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L’AMORE IN NADIA SCAPPINI

L’AMORE IN NADIA SCAPPINI

Imprevedibili i ricordi portano alla memoria parole o versi che sembrano volerti spiegare una storia che si sviluppa attorno a te e al mondo senza che tu, da sola, riesca a tenere insieme i fili della narrazione. È quello che mi è successo, quando, improvvisi, mi sono tornati alla mente i versi di una poesia di Nadia Scappini contenuta nella raccolta “Come dire dell’amore” (Moretti e Vitali, 2019), “Alibi”. I versi recitano così «nell’alibi del nostro disappunto/cadiamo facendoci del male» (ibid. p. 44); che cosa pensavo? Che cosa ha suscitato il ritorno netto nella mia mente di versi così belli e profondi? È semplice, quello che sta accadendo nel mondo attorno a noi, quel mondo che ostinatamente continuiamo a immaginare altro da noi, mentre ci nascondiamo negli alibi del nostro scontento/disappunto, rabbia/ sconforto, tutte emozioni che si esauriscono nel tempo affievolendosi, ora dopo ora, mentre la storia degli altri continua, il loro dolore non si spegne, la loro resistenza resta fuori da noi e dalla nostra visione del mondo. Di certo, il pensiero della poetessa Scappini ha orizzonti più alti di quelli che io riesca a scorgere, le sue poesie sono sempre piene di una ricerca intensa e, a tratti misteriosa, di un incontro e ricongiungimento con Dio che per me sono ancora un approdo distante e tutto da costruire. Eppure, i versi contenuti in questa silloge, hanno il pregio di affascinare anche una visione laica che si pone in ricerca di un senso e una destinazione alla propria vita. Così, riprendo il libro della Scappini e costruisco un percorso tutto mio all’interno dei suoi versi, non me ne abbia l’autrice, ma forse la bellezza della poesia sta proprio in questo: potersi riconoscere guardando oltre sé stessi. «(…) e poi d’un lampo/sentire la parola addosso impregnarmi/ come il sapore del brodo di natale (…) chiederle di raggiungermi» (Exibo, p.81) è quello che mi accade quando il bisogno della parola o della Parola si annunciano nel quotidiano in cui spesso lotta, contraddizioni e solitudine devono trasformarsi nei segni di una presenza che costruisce e non di un’assenza che debilita e svuota, non è sempre facile. Davvero, allora, viene da pensare, come prosegue l’autrice che «il resto è potenza/che s’indigna/a mascherare rese di convenienza/ipocrite/saliva scivolata come una mancia/dentro una tasca in caduta libera/senza coscienza, senza sguardo» (ibd. p. 81-82), un invito a non perdersi e non perdere di vista l’essenziale seguendo il compiacimento ipocrita ed effimero del superficiale e degli interessi egoistici. Questa è la differenza tra il nascondersi dietro gli alibi che offuscano la purezza del nostro sguardo e dare voce alla ricerca di verità che si esplicita nel riconoscomento onesto dell’altro, del suo essere ed esistere, del suo poter costruire insieme a noi armonia e gioia. «Ho sete di gioia semplice/senza riflessione/come si acquista un abito/di perfetto arancione» recita la Scappini (Le appese, p. 75), si tratta di una letizia che non cancella il dolore e la sofferenza, ma che impedisce di nascondersi dietro alibi e finzioni nel desiderio di ritrovarsi, semplicemente, «senza appuntamento/come quando le cose belle accadono» (A moment of being, p. 52). Un suggerimento nobile e costruttivo che induce ad accogliere il presente «dentro la malinconia dell’imperfetto/che canta e fugge/ come un violino un fiume» (E di nuovo l’estate, p. 39), poiché non si può e non si deve scappare dal proprio tempo, ma in esso edificare un tempo di per-dono e riappacificazione. Non è un percorso semplice quello che immagino di costruire attraverso i bei versi della Scappini, ma è un percorso di discernimento, un percorso lungo il quale «l’aria trattiene un colore quasi sconosciuto:/diaspora di pensieri/rosario di naufragi» (Uccelli neri, p. 25). La vita che percorriamo non è lineare, i suoi alti e i suoi bassi, i pieni e i vuoti, sembrano poter infrangere le nostre speranze e il desiderio di migliorare migliorandosi, eppure, in questa allerta continua, la misura che ci salva è il rammendo, la risistemazione di un modo di vivere e di mostrare di essere che ha reso la nostra essenza più scialba e meno veritiera. Si può cambiare, si deve cambiare, «Bisogna pur cominciare a riparare le parole» (Baillame, p. 13) affinché esse non siano solo promesse, ma vita che si rinnova e crea vita. Le parole, la Parola, come linfa vitale, come essenza che possa, infine, disvelare «il bozzolo/dove il seme è stato (lungamente) custodito» (Anche le parole, p. 12). Ecco, due semplici versi segnati nella memoria, hanno stimolato nuovi incontri con la poesia e con una poesia, quella di Nadia Scappini, che parla al cuore delle persone senza chiedere nulla in cambio, ma solo di essere voce che parla ma che sa ascoltare.

Loredana De Vita

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