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LA ‘SCRITTURA COME CIGLIO’ DI LERONNI

LA ‘SCRITTURA COME CIGLIO’ DI LERONNI

La realtà si è eclissata. E con essa la Storia (qualsiasi cosa si voglia intendere con questa parola). Resta soltanto una voce e non è per fortuna quella lagnosa del solito io extra-large che respinge anche i lettori più resistenti e audaci. È, semmai, la voce di un veggente che parla da un tempo e un luogo indefiniti, una voce a cui si presta ascolto con fiducia istantanea, senza un motivo plausibile e senza fatica. La realtà si è sì eclissata ma non è scomparsa, è il sottofondo di quella voce che parla di noi, del nostro essere al mondo. I tragitti e le strategie della parola sono davvero sorprendenti a volte. La nuova raccolta di poesie di Giacomo Leronni (Scrittura come ciglio, puntoacapo Editrice) si intreccia strettamente con il suo libro precedente del 2012, Le dimore dello spirito assente (stessa editrice). “Le due opere”, precisa l’autore nella nota che chiude il volume, “devono essere considerate come le parti di un’unica stazione orbitante nel mio particolare universo poetico e linguistico”. Leronni (Gioia del Colle, 1963) è uno dei più rappresentativi poeti pugliesi di oggi. Già nel ’98 vinse il prestigiosissimo Premio “LericiPea” per l’inedito. L’anno seguente fu invitato a “Ricercare”, il laboratorio di nuove scritture di Reggio Emilia organizzato da Balestrini, Barilli, Caliceti e Burani. Da allora ha continuato a inanellare importanti riconoscimenti, l’ultimo dei quali è il Premio “Nabokov” dello scorso anno. Nella prefazione a Scrittura come ciglio Daniele Maria Pegorari afferma che “concentrazione lessicale” ed “esattezza sintattica” sono i “punti di forza” e le “costanti stilistiche” della poesia di Leronni. Un’affermazione giustissima come si può riscontrare in questa pregevole poesia che dice qualcosa, anche, sul titolo del libro: “Tutto è piegato alla parola. / Il sonno malcerto / la luce confusa fra il grano // tutto è / adagiato in una torbida linfa / in una polvere coerente. // Pochi passi, infine il buio: / una colomba cupa / che induce il sangue alla veglia. // La corrente, le piume del falco / il frinire sommesso dai campi // bagliori che smagliano / uomini, donne frenetiche / fino a renderli / una copiosa caligine. // Tutto è sedotto dalla parola. / In quella valle / che piega alla visione / con nomi fastosi / mi sporgo dal ciglio / che mi è dato in dono”.

Vittorino Curci

La Repubblica

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