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LA POESIA DI DE BIASE

LA POESIA DI DE BIASE

Ottaviano De Biase è figura eclettica che coniuga la passione per la parola poetica con la ricerca storica e bibliografica, cui, per lunghi anni, si è dedicato come attestato dalle numerose pubblicazioni all’attivo. Gli studi monografici sono rivolti, in particolare, a tracciare il profilo della storia ecclesiastica, e non solo, dell’avellinese, o, più in generale, del Meridione. Da tali accurate ricerche emerge, senza dubbio, una particolare elezione per la propria terra, cui l’autore sente fervidamente di appartenere. È d’altro canto anche questo, uno dei temi privilegiati dell’intera poetica, giacché scaturita da un approccio fortemente sentito e radicato all’origine di sé e della proprie ragioni di scrittura. In numerosi testi di Terra bruciata (Fondazione Mario Luzi) l’autore rivive la dimensione, assai frequentata nella letteratura, del ritorno alla Terra Madre, con una approccio talora languido o sentimentale, proprio della poetica tradizionale o classica, dalle suggestioni epiche. Quella Terra è, infatti, ancella e custode di millenari segreti, l’arca salvifica, lo scrigno ove ripone l’identità specchiata delle genti, di un popolo intero e dell’uomo in quanto membro di una comune famiglia umana ma soprattutto civile: “Forse perché tu sola / hai saputo custodire i miei / segreti, le voci dell’anima / che si lasciano trasportare / sempre con estrema leggerezza.” A ciò fa da contorno, non nel senso dell’adorno dettaglio scenico, una dimensione retrostante, un luogo di frequentazione dell’animo, l’ambientazione della propria dimensione interiore più sentita, mossa da nuove e improvvise ondate di solitudine. È evidente poi che il discorso poetico dell’autore confluisca in più ampi echi di parola, come sono i riverberi universali e gli afflati cosmici di tutta questa versificazione, ritrovatasi in questa millenaria maternità dell’esistenza. Inevitabili, in questa poetica identificativa, i riferimenti più personali alla dimensione privata dell’autore, identificando l’immagine ed un volto reale e tangibile che si fa emblema, specchiata e radiosa sembianza in cui riflette una doppia identità, terrena e celeste: “Sul volto radioso della mia / nipotina Chiara / luccica il sole della scogliera.” Tale è il senso delle molteplici ambientazioni naturaliste, le primavere, e le affrescature marine, i paesaggi e le minuziosa panoramiche puntinate, nel restituire un incarnato vivo e reale dell’esistenza, il suo corpo, ma anche l’anima simbolica e figurata che le vive in grembo: “S’agita alle mie spalle / il vento velino e s’intrufola / fin nelle radici d’un albero.” Il cosmo è, in sostanza, il luogo d’osservazione, lo spazio verso il quale s’orienta l’occhio e l’animo al seguito, per divenire scintilla dalla quale far scaturire, ricordando Mario Luzi, un “fuoco della controversia” in cui “tutto viene posto in questione”. Ultimo aspetto degno di nota è suggerito proprio dal titolo dell’opera – Terra bruciata – che con la sua Tabula rasa testimonia, oggi più che mai, il senso d’attualità di questa poetica, che coniuga il verso, la profezia della parola, con un tempo ultimativo, ma anche con la sua inevitabile ed attesa rinascita e ricominciamento.

Mattia Leombruno

Prefazione

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