Aldo Piccoli è nato a Conegliano Veneto nel 1928 ed è morto a Treviso nel 1986. Le sue raccolte di poesia: Le umane misure (Rebellato, 1964), La luce equinoziale (Dell’Arco, 1969), Il filo della poesia (Rebellato, 1974), Il sonno e il sogno (prefazione di Elio Bartolini, Edizioni del Leone, 1984), Dalla parte dell’ombra (prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni del Leone, 1987). Ha pubblicato due libri di narrativa: Suite furlana (Canova, 1978), La doppia vista e altre storie (Camunia. 1995), e un libro di saggi: Un po’ più sotto (Canova, 1986).

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POESIE

da IL SONNO E IL SOGNO

Dove non sei
1
La morte si sa
Non è mai morte in astratto

Le prestavi il tuo volto
gentile quando
mi raccomandava
di correre a casa, presto,
dai tuoi, perché è tardi,
e si è fatto buio già
per la strada

E chi ti poteva pensare
lì dentro,
chiuso al buio,
se già in chiesa
ero in cerca del punto
di dove mi potevi vedere?

No non chiude la morte
ma toglie il sigillo:
e io che ieri, ieri appena
tenevo a scuola lezione
Dante Paradiso canto primo
la gloria di Colui che tutto move
per l’universo penetra e risplende
un lampo ti ho visto papà tra i ragazzi

2
Il dopomorte
qualcosa papà che eri tu
passato di dentro
irrimediabilmente

com’è la sorpresa ora di te
nel mio timbro di voce
o lo specchio
che mi rifletti com’eri
quand’ero bambino

Ci aggiunge sopra il cappotto
la mamma: hai la sua taglia,
tienilo tu, ti va bene
e la sciarpa l’orologio la maglia

Io ti porto papà
tu di fuori ti cerchi non so
di quest’aria stranita

di dopomorte

3
Non ti dico gli inconvenienti
alla translazione papà della salma:
il coperchio sollevato al soffitto
del loculo, e la conseguente
capisci opportunità
di praticarti dei fori
cose turche lo sai
dicevano per sfiatarti, da ridere
anche, con la bara strapazzata
da tutte le parti

Assurda l’ottica
che ora inquadra il tuo viaggio

se il punto taci
di dove poterti seguire
perché è chiaro
fin troppo chiaro
che la morte
non può guardare se stessa

4
Distribuzione di te
come papà la tua roba
cappotti maglie vestiti
tra figli e nipoti,
di dove balugini
mandi messaggi e segnali
(le alucce di Carlo, il sorriso
dell’Anna…) in codici
che attento ora l’occhio
appronta ed aggiorna…
ma ero io chi ti imitava
ricordi? a ritmo
di minuetto così
unodduettre oh ohp!
sollevando un poco la spalla,
e di ripeterti vedi a pena
ora m’accorgo così
sollevando un poco la spalla
unodduettre oh ohp!
anch’io diretto
dove non sei
l’occhio aperto forse
già sull’altro versante…

Il corto circuito
Hai spento tu
stanotte
sul comodino la luce
saltata così all’improvviso
in misterioso contatto
lasciandomi al buio
e nel buio è tornato il tuo
viso affilato – ma mi vedevi
mi vedevi poi davvero
l’altra sera
nel dolcissimo tuo
tête à tête con la Linda a
riprendere nella stretta finale
il filo di antichi amorosi
sussurri – sei stato tu
stanotte il filo del saluto
nel punto, Artemio,
nel punto preciso
in cui ti sei spento?

Il labirinto
Confusione in me delle parti
con la mamma che
ora è la nonna
andata bambino a trovare
in Friuli rinsecchita e remota
chilometri e chilometri d’auto e
stagioni e la Lina
è la mamma per le stanze
che mi segue apprensiva
e i figli sono i figli e insieme
il fratello che mi cresce scontroso
nell’assurda di sé metamorfosi
e il padre torna
nella voce alterata e nei miei
scatti d’ira improvvisa

ripasso stordito le parti
tengo un filo ma quale
quale filo
dentro il labirinto fondo di Arianna.

Censura
C’è stato disturbo
nelle comunicazioni
di stanotte
per via di
una sfasatura di tempi
perché
da una sala d’aspetto
del millenovecentocinquanta
(formicolava di studenti
in partenza per Padova)
io,
coniugato con prole,
lamentavo stanotte
con l’Anna Maria
la mia condizione
di scapolo (sic!)
e per di più
quarantenne

Dalla trasmissione
qualcuno
si vede
cancellava stanotte
lunghi nastri di vita

Aveva vergogna di me
che ti ho lasciata
senza neppure il saluto

L’uno e i molti
Se l’Uno è Uno
non può essere i molti

Pensavo a Platone
il giorno che
i medici mi dicevano
di te, delle miriadi e
miriadi di virus in assalto
alle già indebolite difese

Sopra l’invisibile campo
di lotta
ti guardo,
Francesco, spio i segni
dell’uno solo indivisibile
essere tuo, mentre il riso
irresistibile ti scoppia
dalle fossette

Nel tunnel
Tuo padre
mi ha fatto vedere
la morte

Nell’emorragia dei suoi giorni
quando
la confusione in lui delle lingue
portava al suo labbro
le voci antiche
dell’idioma materno
a voi ignote
che così lontano
l’avete tratto a morire
morire
è restringere il mondo
allo spazio breve
di una stanza
ai problemi letto cuscino
bisogni giacitura
sempre più dentro
più in piccolo nel tunnel
che dall’altra parte
ha ora portato
i miei figli alla luce

nel buio se ci sei Dio
spingi lieve la mano
e ci sostieni nel salto

Comunichiamo ormai solo la notte
Comunichiamo ormai solo la notte
attraverso
le labili fessure dei sogni.
Io non so in che forme a te arrivo.
Tu hai il viso sconvolto
e mi dici
che mi devi parlare.
Per lo stradone
ti seguo
incapace di dirti
che ho figli e sono sposato.

