La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Paolo Ruffilli


 

Paolo Ruffilli è nato a Rieti nel 1949, ma è originario di Forlì. Si è laureato in lettere presso l’Università di Bologna. Per più di vent’anni ha collaborato alle pagine culturali de "Il Resto del Carlino" e ad altre testate come “la Repubblica”, “La Stampa”, “il Giornale”, “Il Gazzettino”. Vive a Treviso dal 1972. Fa il consulente editoriale. La critica lo riconosce nel Neolirismo. Ha pubblicato di poesia: La quercia delle gazze (Forum, Forlì, 1972; 2a ed. 1974), Quattro quarti di luna (Forum, Forlì, 1974; 2a ed. 1976), Notizie dalle Esperidi (Forum, Forlì, 1976), Piccola colazione ( Garzanti, Milano, 1987; 3a ed. 1996; American Poetry Prize), Diario di Normandia (Amadeus, Montebelluna, 1990; Premio Montale e Premio Camaiore), Camera oscura (Garzanti, Milano, 1992; 3a ed. 1996), Nuvole (con foto di F. Roiter; Vianello Libri, Ponzano, 1995; 2° ed. 1998), La gioia e il lutto (Marsilio, Venezia, 2001; 3a ed. 2002; Prix Européen), Le stanze del cielo (Marsilio, Venezia, 2008; Premio Rhegium Julii), Affari di cuore (Einaudi, Torino, 2011), Natura morta (Nino Aragno Editore, Milano, 2012, Poetry-Philosophy Award), Variazioni sul tema (Aragno, 2014, Premio Viareggio). Di narrativa: Preparativi per la partenza (Marsilio, Venezia, 2003; Premio delle Donne), Un’altra vita (Fazi, Roma, 2010); L’isola e il sogno (Fazi, Roma, 2011). Di saggistica: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, Milano, 1991), Vita amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, Milano, 1993); oltre a numerose curatele di classici italiani e inglesi. Ha tradotto: K. Gibran, Il Profeta (San Paolo, Cinisello Balsamo, 1989; 10a ed. 2002), R. Tagore, Gitanjali (San Paolo, Cinisello Balsamo, 1993), La Musa Celeste: un secolo di poesia inglese da Shakespeare a Milton (San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999), La Regola Celeste – Il libro del Tao (Rizzoli, 2004). Osip Emil'evič Mandel'štam, I lupi e il rumore del tempo (Biblioteca dei Leoni, 2013), Costantino Kavafis, Il sole del pomeriggio (Biblioteca dei Leoni, 2014), Anna Achmatova, Il silenzio dell’amore (Biblioteca dei Leoni, 2014), Boris Pasternak, La notte bianca (Biblioteca dei Leoni, 2016), Gibran, Il Profeta (Biblioteca dei Leoni, 2017).

 

Sito Web Ufficiale: http://www.paoloruffilli.it

Pagina Facebook: http://www.facebook.com/paoloruffilliautore?fref=ts

Lyrikline.org: http://www.lyrikline.org/index.php?id=60&L=1&author=pr01&cHash=db98e72615

Poetry International: http://www.poetryinternationalweb.net/pi/site/poet/item/6376/24/Paolo-Ruffill

Literary.it: http://http://www.literary.it/autori/dati/ruffilli_paolo/paolo_ruffilli.html

E-mail: ruffillipoetry@gmail.com

 

da LE COSE DEL MONDO

 

 

IL MAI PIU’

Il termine ridotto

all’incredibile, con

tutti i suoi

sospesi, rimorsi

e sottintesi. Un

punto fermo al

resto che si muove,

pensato e ripetuto

pronunciato

come dato impossibile:

"Mai più".

Per ciò

che si poteva

e che non fu.

 

 

SERVI DEL MONDO

Le falsità dell’intelletto,

gli oscuri mostri

del pensiero, l’effetto

delle vane immagini

sul cuore, l’eterno

ricorso alle risorse

dell’amore, l’ombra

del vero eluso senza

reale soluzione. Con solo

un dato certo, in fondo,

neppure più la previsione

del tempo perso

per servire il mondo.

