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LA QUOTIDIANITÀ DI MAURIZIO CUCCHI

 

LA QUOTIDIANITÀ DI MAURIZIO CUCCHI

Per parlare della nuova raccolta di Maurizio Cucchi Sindrome del distacco e tregua (Mondadori), parto da alcuni versi dell’ultima sezione, quelli che dicono: “La poesia ha parole pesanti / che in queste strane pagine / sembrano mobili e leggere. / Viaggiano quasi imprendibili, / cangianti, e disorientano / la nostra vecchia mente di carta”. La ragione è che mirabilmente l’autore qui fotografa di passaggio una situazione che è la cifra stessa del suo scrivere in versi, nella caratteristica verificabile in tutti i suoi libri della convivenza del forte peso specifico delle cose che pronuncia dentro la leggerezza del suo linguaggio iridescente e mutevole. Circostanza che appare ancora più evidente nei passi in prosa che occupano in parte il nuovo libro, in particolare nelle sezioni “Felicità frugale” e “La chiave di volta”; una prosa che, d’altra parte, ha sempre una sua misura prosodica interna, una sua naturale “cantabilità”. Questa dimensione per così dire ossimorica dei due termini antitetici, in cui la profondità scorre fluttuante in superficie, è sempre più l’essenza della sua poesia rivelatrice e trascina quasi inavvertitamente il lettore nel cuore delle cose coinvolgendolo. La poesia di Cucchi vive nell’ottica della rassegna dei dati autobiografici, del loro incrocio e delle loro combinazioni, per cui ogni suo libro è una sorta di quaderno degli appunti, delle notazioni maggiori e marginali, dei depositi del sapere, delle accensioni, degli umori e dei malumori, dei frammenti di ricordo, degli stati rimossi e delle sensazioni. Un album della personale condizione, “privata” eppure dalle valenze universali, che ricompone nella sua analisi programmatica il senso di una vita che ci trascina a mete non desiderate, fuori da ogni  possibile piano di organizzazione e di sistemazione, eppure dietro a un impulso riconducibile a quello che chiamiamo libero arbitrio. E, sul nastro a scorrere delle immagini, continuamente esercita interferenza l’occhio vigile di un testimone del nostro tempo, attento a cogliere comunque e a registrare sulla cartina di tornasole anche le vibrazioni di una vicenda comune e generale, perché non c’è niente che sfugga alla sua individualità ed è tutt’altro che una monade isolata da tutto il resto. Per la poesia di Cucchi si può anche parlare di una mitologia del quotidiano, còlta nel suo paesaggio privilegiato, quello urbano: con i suoi interni (case, negozi, bar) e i suoi esterni (strade, quartieri), dove acquistano rilievo le estensioni di una capacità immaginativa. Un’energia intellettuale, continuamente in movimento e tale da trasfigurare da immagine a immagine a partire dai dettagli della realtà, in un vorticoso percorso anche onirico, in questo libro ci trascina da “un immenso cortile di pietra” fino alla cittadina ucraina  di Pryp’jat’ contaminata dalla centrale nucleare di Černobyl’ o nella periferia e nei dintorni di Milano o per le vie e le piazze di Nizza. Le presenze vive di figure come  Giuseppe El Pinìn o Michelline la vecchia pescivendola ne sono al massimo grado l’esempio potente, in ogni caso decisive nel disegnare un insieme dentro al quale passo dopo passo si evidenzia la riconoscibilità generale, senza per altro mai assurgere a nessun tipo di presunzione e restando anzi al contrario con i piedi ben piantati per terra dentro il proprio ordinario mondo quotidiano eppure nella consapevolezza frantumata di tutto quello che lo trascende, restituendo a chi legge il senso vero e sconcertante della vita.

Paolo Ruffilli

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