo Ruffilli, mi è sempre sembrato di cogliervi, al fondo, la lezione di Ungaretti. E non mi riferisco tanto alla scansione ungarettiana come istanza di sillabazione fonica, che mi segnalava l’amico Filippo Maria Pontani inviandomi i primi versi di Ruffilli, quanto a quel rapporto tra cercare e trovare dentro il quale si muove l’insieme dell’opera di Ungaretti. Con questo voglio dire che mi è stato subito chiaro, fin dall’inizio (da quelle prime poesie apparentemente stilizzate), il tipo di coincidenza che mi portava a leggerle con adesione: la “parola trovata”, appunto, e, insieme, “la zona del concreto, dell’immediatamente identificabile”, come l’ha bene definita Giovanni Giudici nella presentazione del poemetto di Ruffilli, Prodotti notevoli, sull’ “Almanacco dello Specchio” mondadoriano n.9. E proprio questo incontro della parola trovata e dell’immediato concreto, che è la cifra della poesia di Ruffilli, è il senso vorrei dire attestato in evidenza dalla serie del Diario di Normandia (Amadeus, 1992). L’ossessione dei minimi accadimenti, dei luoghi e delle circostanze, salvata dal progetto di un diario, che testimonia una vicenda al di là delle apparenze e delle abitudini; e la sua dinamica, consegnata a una scansione breve, dal timbro lieve, frutto del più raffinato artificio. In un soffio che, tra una battuta e l’altra, traduce la perplessità in distacco. Proprio come già al suo esordio, anche se in forme allora un po’ più secche; in quella Quercia delle gazze, che io continuo a considerare il passato poetico per molti aspetti straordinario di Ruffilli e le radici vere del suo lavoro presente.

Vittorio Sereni
Musa 1983

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