 

 

IN USO DI LITOTE

 

"Non offendendo

non essere offeso

e, non godendo,

nemmeno patire"

...un sofisma sottile

- non c’è che dire - però

velato dall’alone

debordante della litote.

Quel che è distrutto

patisce e, no,

quel che distrugge

non gode, nonostante.

 

 

CHIUSI NEL SOGNO

Nati dal corpo

di natura, distaccati

e alzati in volo, ma

ricaduti in ansia

e per paura.

Eppure amando

per se stessa,

sì, la vita.

Disamorati

delle cose umane

per l’esperienza

ma poco a poco

assuefatti a rimirarle,

quelle, da lontano

e, nel distacco,

vedendole più belle.

Disposti a sopportare

disagi e strazi

misfatti ed infortuni.

Chiusi nel sogno

intatto di uscirne,

chissà come, immuni.

 

 

L’OGGETTO DEL PENSIERO

E’ un’astrazione

e non un fatto:

l’oggetto

di un pensiero

un concetto

più che un sentimento

uno stato desiderato

inseguito dalla mente

eppure insoddisfatto

perduto prima

di averlo conquistato

e, dunque, mai goduto

(sempre sul punto

di essere... ) creduto

e delirato:

il senso del piacere.

 

 

NECESSITA’ DELL’INGANNO

Da me forniti a me

e usati, per dovere,

via via lasciati

andare tali e quali

intanto a fondo.

Nonostante sia inutile

sapere che il sole

si è levato o tramontato

che fa caldo o freddo

che qua e là

è piovuto o nevicato.

Mi faccio imbrogliare

dai segnali partiti

dall’oggetto morto

per l’amore

che ancora porto

mio malgrado

ai vizi capitali.

 

 

NELL’ATTESA DELL’EVENTO

Il nome non ancora

pronunciato:

ciò che, nel giro

della mente, ogni volta

si ripete per intero

eppure non è stato...

in un innesco continuato

dell’azione rimasta

(intricata e sciolta)

nell’appiglio

dei suoi stessi uncini.

 

 

LA GIOIA E IL LUTTO

L’accendersi e

lo spegnersi

(per caso?) della vita

la traccia luminosa

la scia che lascia

dietro a sé

quello che è stato

amato o non amato

comunque sconosciuto

la gioia e il lutto:

precipitato, tutto,

nel cieco vaso

tra le braccia del buio.

L’orma appassita

eppure rifiorita

di ogni cosa.

L’ombra e l’odore

neppure più il colore

il pensiero pensato

della rosa.

 

 

L’INTANTO

L’origine segreta

la fessura

la scaturigine

la fonte, di un proiettarsi

al meglio, al positivo.

In ciò che, stante,

creduto per durare

diventa poi stato

inamovibile cessato.

Ma, intanto, è geiser

soffione boracifero

spumante.

 

 

L’ESSERE AMATO

Sfiorato avvolto

blandito imprigionato,

specchio confidente

alimento prepotente

ossigenato,

l’essere amato

preteso e dichiarato.

 

 

SOGNO E REALTA’

In un gioco di specchi

sogno e realtà,

moltiplicandosi

nell’effetto miscuglio

- cocktail o frullato

intruglio o elisir -

hanno inventato

ed, ecco, rivelato

l’universo della vita

in una sfida stravagante

facendo eterno andare

di ogni istante,

oceano del poco mare

attraversato

e transatlantico

del piccolo natante

che vi si è sopra avventurato.

 

 

FELICITA’

Di fronte a ciò che muta

e dura senza posa

non vale l’intenzione

magari scrupolosa

di chi si pone

a metà del corso

la questione

e incerto si risponde

che, messa in conto

solo massimale,

la felicità

invece si confonde

con la dissolvenza stessa

di ogni cosa.

 

 

UCCISIONI

La violenza che gonfia

e scoppia fuori

saltata via la crosta,

la potenza mortale

di aguzzini e stupratori

in versione pressoché normale,

con le mani affondate

nel sangue di una vittima

ogni volta rinnovata

e lo scempio, poi,

della carne martoriata

agnello di una propria

colpa originale,

la ferita a tutto tondo

con su marcata l’intenzione

di farne l’ostensione.

