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LE POESIE CIVILI DI CUCCHI

LE POESIE CIVILI DI CUCCHI

Maurizio Cucchi pubblica Nel vasto territorio tossico -Poesie civili (Interlinea), sulla scia del Festival Internazionale  di Poesia Civile della città di Vercelli: 43 testi brevi e incisivi in cui l’autore, come sintetizza l’editoriale, s’interroga sulla società liquida e inquinata del nostro tempo, tra la superficialità dei social e la profondità delle campagne contro i cambiamenti climatici alla Greta Thunberg, nell’idea che i giovani non sono affatto un corpo indistinto “ridotto al gregge e allo sballo” e anzi da loro può venire la capacità di una svolta “nel vasto territorio tossico / che sarà nostro lascito e dono”. Si riconferma qui, anche nelle delusioni e nelle insofferenze che venano tutta la raccolta, la cifra dello scrivere in versi di Cucchi, nella caratteristica verificabile in tutti i suoi libri della convivenza del forte peso specifico delle cose che sempre trova pronuncia dentro la leggerezza del suo linguaggio iridescente e mutevole. Circostanza che appare ancora più evidente nei passi che toccano i ripetuti e diversi guasti prodotti nel mondo non solo nell’ambito della natura violentata e contaminata ma nello stesso imbarbarimento della collettività umana; leggerezza che passa attraverso la scelta poetica di una misura prosodica interna, una naturale cantabilità (perfino rimata in certi passaggi). Ancora e sempre in Cucchi a valere è la dimensione per così dire ossimorica dei due termini antitetici, effetto in cui la profondità scorre fluttuante in superficie: l’essenza affabile della sua poesia rivelatrice  trascina quasi inavvertitamente il lettore nel cuore delle cose coinvolgendolo.  E certo l’occhio del poeta non si limita a documentare danni e sopraffazioni con i loro responsabili diretti e indiretti, ma è pronto a cogliere e testimoniare anche il buono che ancora emerge nel disastro in atto. Non a caso, infatti, il libro si apre con le esperienze  del  viaggiatore ed “osservatore di paesi”, del “seguace di nuvole” che scruta il mondo e curioso si muove in mezzo ai luoghi che conservano ancora il segno di una nobiltà e di una bellezza tutt’altro che cancellate. Lo seguiamo nei suoi viaggi, interessati alle reazioni che si materializzano nelle sue parole di una nettezza icastica. Lo vediamo muoversi nella Sète di Valéry e del suo Cimitero marino, quasi a fare i conti con se stesso rispetto al poeta “ammirato però purtroppo non abbastanza amato”. Lo seguiamo a Pompei, a Bardolino del Garda, in una Catania smarrita e sinistra e più lontano in giro per il mondo. Il pessimismo dell’intelligenza trova un certo conforto nell’ottimismo della volontà dietro anche ai sogni degli adolescenti che parlano con  le “proposizioni attive di Greta” e che lo riconciliano con le ragioni della sua infanzia, pronto a difenderle nella soave incantata sezione “Connetti fanciullo!”. È il bambino che “sorride al sorriso / piace a chi gli piace / corre come volando / le braccia verso il cielo” ed è il “sedicenne smarrito” che scopre la musica di Bach dietro all’incanto della Toccata e fuga in re minore. A lettura ultimata, si resta con il fascino dell’immagine dell’autore che nel cuore della sua Milano continua a dirci: “mi accomodo / sereno come in un dolce guscio, / dinamico, però, e insieme protettivo, / sempre più mio, e vivo” o, seduto al caffè per un aperitivo, “sfoglio, / leggo, sbircio, contento del reale / che si dà cartaceo, il mio giornale”.

Paolo Ruffilli

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