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L’INQUIETO VIVERE DI MARGHERITA GUIDACCI

L’INQUIETO VIVERE DI MARGHERITA GUIDACCI

Il canto dell’inquieto vivere trova non comuni accenti di sofferenza e di passione in tutta l’opera di Margherita Guidacci e, in particolare, in libri come Paglia e polvere o Neurosuite o L’altare di Isenheim e in particolare nell’ultimo, Il buio e lo splendore (Garzanti). La dimensione dell’ignoto si configura, nell’immagine, come passo che si avvicina dietro le spalle, e ha la cornice di un cielo deserto e di una terra che ha ripudiato la misura del tempo (nell’evidenza esemplare della successione di testi di “Terra senza orologi”). La verifica di una decomposizione dell’uomo, oltre a trarre gli indizi dai dati della cronaca quotidiana, si evidenzia nell’accentuazione (fino all’ansia, dai risvolti perfino patologici) della speranza che giunga infine il messaggero ad annunziare la soluzione, a portare la formula che ci salvi. Condizione solo in parte recuperata da una componente religiosa in oscillazione continua tra fede e delusione. La consapevolezza, non più l’intuizione, per Margherita Guidacci, ci ha messo negli occhi la verità. E, intanto, la morte ci tende agguati in ogni piega del giorno. Così la condizione è quella del terrore che invano ci si sforza, magari attraverso la magia della parola, di esorcizzare. Finisce che spesso la paura ci ricade addosso più violenta. Il pessimismo dell’intelligenza ci spinge ad aggrapparci alla “pietra”, rifiutando le lusinghe della forma, le precarie misure di quelle apparenze che pure ci affascinano e ci offrono illusorio piacere. È anche questo parte del tormento che attraversa i versi di Margherita Guidacci. Ma c’è un tempo per tutti, la giovinezza, a cui si concede universale perdono e a cui si fa credito di indulgenza protratta per dolci inganni e follie. Il lampo della memoria ne richiama gli istanti più esemplari da opporre, nonostante tutto, al muro di silenzio che ci minaccia. Eppure l’impossibile ci corteggia con i suoi soffi inafferrabili, con i suoi lampi dal buio, che lasciano sperare una misteriosa comune salvezza dall’ultima sponda. Una virata verso la gioia appare disegnarsi negli ultimi anni dell’autrice, culminata nel libro che fin dal titolo ne indica simbolicamente il positivo nella dualità: Il buio e lo splendore. Il parlato, nel suo immediato fluire (tuttavia raffrenante il continuum), nei versi di Margherita Guidacci trova i modi e gli andamenti (gli stilemi) di quella meditata misura formale (una sorta di medierà poetica) che esaurisce intuitivamente l’esigenza del comunicare.

Paolo Ruffilli

Il Resto del Carlino

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