Il coltello del cupo

sacrificio rituale

nei profani scannatoi

di questo mondo.

 

 

 

da CAMERA OSCURA

 

 

*

(Nell’abito di organza

traforato,

sta in posa

su di un piccolo divano.

Un braccio è

abbandonato

sul punto di cadere.

Sostiene il mento

con la mano.

Sotto la frangia,

fissa in lontananza

gli occhi neri.)

 

Presto invecchiata

dal mestiere,

sulla sedia in ombra

nella stanza,

tenendo tutto il giorno

il suo cappello,

cantava piano, senza

più sapere cosa,

lo stesso ritornello:

"il falchetto cacciavento

piomba a terra

in un momento".

Astro, folgore, cometa,

freccia d’argento.

Anche la traccia

luminosa...

è tutto spento.

 

 

*

(Il bambino appoggiato

alle ginocchia

di suo padre,

che muove intento

la manopola

e muto addita.

Con la madre

che guarda, rapita

e tesa sulla radio.

Nel cerchio d’oro

del salotto.)

 

Si può dire

ch’io sia nato

e poi cresciuto,

via via allevato

all’ombra del decoro.

Disposto a ringraziare

del poco ma sicuro,

contento ma non

troppo. Propenso

eppure ostile

a ogni rivolta,

portato a coniugare

in assoluto

rifiuto e senso

del rispetto.

Oh, il riflesso

amato, dall’orlo

già mai netto,

cola in eccesso...

la cima dell’abbaglio

sull’oggetto.

 

 

*

(Io, di sei anni,

credo. Distratto, ma

non troppo, dal gioco

al tavolino con i

tasselli dell’alfabetario.

Nonostante lo stato

precario della sedia,

immerso lì lo stesso

a combinare incroci

sul quadrante.)

 

La parola, per me,

veniva da distante.

Un a priori, quasi,

l’avvertivo. Un eccitante.

In un processo in

qualche modo inverso.

Nel darle per riscontro

una realtà che invece,

più toccata e presa, più

sfuggiva inconsistente

ai cinque sensi.

Con l’effetto di essere

lanciata contro un corpo

pronunciato e, nel suo

dirlo, di colpo riafferrato.

 

 

*

(Sul lungomare

in piena estate.

Lo chemisier

frizzante e

una borsetta bianca.

Si gira e parla.

La guardo che

mi guarda,

ed è beata.)

 

Mia madre, amata

e, per amarla,

tenuta più lontano.

Taciuta e distaccata

in ogni piano,

sentita straripante

e spesa a rate.

Rivista a tappe

da una mia vita

autonoma e distante.

Legata al morso

dell’attesa,

senza presa tra

noi, di un discorso.

L’altro capo

del filo che mi tira,

la forza di un percorso

senza uscita.

 

 

*

(Ho una maglietta

larga, che copre

gli altri panni.

I sandali di cuoio.

Tenuto per la mano

alla ringhiera,

dal ponte fisso il mare

e una barca che

passa lì di fronte.

Ho sette anni.)

 

Eccola,

sciolta al vento

la vela dell’infanzia

all’orizzonte.

Si impenna a tratti incerta

riprende la sua fuga

più lontano.

Scolpita sembrava

la mia rotta

e indubitabile, in

qualche modo aperta.

Sogni, progetti e piani

tutti, i più strani,

veloci e via guizzanti

sopra i flutti.

Se guardo indietro, ora,

mi vedo un po’ annegato

dal vuoto che, come

un vetro, si è posto

tra il me di adesso e

quello più discosto.

Per quanto rivelato

in molti luoghi e

aspetti, tanto

più nascosto.

 

 

*

(Di me, che vengo

a me più grande

e più lontano,

l’immagine che

avanza dallo specchio

di un vecchio armadio,

nell’anta che si

apre piano piano.

Con una mano tesa

a fare, forse, da

difesa e, l’altra,

stretta alla maglietta

nell’atto emerso

di coprirci il viso.)

