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IL ‘MATERIALE FRAGILE’ DI AGOSTINELLI

IL ‘MATERIALE FRAGILE’ DI AGOSTINELLI

La poesia di Alessandro Agostinelli vive nell’ottica della rassegna precaria dei dati autobiografici, del loro incrocio e delle loro combinazioni: di qui, appunto, il titolo Il materiale fragile (peQuod), una sorta di quaderno degli appunti, delle notazioni maggiori e marginali, dei depositi del sapere, delle accensioni, degli umori e dei malumori, dei frammenti di ricordo, degli stati rimossi e delle sensazioni. Un album della personale condizione (“privata” eppure dalle valenze universali) che ricompone nella sua analisi programmatica il senso di una vita che ci trascina a mete fuori da ogni  possibile piano di organizzazione e di sistemazione, eppure dietro a un impulso superiore riconducibile a quello che chiamiamo libero arbitrio. E, sul nastro a scorrere delle immagini, continuamente esercita interferenza l’occhio vigile di un testimone del nostro tempo, attento a cogliere comunque e a registrare sulla cartina di tornasole anche le vibrazioni di una vicenda comune e generale, perché non c’è niente che sfugga alla sua individualità ed è tutt’altro che una monade isolata da tutto il resto. C’è una parola fondante, nel “materiale fragile”, che può essere letta anche come parola di seconda istanza o di rimando, in questo repertorio di versi: quella parola che crea appunto il proprio mondo pur recuperandolo e ricreandolo nel rispecchiamento di altre forme, comunque in autonomia, con mezzi autosufficienti, un flusso di racconto originale e proprie intermittenti illuminazioni liriche. Si possono leggere questi testi confrontandoli, oppure no, con i libri precedenti dell’autore. Li si troverà, in ogni caso, coerenti e contigui rispetto anche al suo romanzo e ai suoi saggi. Perché la poesia, conoscendo il muro invalicabile tra verità e vita ed essendo fatta di “immagini”, si volge a costruire le sue chance reinventandole in un territorio di interferenze e di mescolanza, di scambio sotterraneo attraverso minimi ma fondamentali vasi comunicanti. È una poesia in cui accade il miracolo di una coniugazione tra parti apparentemente inconciliabili, anche se di aree comunque confinanti e tuttavia non proprio affini, ciascuna con le proprie peculiarità inderogabili. E la cosa avviene, per così dire, dentro il macinino della mente insaziabile e attraverso graduali e successive sterzate dell’intelligenza dell’autore, secondo criteri generali univoci che, con l’uso dell’intelligenza, non escludono affatto il riscontro emozionale e più propriamente umano, insomma con il cuore e non solo con la testa. Anzi, per contrasto e in forza inversamente proporzionale, questa è una poesia che fa sprigionare dalle sue superfici geometriche un’ansia di partecipazione e di complicità rispetto al mondo e alle sorti degli uomini. Certo i canoni secondo cui la realtà si fa mito sono quelli di oggi, della nostra contemporaneità, e si legano prevalentemente per non dire esclusivamente alla contraddizione drammatica della vita nella coscienza frantumata delle nostre individualità (anche in presenza di sfumature ironiche, che in ogni caso trapuntano l’intero libro), con dettato incalzante e con soluzioni espressive preferenzialmente aperte, a materializzare lo iato profondo tra consistenza materiale (o materialistica) della realtà e alfabeto categoriale della conoscenza. Del resto, la ricerca verbale della poesia di Agostinelli mira allo scavalcamento costante e progressivo dei risultati che via via raggiunge, ad impedire che i moduli espressivi si chiudano. Nello sforzo, intanto, che il mito raggiunga la sua verità oggettuale, e cioè quella facoltà di conoscere con visione diretta il reale, anche fatto a pezzi, perché ogni frammento è in sé un assoluto, contrapposto a ciò che è apparente e accidentale. E questa poesia come bilancio della vita realizza una radiografia profonda della condizione esistenziale, insieme come scavo nel se stesso frantumato e disperso e come rappresentazione oggettiva di una realtà in avanzato stato di decomposizione. In una situazione basilare di meccanismi spontanei ed istintivi che non esclude affatto la regia della ragione, si attiva così un flusso della coscienza portato alla più immediata rivelazione di sé nel coinvolgimento del lettore che in quel sé si riconosce e misura.

Paolo Ruffilli

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