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I COLORI DI FRANCESCO PIEMONTE

 

I COLORI DI FRANCESCO PIEMONTE

La particolare raccolta poetica di Francesco Piemonte I nostri giorni perfetti (Biblioteca dei Leoni)  si snoda attraverso sei sezioni attraversate dal culto del paesaggio: immagini, luci e colori penetrati da ruggine o sole, brezza o sferzate di ghiaccio, che oltrepassano gli occhi e la mente del lettore per specchiarsi nel suo mondo interiore, e coglierne somiglianze e differenze. Nel prima parte, intitolata “Vedute”, l’autore dipinge con l’inchiostro “materia viva davanti agli occhi”, ci racconta di un “azzurro terso trasparente sulle creste”, e, attraverso un gioco prestato al panismo dannunziano, dichiara di “appartenere ancora a questo quadro”. Ricordi, interrogativi, e puntini di sospensione sono gli elementi ricorrenti di queste pagine e di queste poesie, il cui titolo è lasciato alla esclusiva immaginazione del lettore. In “Barocco virtuale” una vena filosofica di malinconia fa capolino in “un’altra realtà” che “appare e scompare, a intermittenze / insondabile”, e in “ogni attimo” che “si rappresenta e muta all’infinito”, attraverso microchip mentali e materiali che non lasceranno il segno. Perché “la memoria non salva. Satura”. E così eccoci ad esplorare le “Ultime periferie”, tramite una galleria di voci e personaggi roteanti, dove non c’è posto per le “pause vuote”, e dove è “vietato il grigio”. Una globalizzazione fatta di “tonfi soffocati, sibili veloci, urla / colpi di silenziatore, passi scanditi”, in cui l’ovvietà è mai fermarsi a pensare. Una metropolis del futuro nella quale “si sperde il guardare”. E’ dunque in “Consorzio civile” che il dubbio diventa certezza (“non apparteniamo più”): siamo biglie o bandiere abbandonate all’asta che nessuno nota, sullo sfondo di una laguna annebbiata dai fumi. Quasi una perdita del proprio io, che diventa lampante nell’ultimo stralcio della raccolta che dà il titolo all’opera. Qui è proprio l’identità la parola chiave: che essa sia salva o resti abulica, è fondamentale cercarla, e trovarla (“E noi di che legno siamo fatti? / Non vogliamo ritrovarci definiti”), affinché l’incombere delle stagioni non ci colga mai impreparati, anche se forse inconsciamente lo vorremmo. Lo stile di Francesco Piemonte è ruvido e diretto, e contemporaneamente abile nel cogliere immagini dolci e delicate (“in piedi nella piccola stanza / mentre leggi un poeta polacco impronunciabile”; “Passeggiata con un amico, campagna di marzo / Per gioco definire il carattere degli alberi”). La penna è circolare nel vortice delle visioni parche di punteggiatura, quasi al grezzo di un’argilla tutta da plasmare. Una produzione ricca ed incisiva, nella quale i colori della tavolozza spiccano decisi e con poche sfumature. Un omaggio a Chagall, con tanto di dedica finale per quel suo “cielo blu cosparso di fiori” e per quelle “finestre bianche aperte in cucina”, che danno quasi l’idea che tutto possa ancora accadere.

Deborah Benigni

Literary.it

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