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IL SEGNO CLASSICO DI SILVIO RAFFO

IL SEGNO CLASSICO DI SILVIO RAFFO

Quello che appare subito nella poesia de La vita irreale. Poesia su due toni (Robin) di Silvio Raffo è un talento raro, unito alla capacità tecnica, nata da una profonda cultura, di rielaborare con felice creatività le leggi metriche e prosodiche della grande tradizione. Tradizione non solo italiana, ma anche anteriore, classica nel senso più raffinato del termine, e straniera, in particolare la grande poesia angloamericana. L’autore è infatti uno dei più apprezzati traduttori, fra l’altro, di Emily Dickinson, a cui ha sempre riservato un’attenzione speciale. Questa duplice componente si traduce in una felicità di scrittura espressa attraverso i versi della più nobile storia poetica italiana, endecasillabi e settenari, e Silvio Raffo può permettersi, grazie a questi schermi letterari, che si traducono in rima e musica, l’apertura totale al proprio mondo interiore, dando vita a una forma di poesia autobiografica, permeata di ironia, che recupera, sia pure parzialmente, la lezione del “romanzo in versi” di Umberto Saba. Si parla, nei giudizi critici in quarta di copertina, di una vicinanza con il «crepuscolarismo» ormai di un secolo fa (Barberi Squarotti), e si può essere d’accordo. Tanto più che con la cantabilità di versi che alleggeriscono anche i contenuti più tristi, Raffo stesso ci fa una dichiarazione di poetica attraverso i propri maestri ideali, nella poesia, dedicata a Sandro Penna, Promenade de Dimanche: Penna appunto, poi Emily Dickinson, Giovanni Pascoli e Guido Gozzano, uniti da una sodalitas di energia pacata in una passeggiata che oltrepassa ogni confine. Si parla anche per questa poesia di un «destino di perfezione» (Gioanola): è probabilmente vera anche questa lettura, perché l’autore tende a uno splendore formale assoluto, un nitore dei versi raggiunto attraverso uno spericolato uso del proprio sapere, anche per esprimere i contenuti più intimi. Silvio Raffo agisce come potrebbe fare un pittore, che padroneggia alla perfezione la tecnica, per mettere a nudo in grandi scene la propria stessa vita, soprattutto i propri dolori e le proprie delusioni. Certo, la ricerca della perfezione rischia di creare un’immagine ideale di sé, ma ciò avviene senza falsare una verità dell’anima cantata da questa voce levigata, ma non per questo meno potente. Il titolo stesso del libro allude con ironia e grazia a un’autobiografia ideale, in bilico fra «sublime melodico e ironico quotidiano», fra slancio passionale e dissacrante riso. Al punto da trasformare le proprie esperienze in figure quasi allegoriche, a loro volta personaggi di un mondo personale e condiviso, «irreale» in quanto innalzato dalla dimensione della cronaca a quello di una storia sublime (il cui protagonista è un «esemplare di fanciullo eterno»), come «Madama Povertà» e «Sorella Solitudine pensosa». Silvio Raffo con questo libro si conferma poeta completamente libero, in grado di servirsi della suprema irriverenza della perfezione formale al di fuori di schemi consolidati, dettami di scuole, mode e filoni collettivi. La sua poesia è una festa per i lettori, un appuntamento atteso, una possibilità di riconciliazione con il genere letterario meno amato negli ultimi decenni.

Bianca Garavelli

Avvenire

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