 

E’ che restavo

ignoto, nel complesso,

nel senso del ritratto

e del contorno

che si era lì riflesso.

Distratto per l’inverso

da me stesso

nel mio apparirmi

di colpo più preciso,

perso nel chiuso

nei punti dell’oggetto.

E, oggi, ancora

cogliendomi diviso

da quello che mi penso

non mi vedo,

né giovane né vecchio

non so se bello o brutto.

Mi avverto come ingombro

oppure mi scompaio

quasi del tutto.

 

 

Garzanti Editore, 1992 (3° ed. 1996)

 

 

 

 

da PICCOLA COLAZIONE

 

 

MALARIA

"Qual è più caro, il nome o il corpo?"

Lao-tzu

"Il più alto grado di presenza è l’assenza."

Walter Benjamin

 

 

"Troppo comodo

fare quello che piace

e che si vuole".

 

La scatola di latta

è tonda e ruota,

una parte sull’altra.

Si può odorarla, vuota,

e leccarla, quando

la liquerizia è terminata.

 

mela arancia susina

mela arancia susina

 

...da dove saltano

fuori, i sogni,

vesti e contorni

al mostro, alla pazzia:

frullati, puzzle con

i tasselli fuori posto,

come uccelli colorati

o pipistrelli

staccatisi di colpo

dall’albero blu inchiostro.

 

"Dev’essere un accordo

dei grandi,

per dispetto o gelosia".

 

Sulla torre del castello

inespugnabile, sicura

da cui si tiene il resto

sotto mira. Un regno

piccolo ma certo, per

il tempo almeno in cui

la porta è chiusa a chiave.

 

(Scruta, salito

sul bordo della vasca

in bilico, svestito,

indaga sullo specchio

la forma o una ragione

di tanto desiderio.)

 

pesa il passo e posa piano

lancia il sasso con la mano

ferma adesso o vai lontano

 

"Mia madre dice che

posso togliermi tutto".

"La mia, non più dei

pantaloni e della maglia".

 

(Vedersi, essere

visto. Metterlo a nudo.

Tenerlo, se deve essere

tenuto. Ma gli pare

che si debba cercare

qualche altra cosa...)

 

Rosso. Di febbre, di

sangue. Dentro al fuoco.

Di unghie e labbra.

Di gente senzadio.

Di cappe, di bandiere.

 

Nel sommergibile, "Io",

in rotta per i mari.

"Tutti sottocoperta,

chiudere i boccaporti.

Immersione rapida".

Lo spazio circoscritto

la sacca degli odori

l’ombra del letto.

 

"... cuore, desco, nido

gnomo, soma, tetto".

 

Ancora. Esatta

la secca tiritera

parola per parola.

Specchio, ritratto

analogia, prova

che c’è, sotto, la cosa:

quel che sempre sarà

e sempre è stato,

non dovunque e

come sia. Dettato.

 

... sul Libro dei

Libri Famosi,

nell’enciclopedia.

 

"... ha i colori

del fuoco, della neve

e del prato".

 

"Dai, paga il pegno.

Dire, fare, baciare,

lettera o testamento?"

 

(Non è che smetta

anzi, a rifarlo, gli

sembra anche più bello.

Però ha il dubbio

che se resta magro

è proprio per quello.)

 

"Più vai veloce e

più, vedrai, ti piace".

 

... che una parola

abbia un sesso e una

persona (maschile se

finisce in a!). Ma

incomprensibile di più

lo stato di mancanza

di assenza, insomma

la parvenza negata

in un concetto neppure

rifiutato, inconcepibile,

del niente e lo stupore

a pronunciarlo.

 

"La sua, dov’è?

Da cosa è fatta?"

 

(A lui il gusto, solo,

di essere preso. E

il pensiero che è

ingiusto e svantaggioso,

e non tanto per lei

in fondo, se non ce l’ha.)

 

"Lo imparerai, quando

sarai più grande".

