Giuseppe Ungaretti è nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888, da genitori lucchesi emigrati. Nel 1912 si è trasferito a Parigi, seguendo i corsi di Bergson al Collège de France e frequentando Apollinaire, Léger, i futuristi italiani. Nel 1914 è rientrato in Italia e si è arruolato come volontario, combattendo sul Carso, dalla cui esperienza è nato Il Porto Sepolto (1916). Ha poi pubblicato: Allegria di naufragi (1919), Sentimento del Tempo (1933), Dolore (1947), La Terra Promessa (1950), Il Taccuino del vecchio (1960); le prose d’arte e di viaggio Il Deserto e dopo (1961). Ha tradotto i 40 Sonetti di Shakespeare, le Visioni di Blake, la Fedra di Racine, le poesie di Gongora e Mallarmé, l’Eneide e le Favole indie della genesi. È morto a Milano nel 1970. L’opera è oggi riunita nei volumi Vita d’un uomo. Tutte le poesie (a cura di L. Piccioni, 1969), Vita d’un uomo. Saggi e interventi (a cura di M. Diacono e L. Rebay, 1974), Vita d’un uomo. Viaggi e lezioni (a cura di P. Montefoschi, 2004).

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ungaretti

http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-ungaretti/

 

POESIE

La madre
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Caino
Corre sopra le sabbie favolose
e il suo piede è leggero.
O pastore di lupi,
hai i denti della luce breve
che punge i nostri giorni.
Terrori, slanci,
rantolo di foreste, quella mano
che spezza come nulla vecchie querci,
sei fatto a immagine del cuore.
E quando è l’ora molto buia,
il corpo allegro
sei tu fra gli alberi incantati?
E mentre scoppio di brama,
cambia il tempo, t’aggiri ombroso,
col mio passo mi fuggi.
Come una fonte nell’ombra, dormire!
Quando la mattina è ancora segreta,
saresti accolta, anima,
da un’onda riposata.
Anima, non saprò mai calmarti?
Mai non vedrò nella notte del sangue?
Figlia indiscreta della noia,
memoria, memoria incessante,
le nuvole della tua polvere,
non c’è vento che se le porti via?
Gli occhi mi tornerebbero innocenti,
vedrei la primavera eterna
e, finalmente nuova,
o memoria, saresti onesta.

L’impietrito e il velluto
Ho scoperto le barche che molleggiano
sole, e le osservo non so dove, solo.

Non accadrà le accosti anima viva.

Impalpabile dito di macigno
ne mostra di nascosto al sorteggiato
gli scabri messi emersi dall’abisso
che recano, dondolo nel vuoto,

verso l’alambiccare
del vecchissimo ossesso
la eco di strazio dello spento flutto
durato appena un attimo
sparito con le sue sinistre barche.

Mentre si avvicendavano
l’uno sull’altro addosso
i branchi annichiliti
dei cavalloni del nitrire ignari,

il velluto croato
dello sguardo di Dunja,
che sa come arretrarla di millenni,
come assentarla, pietra
dopo l’aggirarsi solito
da uno smarrirsi all’altro,
zingara in tenda di Asie,

il velluto dello sguardo di Dunja
fulmineo torna presente pietà.

Silenzio
Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limìo
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi

Nostalgia
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s’addensa
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
comtemplo
l’illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane

Amaro accordo
Oppure in un meriggio d’un ottobre
dagli armoniosi colli
in mezzo a dense discendenti nuvole
i cavalli dei Dioscuri,
alle cui zampe estatico
s’era fermato un bimbo,
sopra i flutti spiccavano

(Per un amaro accordo dei ricordi
verso ombre di banani
e di giganti erranti
tartarughe entro blocchi
d’enormi acque impassibili:
sotto altro ordine d’astri
tra insoliti gabbiani)

Volo sino alla piana dove il bimbo
frugando nella sabbia,
dalla luce dei fulmini infiammata
la trasparenza delle care dita
bagnate dalla pioggia contro vento,
ghermiva tutti e quattro gli elementi.

Ma la morte è incolore e senza sensi
e, ignara d’ogni legge, come sempre,
già lo sfiorava
coi denti impudichi.

L’isola
A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s’inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch’erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell”acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch’era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l’ombra negli occhi s’addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s’erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.

Casa mia
Sorpresa
dopo tanto
d’un amore
Credevo di averlo sparpagliato
per il mondo

Giorno per giorno
“Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo…

Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze
sollevava dai crucci un uomo stanco?…
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola…

Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo…
Non conta… Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù…
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice…

Sono tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell’aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio…

Il porto sepolto
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto

Allegria di naufragi
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

Soldati
si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie

Sereno
Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle

Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo

Mi riconosco
immagine
passeggera

Presa in un giro
immortale