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IL DESIDERIO SECONDO RAFFAELA FAZIO

IL DESIDERIO SECONDO RAFFAELA FAZIO

Ne Gli spostamenti del desiderio (Moretti e Vitali), la parola di Raffaela Fazio ci viene offerta precisa, densa, tagliata e imbastita con un dominio mai esitante. […] Raffaela Fazio ha pensato, desiderato, concepito un ordine superiore, un castello accuratamente realizzato nel suo insieme. […]. Gli spostamenti del desiderio, letteralmente, declina al plurale i moti, ma perentoriamente al singolare il soggetto, seppur mobile e mai monolitico. Non si tratta di rincorrere – né da parte dell’autrice né del lettore – la migrazione e/o la rifondazione di desideri che – coerentemente alla banale constatazione che si può desiderare solo quanto (ancora) non si possiede – persistono per la durata del percorso di avvicinamento e compimento. Si tratta, invece, di essere vigili, non solo sulla natura del desiderio, ma sulla propria modalità di stare nel desiderio. […] La breve ed epigrafica nota che precede le sezioni instrada subito il lettore, indicando il desiderio quale strumento di misura «tra due stati della coscienza […] tra due vissuti diversi […] tra due differenti momenti» della propria vicenda individuale, quale meccanismo interiore atto alla continua ridefinizione del «senso del reale». In quanto tale, il desiderio si rivela allora orientamento, movente, spinta che, di volta in volta, dirige concretamente il passo sul cammino quotidiano. In un gioco duale («i più strani accoppiamenti/ di fango e di purezza»; «di crescita e di arresa»; «la cosa morta e la cosa viva»; «l’ucciso» e «l’uccisore»), i testi della seconda sezione, Proiettivo, soprattutto nella serie delle Anamorfiche, conclamano che non è la condizione sterile di de-siderato, privato del cielo, ad avvolgere il poeta, ma quella terrena di contingente complessità e potenzialità: «la terra (e non il cielo) è il carniere/ l’umano punto di osservazione». Questi ultimi versi, e in particolare il sintagma «l’umano/ punto di osservazione» (e altri: «punto ideale/ da cui osservare l’ombra»), aprono tautologicamente una prospettiva che non potrà sfuggire al lettore già dalla titolazione delle sezioni (Black-out, Proiettivo, Match Cuts, Materia oscura, Retina inversa, Tra occhio e parola), indicando la sinopia che corre tra di esse: la visione. […] Il vedere esteriore è un mezzocielo, che si completa con l’osservazione interiore, con la vigilanza sui moti e sugli inganni della memoria e del subconscio, sui suoi scotomi: «…il reale/ è anche lui sommerso/ – innesto di varianti, di pulsioni»; «sul fondo della memoria/ la cosa morta e la cosa viva/ sono appena un mutare/ di prospettiva»; «Dentro al corpo […]/ un occhio alla rovescia/ […]/ È a quell’occhio/ che lei fa da sentinella»; «Chi porterà alla luce/ il teschio o il forziere/ che ci teniamo dentro?». L’attitudine e la tensione al vero, alla corrispondenza tra parola e verità, persegue un atteggiamento di parresia morale e deve sfidare gli scogli dell’illusione, dell’irrealtà, del sogno: verso questo percorso insidioso orientano le epigrafi delle varie sezioni dove le voci di Jean-Jacques Wunenburger, Cesare Musatti, Seneca, Leonardo Sciascia convocano a folate il reale e l’irreale, il sogno e la verità. E a questo necessitante discernimento si offre una forte nervatura che percorre i testi di Gli spostamenti del desiderio: «Il sogno/ è identico alla vita […]/ Ma poi è anche il suo opposto»; «il reale […]/ Il suo opposto/ non è l’immaginario»; «Cosa ci definisce?/ […]/ È come/ la parte prende parte/ al sogno dell’insieme». […]

Alfredo Rienzi

Dalla Prefazione

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