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‘BELLUNO’ DI PATRIZIA VALDUGA

‘BELLUNO’ DI PATRIZIA VALDUGA

Patrizia Valduga lavora da sempre con virtuosismo sul retaggio formale della grande tradizione lirica italiana (da Dante a Tasso a Marino) e di quella della prosa (Bandello, Bartoli), ma in una chiave ossimorica insieme sacrale e ironicamente trasgressiva. E l’ironia, in ogni caso, è solo un riscontro in negativo rispetto all’altro dato dominante che è lo strazio. Così la vena rovente e drammatica veicola il suo potenziale esplosivo, continuamente risolvendolo e traducendolo in “sonorità”. Scandita in sonetti, ottave, canti in terza rima, la poesia di Patrizia Valduga insegue l’identificazione  dell’Amore, presenza decisiva, in quel cerchio aureo in cui la parola si fa carne, per usare un verso della stessa autrice. E, a determinarla, è la sua pronuncia privilegiata, melodiosa e insieme acuminata, squillante comunque in una corrispondenza di accordi e di registri. Patrizia Valduga adopera spesso endecasillabi e rime e per lei la gabbia della forma è l’unica libertà possibile. Più è costretta e più riesce a far scaturire verbalmente tratti di una lingua che oltre il pensiero e l’emozione scatena incantamento. Anche nel nuovo poemetto appena pubblicato da Einaudi, Belluno-Andantino e grande fuga, la scelta formale è la gabbia di quartine di settenari e di endecasillabi, in un serrato e ossessivo ritmo di assonanze e rime, effetto fonosimbolico pure qui a rimarcare la coincidenza insopprimibile di ironia e di strazio. Il tema, in questo caso, è la città di una parte della sua vita (nata a Castelfranco Veneto è vissuta molti anni a Belluno) e quella dove ritorna per le vacanze. Come in altre occasioni, anche Belluno è insieme un poema, un pamphlet e un mistero scenico. In fondo, può essere letto, ed eventualmente messo in scena, nella forma di una pièce teatrale. C’è la suggestiva rappresentazione della città con la sua piazza e le sue strade, nel coronamento delle montagne circostanti. Ci sono molti atti d’accusa, più o meno divertiti o graffianti, nella trafila delle persone chiamate in causa, compresa la lista dei suoi fidanzati. Ma c’è soprattutto un atto d’amore assoluto nei confronti del compagno di vita, Giovanni Raboni, e un’accorata richiesta perché Milano non si dimentichi del grande poeta scomparso, appello oltre tutto motivato nello specifico da un lucido saggio finale dell’autrice sulla poesia di Raboni.

Paolo Ruffilli

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