 

Visto in segreto e detto

al chiuso, in ombra

bisbigli, incerti

i margini, mai esatti

indizi di segnali

colti, strappati

in fretta e furia

a sillabe, per paura

di essere scoperti

prima di scoprire

centimetri quadrati

di anfratti, di peluria.

 

una rana nera e rara

sulla rena errò una sera

 

Paura che un vetro venga rotto

che il sale vada sparso

che si rovesci l’acqua mentre bolle

che una zingara entri in casa

che cada il fiasco d’olio

che si rovini la salute.

Paura di restare al buio

di trovare in casa un assassino

di cavarsi un occhio su una punta

di non essere promosso

di cadere in un burrone

di finire dentro a un lago

di annegare, di essere schiacciato.

 

"... l’hai detto.

Già se l’hai pensato,

che non sia stato

non conta più".

 

"Ci stai, allora?

Dai, parliamo male".

"Dobbiamo dire

tutte parolacce".

 

Detti e guardati

sopra il dizionario.

Ammessi, dunque, o

non del tutto ignorati.

E gli altri, sinonimi

più amorfi e grigi,

almeno registrati.

 

"Si mettono così,

l’uno sull’altro".

 

(Sdraiato, a letto,

per l’ennesima prova

generale col cuscino.

Febbrile e ansante

baciandolo, abbracciato.)

 

Contro lo specchio

rispetto a un altro,

piccolo, che scende e

sale, a controllare

qual è l’effetto

di una diversa visuale.

"Non devi stare

con certi mascalzoni".

Che sia davvero

proprio il tranello,

quello per tentarti

per farti cadere

e, preso nella rete,

condannato in eterno

tra urli e grida

nel lago, nella fossa

in mezzo al fuoco.

"Ciò che è confessato

è tolto. E resti libero

una volta assolto".

(Lo tormenta, a un

tratto, l’idea sgomenta

di non rispondere affatto

al modello di purezza

cui l’hanno abituato.)

... che esca fuori

una bestemmia

senza volerlo, che

si formi in testa

per un innesco

incontrollato.

Ma, sì, chi è stato

ai sette primi venerdì

del mese, preghiere

e litanie per ogni sera,

qualunque cosa ha fatto

e che continua a fare

sicuramente è salvo.

"Intanto, dappertutto

Dio ti vede".

(Punta là, senza

saperlo. E’ attratto

per istinto, risucchiata

la sua mano, intanto,

a quel convesso

senza appiglio.)

 

"Lo dico a tua madre

che mi tocchi".

 

... che accada e

non importa come,

che finalmente

sia tolta ogni riserva

e, costi quel che costi,

si abbia il seguito.

Nonostante l’idea

magari di disgusto,

anche nel sangue

nel puzzo e nel sudore.

 

"Piace anche a lei,

non credere".

 

Da consumarsi in fretta

al buio, al chiuso

della stanza,

senza che si veda o

che si senta, di nascosto

di straforo, a danno

di qualcuno, come offesa

rischio e, più, vergogna

violando, meglio che

si possa, la consegna.

 

... ed è, risulta

inconsistente,

quanto più detto

ordinato e richiesto,

contro lo stare

fermo e sordo,

questo sì eccome

imperioso e urgente,

del suo nome.

 

Di nuovo ripetuto

tra sé o a voce alta

riscritto in lunghe

file sui quaderni,

in grande e in piccolo

corsivo o stampatello

in alfabeto greco

con la grafia più antica

disegnato, perfino

cesellato. Sempre quello.

 

"A una cui vuoi bene

non lo fai".

 

Che sia dannata, sì,

e impura e lurida

perduta... ma destinata

a spegnere una sete

appetitosa, proprio

per questa cosa,

dolorosamente desiderata.

 

(Il sogno suo è di

perdersi, di cadere tra

le mani di una donna

senza scrupoli.)

 

"Si fanno fare

quello che ti pare".

 

Da compitare, legato

a un altro, spingendo

sui contorni, a voce quasi

spenta, smozzicata

sotto ai denti come

sotto la sottana,

il soffio disperato

di... puttana.

 

 

 

Garzanti Editore, 1987 (2° ed. 1989)

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