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BONADÈ IL RIMBAUD ITALIANO

BONADÈ IL RIMBAUD ITALIANO

Lorenzo Bonadè, Domus dei (Biblioteca dei Leoni). A proposito di Mattatoio, dodici anni or sono scrivemmo tra l’altro che è proprio del poeta, e probabilmente del filosofo, oscillare tra due estremi, quelli che Mattatoio contiene, un piccolo capolavoro nel suo genere. Riportiamo testualmente dalla fascetta: “Un Rimbaud del nostro tempo. Vita e letteratura intrecciate negli eccessi di un autodistruttivo e provocatorio disordine dei sensi.” Che Rimbaud abbia in qualche modo influenzato il nostro poeta è innegabile, ma occorre vedere come. Infatti chi più e chi meno venendo a contatto con l’opera del francese ne ha subito il fascino. Qualcuno si è rivolto altrove, o per scarsa informazione o per volontà propria. I vari appunti che si possono fare riguardano la religione e la politica, ma in ultima analisi la concezione di una poetica che ribalta tante certezze che si avevano fino a quel momento. Di conseguenza, rilevati i punti dove un’ascendenza si fa più marcata, la poetica di Bonadè se ne distacca per alcuni motivi. Un parallelo effettivo non è possibile. Bonadè ha quarantun anni e quindi è vissuto più di Rimbaud, inoltre continua a scrivere poesie. La forma peraltro corrisponde, ossia una narrazione formale e un sentimento estetico che tornano nei versi come in Ballata. In prefazione Ruffilli parla di linguaggio alogico, e su questo siamo d’accordo. È da tempo finita l’idea che la poesia e la scrittura in genere debbano significare, acquisendo invece il senso, contando più la presenza della scrittura che la sua costituzione logica per comunicare. Borges scrive in un suo racconto che nulla può venir comunicato attraverso l’arte della scrittura. Vero o falso che sia questo concetto, è indubbio che anche linguaggi assai semplici devono essere decodificati a causa delle mutazioni di tempo e luogo che un idioma subisce. Qui le tante visioni sembrano convergere in un sol punto, ribadendo quasi dei principi sui quali è dato costruire un’ipotesi sociale. Quando il poeta parla di “centinaia di incarnazioni, migliaia di profezie, milioni di visioni” agisce come la letteratura dovrebbe agire, cioè incarnandosi: solo allora è comprensibile l’umanità globalmente e singolarmente. Di tutto questo non resta nulla. Procediamo allora verso il nichilismo, annullando qualsiasi verità che potrebbe apparire sull’orlo della nostra coscienza. La musica ci aiuta essendo una indiretta fonte di conoscenza, anche se è una esclusiva entità sonora priva di appigli verso la realtà se non per certi effetti concreti. Quanto poi il poeta sia portato all’assurdo o al paradosso non fa che ribadire una condizione che vista sino in fondo è assurda o paradossale: ci riferiamo alla vita nel suo insieme. Non è forse assurdo che miliardi di vite trascorrano senza lasciare segni visibili? La fisica ci sta sempre più abituando ai suoi paradossi: ciò che oggi sembrava impossibile, domani sarà possibile. Al pari di Rimbaud siamo sicuri che anche Bonadè è un veggente, non tanto nel prevedere, quanto nell’apprendere attraverso l’esperienza. Ne risulta che il nostro mondo, soprattutto quello sociale, diviene insopportabile poiché utilizzato secondo certi parametri che alla fine contraddicono il percorso etico che l’umanità aveva iniziato. Si raccolgono allora gli aspetti deteriori dell’esistenza per tradurli in una coscienza superiore. L’arte medesima è illusione, e ancor più inganno. Scrivendo inganniamo gli altri e infine noi stessi: se riusciamo a scoprire l’inganno non possiamo farne a meno, eliminandolo non ci resterebbe nulla. “L’artista deve rinnegare talvolta la propria opera” (Girone della bellezza): è un esercizio salutare, che ci disintossica dalle false promesse. È naturale che una vera, si fa per dire, opera deve sempre essere in divenire, mai concludersi, ancorché ne venga messa la parola fine. È un invito a leggere, ma in modo nuovo, fermandosi a ogni frase e parola: in Domus Dei incontriamo taluni desideri inconfessati e forse qualcosa di più.

Luciano Nanni

Literary.it

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