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IL DESIDERIO DI ETERNITÀ IN CONTI

IL DESIDERIO DI ETERNITÀ IN CONTI

L’autore, Alfredo Alessio Conti,  è nato a Bosisio nel 1967 e attualmente risiede a Livigno. Ha già diverse pubblicazioni al suo attivo. Questa raccolta, Quando un poeta se ne va (Youcanprint) balza subito all’occhio per certe sue peculiarità visive, per esempio l’ampia spaziatura fra i versi e la struttura in genere verticale e per versi brevi o addirittura minimi. Non che manchino versi più estesi: in “Al risveglio” incontriamo un dodecasillabo: “e i nostri cari riposano nel sonno”; in “A ritroso” un novenario con non comuni accenti di quarta e ottava: “a temporali ed acquazzoni” (vedi fr. Papafava); nello stesso testo un ottonario trocaico: “come un fragile Titanic”. Poi, i versi brevi: “che la mia carne” quinario (“Conservalo”); “che le cose” quadrisillabo (“Senzatetto”) sino all’estremo bisillabo, ora sdrucciolo: “ruvide” (“Esito”) o di una sola lettera: “e”, su cui, anche se atona, cade l’accento. Questo per definire una struttura certo più rara come probabile scelta dell’autore per conferire ai singoli versi maggiore ‘potenza’ distillandone il percorso. Ovviamente, è il contenuto poi a completare lo stile del poeta, attraverso la valutazione delle parole e la creazione di allegorie e metafore originali. Nella già citata lirica “A ritroso”, esse si presentano nel complesso testuale, conferendo una maggior presa semantica. L’idea religiosa risalta spesso: non va dimenticato che il Conti ha conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. Il desiderio di eternità si affaccia in Amen: “Vorrei essere un vecchio papiro” — inusuale similitudine che contiene in sé numerose interpretazioni e secondo taluni ha non di rado una valenza spirituale. Insieme a quei sentimenti perenni il poeta riconosce che nella fredda terra vi sia il letargo: un presupposto della nostra eternità? La poesia omonima esprime la speranza, il che non vuol dire perdita completa dell’essere, poiché nella materia le creature e le cose si trasformano: uno stadio progressivo che Poe descrive nel suo colloquio tra Monos e Una. La poesia ci dà la facoltà di udire l’inudibile, di cogliere nel paesaggio, ad esempio quello marino, le voci profonde che ci parlano anche di dolore, di grida di aiuto: a questo punto giunge la sensibilità, parte essenziale della vita, parola quest’ultima che ricorre spesso nella presente silloge. Ne esce una grande lezione, ciò che vita e ciò che non è: il poeta nel suo “Laccio invisibile” ci avverte: non si può vivere senza amore — è questo probabilmente lo scopo dell’esistenza.

Luciano Nanni

Literary.it

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