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LA LUCE DI GABRIELE GALLONI

LA LUCE DI GABRIELE GALLONI

Il libro di Gabriele Galloni In che luce cadranno (RP libri, 2018) si fa notare nell’oceano della poesia contemporanea, per più ragioni. Anzitutto, la penna dell’autore è senza dubbio talentuosa, ciò a dispetto della giovane età (Gabriele, infatti, è della classe 1995) . I componimenti della raccolta (si tratta di 46 poesie brevi) alternano un verseggiare in misura e rima, nel quale affiora una evidente eco di Montale; mi riferisco a delle quartine in rima ed alle rime a fine verso “liberate” dal seguente enjambement, schema formale sfruttato da Gabriele Galloni – sia chiaro: con parsimonia, non siamo di fronte ad una mera scopiazzatura – anche in versi inediti e pubblicati on line. Il modello che mi sovviene è quello di Spesso il male di vivere ho incontrato (da Ossi di Seppia). Ciò ha una certa importanza nella mia valutazione dell’opera: la traiettoria che parrebbe imboccata dal giovane autore non disdegna la “tradizione” o, comunque, quel modello poetico ormai inspiegabilmente raro e finanche snobbato nella contemporaneità, ma che, in realtà, avrebbe ancora un infinito potenziale: la forza motrice del “canone”, piaccia o meno, non è destinata ad esaurirsi e l’interpretazione in chiave moderna è una via da percorrere. In altre poesie la fluidità del testo rallenta, densifica, ed il dettato si fa più “duro” rispetto alla morbidezza sopra citata, pur tuttavia aggregando versi intensi e curiosi. Sì, curiosi, perché l’altro aspetto peculiare della raccolta è il tema affrontato. Si parla di morti, non di morte. Qui nulla accenna al dolore del trapasso, alla sofferenza, niente di tutto questo: i morti cantati da Gabriele Galloni (descritti nella loro bizzarra “quotidianità”, condizione temporale che li mostra eternati senza una valida ed apparente ragione) ispirano tenerezza e compassione, per il loro inconcludente aggirarsi nel loro mondo e nel nostro – quello dei vivi – imprigionati in un maldestro e infertile incedere: una condizione che rassomiglia ad una sorta di innocuo (ma vano) limbo. Sorge in me la curiosità di sapere, sapere quale sia stata la scintilla che ha portato l’autore a produrre questa raccolta così diversa. Questo, però, non si fa: la poesia la si deve sorbire così, come ci viene servita. Il sano lavoro di lambiccamento deve essere del lettore. Buona lettura.

Carlo Tosetti

L’EstroVerso

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