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LE RADICI DELLA POESIA DI FELICIANO PAOLI

LE RADICI DELLA POESIA DI FELICIANO PAOLI

Il fusto, nella pianta, è ciò che riceve dalle radici di che dar vita e forza ai ramoscelli dove si formano foglie e fiori, cioè la bellezza. E questi nodi sul fusto da dove spicca il ramoscello,li si può dunque vedere come il passaggio a un secondo grado della vita, il punto, nel visibile, dove affiora ciò che la rende un mistero. Feliciano Paoli, in Non perdere per strada (Archinto) ha scelto di pensare a questi nodi, di pensarci nel segno della poesia di cui il suo libro è un esercizio, e non è forse per ricordarci questo passaggio, e dirci così che la bellezza talvolta affiorante nelle parole non la si potrà capire se non ci si ricorda che è radicata in una terra? Ed è questa unità che l’intelletto ordinario perde di vista quando scompone, in migliaia di aspetti, ciò che è votando esistenza e spirito all’astrazione. La poesia affonda le radici nell’Uno, vi raccoglie le intuizioni che permettono alle parole di negarsi ai discorsi della significazione per farsi, come nella fioritura al sommo di una pianta, una forma che cerca di divenire verità, ma per la via della bellezza, e ascoltandone i suoi consigli. Tuttavia Feliciano Paoli ci dà qualcosa di più da capire, da meditare. Il suo libro si  divide in pagine di versi e in altre di prosa. E rapportare questa grande struttura all’idea dei “nodi” che sono nella pianta, è come suggerire che la prosa non è in poesia semplicemente un altro aspetto della sua scrittura, della sua possibile bellezza, ma è il grande carro d’energia, di vigore, di linfa che assicurerà alla poesia, nei suoi versi, la capacità di fiorire. Nel farsi della poesia a se stessa prima che prenda forma c’è tutta una vita delle parole che è prosa, del tutto paragonabile al fusto che nutre i rami e le foglie, poi i fiori. Non ha nulla a che vedere, certamente, con la prosa del “reportage”, come ha ben detto Mallarmé, quella che non fa altro che sfruttare i frammenti di realtà che il pensiero concettuale ha estrapolato da un mondo divenuto la cava del pensiero per poi farne i suoi edifici, a volte assai poco abitabili. Ma è un ascolto delle parole come esistono nella profondità del linguaggio al disotto delle nozioni alle quali la società le riduce. Sollecitate dall’immaginazione, invitate a prestarsi a momenti di finzione dove si marca la simpatia che ci porta verso gli altri esseri e verso molte altre cose, le parole in questa prosa aperta e mobile ritrovano la loro libertà, riprendono fiato, ricominciano i vasti respiri, possono alzare i loro occhi le une verso le altre, ed è già fiorire, per sentieri nuovi in un mondo che riprende forma e colore. È questa prosa fondamentale, così violentemente repressa dalla prosodia classica, che ha ricominciato a esistere in Francia nelle pagine di Reveries du promeneur solitaire, poi in Maurice de Guérin, poi in Gérard de Nerval. La prosa che ha ridato vita alla poesia. E per farlo si è messa all’ascolto dell’inconscio. Questa terra di parole perché sia accessibile al poeta è assolutamente necessario che egli non abbia paura, in effetti, a sprofondare le sue radici in quegli strati di suolo a lui sconosciuti. quelli che la legge morale, a volte così superficiale, lo svia dal penetrare, quelli anche che il suo intelletto troppo analitico non ha mezzi disponibili per chiarire. C’è della notte in questo sotterraneo lavoro del grande albero umano che tuttavia vuole slanciarsi, farsi foglie e fiori nella luce. Feliciano Paoli, poeta, non esita ad ascoltare i suoi sogni più notturni; a seguire le parole nelle loro suggestioni fossero anche,a volte, sconcertanti. E vuol dire elevarsi grazie a esse, empiendosi il fusto di linfa, in un cielo di bella e strana luce che colora un paese che è il nostro e, al contempo, anche l’altro dell’unità ritrovata. Paese di folti rami dove nel mezzo e, a volte, nelle cime, si addensano fiori che noi siamo felici di scorgere, grazie al nostro amico. Fiori, e anche frutti, perché la poesia è nutrice, ci rende le bacche e i grappoli di cui ci ha voluto privare quell’antico e istintivo spavento: la colpa, come alcuni l’hanno chiamata.

Yves Bonnefoy

Prefazione

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