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SABBIA E LUCE DI GIOVANNI SATO

SABBIA E LUCE DI GIOVANNI SATO

Poesia è dare voce alle proprie emozioni, oggettivarle, universalizzarle. Poesia è racconto essenziale della vita nella coralità, che le è propria. Giovanni Sato, medico umanista, fedele ad Ippocrate e al dono delle Muse, si immerge nei fondali della coscienza per portare alla luce la parola, allusiva ed evocatrice, che renda le proustiane intermittenze del cuore, con il dono dei veri poeti di universalizzare gli stati d ‘animo. La coralità è tratto saliente della sua poetica. In Sabbia e luce (Biblioteca dei Leoni) diviene cantore di una ricerca incessante di autenticità e di luce, mentre dalla clessidra del tempo si accumulano granelli di sabbia; nel fluire inesorabile del tempo, nella consapevolezza del precario, della labilità e futilità delle cose, alla scoperta dell’essenziale. La silloge Sabbia e luce consta di tre capitoli: “Insabbia”, “Il bordo d’ombra dell’Infinito”, “Come la sabbia va con la sua luce”. È un percorso esistenziale e poetico che ha come sfondo la natura: le sue stagioni, i suoi cicli. Elemento fondamentale: il mare, metafora possente dell’esistenza, delle sue esperienze e contraddizioni. E la sabbia, “miniera di minuscoli grani”, sulla quale, camminando, gradualmente scopriamo “il fondersi della luce / in mutanti dune / e lunghezze mute / colme di conchiglie”. E il verso lirico diviene quasi racconto: “Sabbia e luce dormono vicine / strie d’ombra e di sole / si attraversano l’un l’altro / senza moto né parola. // Solo un silenzio rotto dalle orme / nel passaggio stretto della via / Altri lidi attendono / ed il sonno che unisce continua / fra mare e terra / in imperterrite maree. / E, d’improvviso, la linea d’ombra dell’infinito: / Lì avvenne / l’improvviso / e null’altro serviva al tempo / per essere completo”. E, nel ricordo di Dino Campana, l’infelice poeta di Marradi, dei suoi infiniti viaggi, tra genio e follia, Sato pone in epigrafe la difficile domanda esistenziale: “Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte / abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto ci / appare ombra di eternità?”  Il viaggio continua e, alla fine dell’onda, balugina l’essenza: “Quando finisce l’onda / tu ed io guardandoci vediamo il fondo / d’ogni nostra apparenza sparire. / … Quando finisce l’onda / un mare ci avvolge con suon di lira / e prende forma / tra i nostri corpi uniti, / quell’essenza d’anima chiamata cuore”. Nel terzo capitolo, nel compiersi del viaggio: “La luce è sabbia / e la sabbia è luce / tutto ora riluce”. E un inno è levato al mare: “ … Ed amo del mare la forza / incessante dell’onda che viene”. Gli occhi si volgono in alto: “Se piove salirò le dune / e dall’alto guarderò lontano / c’è sempre un tetto sotto il cielo / e il cielo stesso è un tetto / dall’ampio universo”. In un’immedesimazione nella Natura, in una compenetrazione nell’Universo, l’approdo all’Amor che move il sole e l’altre stelle: “Oh Clessidra / tempo che viene e vai / il creato su di te s’adagia … … Il creato le creature accomuna / in un afflato di così intenso amore / di così Amore intenso il cui tocco / sulle cose dà luce Luce e vita Vita”. Giovanni Sato è cantore dell’Infinito.

Lorenza Rocco Carbone

Literary.it

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