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CHIOSI: DOPO LA MAREA DEI GIORNI

CHIOSI: DOPO LA MAREA DEI GIORNI

Maria Luigia Chiosi, Dopo la marea dei giorni (Biblioteca dei Leoni). Già nella sua passata produzione, e in particolare nella precedente raccolta di versi “L’estate che non fiorisce”, Maria Luigia Chiosi aveva caratterizzato la sua poesia nel senso di un’attenzione sempre vigile alle reazioni morali di fronte ai fatti e alle circostanze della storia e della vita, mirando a tradurre in trama linguistica ritmico-modulata una vena meditativa intelligente e coinvolgente. In questo Dopo la marea dei giorni, che raccoglie i versi degli ultimi anni, mossa da stimoli etici tuttavia mai prevalenti sull’ispirazione, la poesia della Chiosi aggiorna ulteriormente i suoi intenti percorrendo con sicura espressione tracciati che tendono ad evidenziare l’aggressività del linguaggio nella definizione e strutturazione dei drammi e dei dolori privati e comuni del nostro tempo: “Naufraghi, / superstiti, /precari / viviamo sempre / in cerca di un porto”. E, come ci avverte subito l’autrice già a partire dal titolo: “Dopo la marea dei giorni / manca l’approdo certo”, con la successiva metafora del mare in tempesta e con l’immagine potente di quel camion che, lontano dalla tempesta, trasporta nel silenzio un carico di morte. Direi come prima considerazione che l’intenzione morale della Chiosi in quest’ultima raccolta si è precisata soprattutto nell’ambito del significante, con l’introduzione nel circuito poetico di elementi linguistici a partire dai codici specifici della tradizione sapienziale e della speculazione filosofica, a contrastare l’alienazione verbale in cui l’uomo vive nella società contemporanea sottoposta al bombardamento continuo di formule e parole magiche dell’ipocrisia da parte dei mezzi di comunicazione di massa. È una poesia dunque che non si accontenta  del consueto,  dell’immagine prefabbricata, e si sforza di capire le ragioni della vita fatta in gran parte di mistero. Una poesia che, a partire dalla propria personale esperienza, tenta un riscatto dalla superficialità e dall’alienazione, proponendosi come documento di accusa e di rivelazione, perché il poeta nonostante tutto non perde la sua fede  nella parola, anche quando la sua parola diventa emblematicamente reperto di dolore e di morte (“la cifra del dolore”). A partire dal fondamento del “Nascere/morire” che è  “Alfa e Omega  / legge sovrana della vita”, si svolge il lungo percorso di questo libro alla ricerca di se stessi: “Ho valicato monti, ho percorso deserti / ho attraversato mari in cerca di me stessa”. E si dichiara nel giro delle molte metafore di queste pagine l’obiettivo di spiegarsi le ragioni dello stare al mondo e le opportunità e le circostanze che il mondo offre nel bene e nel male. Così, verso dopo verso, la parola fissa l’immagine, la sensazione, la scoperta, la riflessione, strappando il vissuto non solo al rischio della dimenticanza ma al buio dell’indifferenza, nello spazio di una problematica esistenziale in cui temi di vasta portata trovano svolgimento in componimenti dinamici pieni di luce e di colori. È una poesia sospesa tra gli incantamenti della natura, con i suoi elementi vivi, le sue bellezze, le occasioni esaltanti, e la ragione che cerca di trovare risposte possibili agli enigmi che si innescano a ogni passo. Attraverso una parola comunque animata dal naturale spirito religioso che aleggia dentro il mondo e che sembra colmare il dilagante vuoto di Dio (“Dio …Non ti vedo!” esclama a un certo punto il poeta). I versi netti e vigorosi ci immettono, ogni volta, in una dimensione autoriflessiva che mentre si interroga sul mistero delle cose e sul significato della vita ne subisce il fascino, per la legge dell’inversamente proporzionale. E, come avviene esemplarmente in tutte le sezioni del libro, la poesia è, insieme, memoria critica e indagine della condizione generale, un diario delle pagine trascelte a comporre e a interrogare, a mettere sotto processo il senso di una vicenda insieme personale e storica. C’è infatti una misura partecipativa, in questi testi, un proiettarsi sempre oltre la barriera della propria vicenda e della propria storia, in una sorta di interrogativo aperto, che è la scelta del futuro o, se si vuole, la scommessa con la vita. E, dentro questa misura di coinvolgimento di sé con gli altri, si dispone tutta la fitta trama dei percorsi interiori, dei rapporti interpersonali, degli incontri e delle relazioni, del quotidiano mettersi (o rimettersi) in equilibrio, tra l’ossessiva deiezione del tempo, sentita a fior di pelle, e l’umanissimo recupero di sé e degli altri compagni di strada a lei uniti da legami di sangue, d’amore, di amicizia o di semplice condivisione della vita. Dal confronto con la realtà nella sua esperienza di vita, comprese le delusioni e le sconfitte, Maria Luigia Chiosi esce con la volontà di dare testimonianza delle aporie del mondo attraverso la poesia, in quadri che si ancorano sempre a un luogo, a un’ora e a una stagione. Una poesia che è volta ad opporre il segno insieme della ragione e del sentimento non solo e non tanto alla irriducibilità delle azioni compiute e del tempo che è trascorso, ma alla potenziale reversibilità della vita attraverso l’esercizio della memoria e delle facoltà raziocinanti. Tema centrale in tutto il libro è il silenzio (parola spesso ricorrente che è, poi, la voce del segreto e del mistero) e, insieme con il silenzio, la morte: considerata non solo come argomento scandaloso delle molte “stragi degli innocenti” della storia ma anche come termine ineludibile dell’esperienza personale, enigma esistenziale, l’altra faccia della medaglia, vuoto di assenza in cui precipitano errore e disguido (“Dal vuoto prima al vuoto dopo”), ma in cui si scioglie anche il doppio senso della vita (“la morte / che promette quiete / dopo la fatica di vivere / e soffrire”). Perché l’orizzonte resta comunque aperto nella continuità ultraindividuale, in una dimensione che proprio l’improvvisa illuminazione poetica ci fa scoprire a un tratto con inattesa evidenza come indistruttibile (“echi che parlano / d’immenso”). È una poesia questa di “Dopo la marea dei giorni” che predilige il componimento lungo, in ogni caso risolto come continuum ritmico-sintattico, con spaziature tuttavia di più tradizionale strutturazione che hanno l’effetto di creare un interessante ritmo ondulatorio di arresti e di riprese, di contrazioni e di dilatazioni, nella continua intermittenza di luminosi tratti lirici.

Paolo Ruffilli

Prefazione

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