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BONADÈ EMULO DI RIMBAUD

BONADÈ EMULO DI RIMBAUD

Emulo originale di Rimbaud ed esemplare incarnazione del “poeta maledetto” è oggi, nella sua esperienza che intreccia vita e letteratura, Lorenzo Bonadè, con il suo linguaggio visionario. Anche per Bonadè il poeta infatti deve farsi veggente ed esplorare l’ignoto, accettando di abbandonarsi al disordine dei sensi in uno stile di vita provocatorio, pericoloso, asociale o autodistruttivo che contempla gli eccessi (“Ho ripreso i sentieri, i vicoli stretti. Ho abbandonato le strade maestre”), perché sondare il mistero dal “cantone dei peggiori ladri, farabutti e covo d’ogni vizio: prostituzione, ricettazione, spaccio di droga, mercato nero” richiede forme nuove e una lingua che riesca a pronunciarle. Sotto la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, ce n’è un’altra più profonda, a cui si può giungere solo per mezzo di quell’istinto che si affida all’intuizione. Bisogna insomma penetrare nelle oscure profondità dell’animo umano e affrontare in un corpo a corpo i desideri e i nodi dell’inconscio. Bonadè, nei testi di Domus Dei-La Cattedrale (Biblioteca dei Leoni), entra in queste realtà attraverso quell’intuizione che gli è propria e congeniale, e per i contenuti della sua prosa poetica elabora un linguaggio alogico, che permette di portare alla luce le corrispondenze e i misteriosi legami esistenti tra le cose e di comunicare le molteplici emozioni che il poeta avverte come simultanee (“la poesia mi ha marchiato corpo e anima per tutta la vita”). Ecco allora le molte figure retoriche fondamentali, quali la metafora, l’analogia e la sinestesia, nel suo poemetto intenso, potente, e scritto con una rara, incisiva coerenza dal Prologo all’Epilogo. Si può richiamare a ragione il Rimbaud di Une saison en enfer, considerando che l ‘”inferno” della  società occidentale in cui ci si trova a vivere è addirittura peggiorato rispetto a quello già tragico di fine Ottocento, e Domus Dei-La Cattedrale  è il racconto del tentativo di uscirne senza rinnegarsi come frequentatore di un “cantone dei peggiori ladri, farabutti e covo d’ogni vizio: prostituzione, ricettazione, spaccio di droga, mercato nero”. Luogo di partenza, anzi, in grado di rovesciare il punto di vista per la legge dell’inversamente proporzionale. Così Bonadè, ribelle e rivoluzionario nei confronti della società (“Tutto mi si è palesato così simbolicamente insensato… La libertà non è libera. La vita uccide. O magnifica inutilità della Storia!”), si trova precipitato a misurarsi con l’inferno, dichiarando la propria volontà di evasione dalla realtà e tentando la ricerca dei segreti che possano cambiare la vita.  Ed eccolo capace di inventare un nuovo linguaggio tutto suo, con il quale rappresentare un mondo diverso. È la conferma di un ulteriore tentativo di riemergere dall’inferno (“Beati i diversi, perché conosceranno anzitempo la salvezza?”), modificando la realtà mediante il linguaggio. Anche se gli resta il dubbio, drammaticamente espresso, che si possa uscire davvero dalle paludi mefitiche della nostra società mutando linguaggio e decidendo di pungolare la vita da una dimensione puramente mentale. Certo, nulla si può insegnare: “L’arte deve essere assolutamente intellegibile, incomprensibile. L’abominevole è nel volerla spiegare, cercar di insegnarla”. Ma non è in ogni caso inutile, e non solo dal punto di vista letterario,  anche se è l’incompiuto ad essere perseguito (“rischierei di terminare un’opera, quando non può e non deve mai essere conclusa “), lo sforzo di Bonadè, che affida al testo letterario la grande energia intellettuale di quella saggezza nuova intravista nel suo percorso di vita e, lasciati alle spalle ricordi, rimpianti e vecchie menzogne, l’altrettanto grande consapevolezza di procedere in solitudine, certi di «possedere la verità in un’anima e un corpo», proprio come aveva scritto Rimbaud più di un secolo fa.

Paolo Ruffilli

Prefazione

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