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ANTONELLA LA MONICA: IL SESSO E L’AMORE

ANTONELLA LA MONICA: IL SESSO E L’AMORE

Ecce Eros (Salvatore Sciascia Editore) di Antonella la Monica sconvolge gli schemi mentali dei cosiddetti benpensanti, ma anche gli schemi della poesia di oggi, e ciò indipendentemente dal fatto che essa abbia così poco da dire nella forma e nei contenuti. La poetessa di Santa Caterina Villarmosa irrompe nel quieto vivere del lettore e si erge a maestra di sesso e di amore gridandoli, con accesa passione, in ogni particolare e con una tale intensità e perizia da fare impallidire anche coloro che credevano di sapere tutto sull’amplesso e soprattutto i nostri padri del mondo classico, ma anche i contemporanei. Certo, Saffo e Catullo e Ovidio e Kavafis e Gibran, ma non è da meno Neruda quando nel fuoco del sesso grida: “Bevo il tuo sangue, spezzo le tue membra una a una”. Ebbene, Antonella ci convince di aver potuto tutto sul fronte dell’amplesso gridato a squarciagola. Bisognerebbe profanare i recessi della psiche umana per dire ciò che c’è da dire su questa coraggiosa ed eccellente raccolta di versi, oggi unica nel suo genere, altro che Alda Merini o Patrizia Valduga! Qui è la poesia, in tutta la sua irruenza, che si fa gioco erotico là dove questo diviene strumento di poesia. La poetessa mette alla prova i suoi lettori che sentono di dover prendere alla radice il discorso recensorio e svilupparlo senza alcuna esitazione e con molta onestà intellettuale. Ecce Eros (ecco qual è il vero eros… questo sì che è sesso… del vero sesso ve ne parlo io!…) ci conferma quanto veramente sappia il maschio delle donne: niente! C’è un gustoso libro pubblicato dalla Newton Compton Editore, Tutto quello che gli uomini sanno delle donne, nel quale, in quarta di copertina è riportato: “Gli uomini ne sanno di donne quanto i calciatori di filosofia”. Ebbene, sì. Il libro scorre agevole per ben 122 pagine bianche! Ed ecco cosa sa l’uomo delle donne: nulla, il vuoto assoluto! La poetessa La Monica lo dimostra con il suo sorprendente Ecce Eros, ecco il sesso! Come dire: ve lo racconto io il sesso, signori uomini e vi faccio anche vergognare poiché non sempre siete all’altezza di certe situazioni da Ars amatoria. Altro che Ovidio o, quando vuole, il volgare Catullo! Saffo, poi! Perché tanta strada per scomodare la classicità? Nei versi di Antonella c’è molto ma molto meno in cifre di volgarità e di sfrontatezza e c’è assai più in termini di arte, ove si consideri la bravura nella ricerca dell’artificio del camuffamento, nel quale si afferma nello stile della malizia, o si nasconde con divertita ironia, ciò che si fa e si dice… Di questo va dato atto alla poetessa, particolarmente quando nel suo ”trattatello” sull’Eros rivela con coraggio il furor erotico o il fuoco del sesso che le arde dentro. Raffinato, sfrenato, creativo, sapiente, divertito ludus eroticus, di cui pochi conoscono lo sfizio! Altro che il volgare Catullo, che nell’esasperazione del gesto raccontato, e all’acme del piacere, metteva in atto l’esercizio dell’automasturbazione! A ogni modo, qui si apprezza la bravura nel gioco della ricerca dell’artificio del camuffamento semantico e delle immagini, in favore di un espressionismo che afferma e nasconde, con divertita malizia, ciò che si fa e si dice, ma facendo ciò che si dice… Penso alle ragazze che al concerto modenese di Vasco Rossi esibivano il reggiseno con su scritto: “Fammi godere!”. Ma aggiungiamo qualcosa ancora a questo nostro discorso su Ecce Eros, che è poesia disinibita e gridata, orgasmica, rivissuta sulla pagina aperta a tutti come una confessione liberatoria, che però non ha bisogno di indulgenze, semmai di condivisione, perché è bello amare così e godere! È per tutto questo che la poetessa si è spinta a fare un’operazione di reinvenzione del Cantico dei Cantici  trasferito nella contemporaneità e dunque linguisticamente contaminato da innesti siculo-dialettali, come qui in Iè ura: “E stringimi\e vasami\ e liccami\ e sucami\ e pigliami\ cc’aspitti\ ièura\ na vuccata di cilu t’abbuccu\ na iunta di suli t’ammucchi…”. O, altre volte, dà luogo a strutture poetiche che si avvalgono dell’uso della parola del dialetto locale. Antonella vive in una bella villa che domina dall’alto Santa Caterina Villarmosa, in quel di Caltanissetta. E in questa sua dimora si dedica allo studio e alla sua poesia nelle ore libere dall’insegnamento. E perfino ad operazioni come queste, direi “filologiche” per qualche aspetto. Facendo rivivere nei suoi versi amorosi, dedicati al marito Carmelo, il Cantico dei Cantici nella forma e nelle intonazioni dialettali che accendono la lussuria o l’eros della coppia nell’eden di verde del loro giardino. Anche l’ambientazione, la scena del teatro erotico è immerso nella campagna... E’ la notte\ quando pascolo erba fresca\ nella tua bocca che sa di menta Tantumcollutorio\ quando assaggio le tue braccia di muschiosandaloVidal\ […]\ quando l’accolgo nel feudo di velluto… ( Notte viola glicine pergolato). Maestra di allusività nell’invenzione di metafore, che nel nascondimento celebrano la vertigine della libido dell’eros a dispetto delle “quinte” del suo teatro dove “ Lecco stille sul corpo tuo\ al mio arrampicato…” (Incanto).

Giovanni Occhipinti

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