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MONTALE UNO E DUE?

MONTALE UNO E DUE?

(estratto dall’articolo in L’ombra delle parole)

La traiettoria del percorso della poesia di Eugenio Montale è il punto di arrivo di un certo modo di intendere la letteratura: la concezione del letterato come del “dilettante di gran classe” e del suo lavoro come della più sublime delle inutilità, nel rifiuto dell’idea dell’intellettuale “professionale” e della sua presunta funzione nell’ambito della società. Nella poesia “Pasquetta”, in Quaderno di quattro anni, si legge l’ulteriore ripresa ironica del tema montaliano del “dilettante di gran classe”, indicato come terza scelta possibile tra impegno e disimpegno. L’esperienza poetica di Montale si definisce, con tutta l’ampiezza della sua “negatività”, nei termini della crisi della civiltà borghese occidentale. Ma la prospettiva di questa crisi è a tal punto individualizzata che le cose appaiono senza possibilità di soluzione e di futuro. Non ci sono, agli occhi di Montale, altre possibili società e altre possibili culture. Il crollo dei valori borghesi è, per Montale, il crollo dei “Valori”, di tutti i valori possibili. Parlano in questo senso poesie come “La primavera hitleriana” o “Il sogno del prigioniero”, in La bufera e altro, raccolta in cui l’unica reazione possibile per l’uomo di fronte al crollo si rivela nella denuncia morale di tale condizione. E, da Satura in poi, le cose cambiano poco e solo per il fatto che il buio si rischiara un po’, con la scoperta di Montale preso tra la sorpresa e la risposta in chiave di umorismo che non si perde la carica vitale neppure nel disastro e che si riesce a soppravvivere perfino tra le macerie.

Paolo Ruffilli

L’ombra delle parole

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