Carvacco
Come venuta su
dalla botola scura del tempo
questa notte
così dolce di stelle
e scandita
dal lamento lungo
del chiù
e tra lo strepitare del letto
io che tremo dei ladri
nell’odore tiepido
della pipì…

da LE VECCHIE SCALE

I
Mi sono sulle scale
venuto bambino
a cercare
chiedendo
se ti fa poi così male
intero prendendo il mio
peso (e tuo) d’anni
e sventure

E mi son detto che no oh!
non chiedere no
come potrai stare
sulla cima lassù
di questi miei anni e
lascia invece lascia che io
ti scivoli piano in cucina
giù alla luce ferma del piatto dove
sono con mamma e papà
e vi guardo vi guardo
dal prima
come tu ora cerchi con me
che nel mio giro ormai
circumnavigandovi tutti
sono anch’io
arrivato
pian piano così
al vostro e tuo dopo

II
Sulle vecchie scale
eccoci assieme
tu tenero mio passato
e io tuo indurito futuro
a tentare una presa
su ciò che presente non è
(tuo no, e non mio)
se di quassù per la logora lastra
tu non vedi non puoi
qui di fuori
come rapido muta
quel che a pena ricordo
com’era, ora che
invecchia lenta la nonna
in cucina e l’attesa non sa
della tua giovane mamma
e anche tu non potevi saperlo
che i tuoi cieli futuri
sono qui adesso
chiusi dentro questo logoro coccio
di dove ancora a fatica e
per minute fessure
sulle vecchie scale
insieme spiamo
tu mio dolce passato
e io tuo già passato futuro

III
Da me giù fino a te
salita e discesa,
sulle vecchie scale,
si insinua ora sordo, ed insiste,
il bisbiglio della Marì,
che in due il nostro tempo
ha diviso, e così
tu la vedi dal prima
sotto le sue fresche ed agili
gambe salire in canto le scale
verso l’alto ripiano
di dove smarrito mi ritraggo
io ora alla metamorfosi sua
(e nostra poi, e tua)
e chiedo dove, a che punto
mai delle scale ci siamo
tu ed io
lasciati andare la mano
tu tenero suo desiderio
e io sua lenta e logora fine

da DALLA PARTE DELL’OMBRA

Ai figli
Dalla parte vostra di me
dalla parte vostra
oh non è non può
essere
come dalla mia parte
di voi, che di fuori spingete di me e
più in là, comme gemma il suo
ramo, l’incontenibile vostra
inconsapevole gioia

Nella diramazione
dei destini
repentino è lo stacco
(strappo volo o
turgore di gemma):
la giuntura si tende e
dolora, dolora
nell’ombra
la vostra parte di luce

Dal fondo dell’ospedale
È stata forse la signorina Chiara
a introdurre la notizia
che questa notte è nato Arcadio

Venuto su da un fondo buio
uscito da una polla deliziosa

Lunga distanza tra sonno e veglia
quando si sveglia l’ammalato

Su foglioline si accende
ogni tanto una parola
poi si spegne
resta nel fondo il peso

Nero nera cera boa

La Lina è il letto su cui
io giaccio

Nel letto io sono
uomo e donna
Le dolci misteriose
fanciulle preparano
forse un cambio

La casa di Carvacco
e il suo suono
accende l’eco
di queste scoregge

L’eco non si vede
ma è lì a darci sua fiducia

Ti ho sentito
salire dalla tua polla
con le braccia da strigilatore
a difenderti contro la morte

Potessi sapere dove sei papà

Imago mortis est somnus

L’impressione di uscire
dal piano dolcissima:
i primi stimoli, i dolori, la tosse

Quanto ci vuole per crescere bene
in quante ruote e rotelle

Il senso di freddo
che io avevo prima
qui più non appare

La Lina mi odiava
perché non mi lavavo,
oggi mi possiede felice

L’ora scivola

Ecco il tempo
immobile sotto le gronde,
e a voi fugge veloce
nelle vostre celle
di dove arrivano
queste polle fresche di luce
di cui ero anch’io
una viva scintilla,
o piani distinti, separati
siate ancora pronti
a univirvi; e fin dove?

Quando sarà antico questo luogo
non so dove sarò
ma la piena sofferenza
qualcosa ancora mi dirà

Passano spicchi di minuti
che sembrano secoli

Da voce a passo
da parola a orecchio
da corridoio a stanza
passano le paure
e ognuna diventerà
in qualcosa per l’altro
passo parola corridoio

E dopo ci guarderemo
come se tutto non fosse
stato vero

Vecchio dolce don Vittorio
che preghi
le tue parole risalgono
grumi groppi giorni
in salita
e la tua voce
arriva come un dolce filo
all’anno mille

Sono meravigliato come tutto io mi reggo sul
rapporto prima dopo, fuori dentro: ora guardo
il vecchio dolce prete, quando son venuto non
lo conoscevo, mi era anche apparsoantipatico.

Ora che le parole e la sofferenza me l’hanno
unito, soffro il suo distacco. Chi sa quando
lo vedrò, cosa dirò e farò. Le ultime ore di
camera siamo stati zitti. Ora sale felice
verso le sue montagne.

In questa ruggine sinistra
della testa è la mia storia