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UNA POESIA PER DANTE 3


UNA POESIA PER DANTE 3
Alessandro Agostinelli, Pier Luigi Ambrosini, Raffaella Bettiol, Donatella Bisutti, Stefano Bottero, Alfredo Alessio Conti, Roberto Dall’Olio, Ottaviano De Biase, Prisco De Vivo, Antonio Donadio, Giampaolo Giampaoli, Sonia Giovannetti, Giuseppe Iuliano, Francesca Luzzio, Valeria Massari, Riccardo Minissi, Renato Minore, Roberto Pacifico, Rita Pacilio, Massimo Parolini, Gerardo Passannante, Roberto Pazzi, Susanna Piano, Andrea Rompianesi, Anna Santoliquido, Giovanni Sato, Lilia Slomp, Claudia Manuela Turco, Sandro Varagnolo, Stefano Vitale, Giovanni Zamponi

1321-2021 di Alessandro Agostinelli
fungheggiano le imprese letterarie
su dante alighieri e la commedia,
ma che ne sanno di quel brutto esilio
se mettono la loro vita in prova
soltanto in circolini e su instagram.
la dignità del nome a testa alta
pur se in aspri cortili e fredde scale
dove salire è stato un patimento
e gloria e dote sono state alquanto
lo sforzo con le mani controvento.
di tutta la finezza dello stile
che andavi pur scrivendo è stato
questo sublime messaggio perduto:
onore e segno sono più legati
se orgoglio e rabbia forgiano il tuo verso.

Dante gigante di Pier Luigi Ambrosini
Dante un gigante
no, Dante il gigante,
solo ad accennarne
trema il mio verso
perso,
con un’elegia
intenderebbe celebrarlo
ridicolo temporale senza pioggia,
fulmine senza tuono.

Quante anime di Raffella Bettiol
Quante anime lungo il cammino
silenziose si svelano nel labirinto
del dolore o nella pienezza della gioia,
rami spezzati d’ ogni vita
coagulo di immagini, di ricordi
nell’enigma sfuggente
alla presa del pensiero,
tra bagliori improvvisi di luce
e abissi desolati, turbinanti di buio.
Mai nulla ti distolse da quel viaggio
viatico d’una creazione imperante.

Europa e Pasifae di Donatella Bisutti
                             Pensando a Dante, Purgatorio, XXVI, vv.40-42
Persa la sua verginità col bianco toro
cui adornava il muso feroce di corone di fiori
in un gioco amoroso,
ingannata da una violenza
in apparenza mansueta,
gli generò un figlio la cui sposa,
trasformata in giovenca, s’imbestiò
con un altro candido toro venuto dal mare.
Una storia ripetuta di tori e giovenche
mescolandosi sempre i flutti alla terra
con mille inganni e stratagemmi
da cui sarebbe discesa una progenie mostruosa
nutrita corpo e sangue
dalla meglio gioventù.

Variazione sul verso 123, Paradiso XIV di Stefano Bottero
indossare le tue ciglia come scuse.
farti spazio
come se stessimo scopando in un letto singolo
in una stazione di servizio per capire – dove
mettermi ancora sulle dita roba chimica
altre occasioni per fallire.
dove vanno a dormire gli spacciatori nelle zone rosse.
A restaurarmi i sogni ogni due mesi
per seguire
aspettativa dopo aspettativa il canto
senza capirne il senso

A Te Amor di Alfredo Alessio Conti
A Te Amor che tutto muovi
dell’universo gli astri, le stelle, la luna, il sole
A Te Amor che tutto muovi
della terra le pianure, le valli, i monti
A Te Amor che tutto muovi
delle acque i fiumi, i laghi, i mari, gli oceani
A Te Amor che tutto muovi
degli esseri viventi le piante, gli animali, l’uomo
A Te Amor che tutto muovi
che lasci il libero arbitrio a noi
immortal mortali
se esisti o meno
del nostro viver
io Ti ringrazio.

Umana troppo umana di Roberto Dall’Olio
Dio non è morto
Si alza molto presto la mattina
non sopporta la luce del Paradiso
del volto di Beatrice
nemmeno i bagliori dell’inferno
è dispiaciuto per messer Brunetto
svelati i suoi gusti sessuali
Ne vorrebbe il riGetto
Gli amici agli inferi
mai li avrebbe piazzati
vaga per il Purgatorio
Alla ricerca della libertà umana
dei suoi vati
Libertà veramente galeotta
Umana troppo umana

Aurora di Ottaviano De Biase
L’istante, il tempo di sollevare gli occhi
tutti sulla stessa linea retta di confine
pronti a dare il congedo ad una notte vissuta tra il dire e il non fare.
Noi figli del Creato e del disincanto
fiori di madre per un giorno
cielo quale segno di speranza…
Eppure, in questo vagare senza limiti, da un anno
si è aggiunto il Covid-19
che instancabile profana le nostre case:
in alcune trova porte chiuse,
in altre arraffa quel che trova.
La pazienza ormai siede davanti a tutte le porte
e aspetta che qualcun altro le possa sanificare.
Anch’io prendo il mio carico di speranza
e aspetto che passi questo tempo di sventura:
sempre più rara la presenza di una rondine.

Piazza Dante di Prisco De Vivo
Osservo
e abbasso il mio sguardo.
Osservo lo sguardo fiero
di questa statua
al suo centro.
Il bianco opacizzato del marmo
i segni delle sue incrostature.
Penso alle tue ossa Dante
a quelle trafugate
e mai ripulite.
Penso ai rovi di rose
e le spine sotto ai tuoi piedi.
Penso alla scrittura
con inchiostro di china
che graffia
le macerate carte.
Penso a questa città
avvolta dalle sue ombre
che atona
non si accorge
di questa bianca presenza
e nel fracasso
ama solo il suo inferno.

Viaggio terrestre e celeste di Dante di Antonio Donadio
(quasi un epitaffio)
Fu’ io
Nella città dolente
Ove l’umano spirito si purga
Nel ciel che della sua luce prende
Ma patria io non ebbi. O forse una,
Fiorenza, spietata e perfida noverca.

Il cammino di Dante di Giampaolo Giampaoli
Lenti i suoi passi
a svelare in immagini
di crudeli parole il dolore
usato, assunto nella prova,
nella discesa sempre profonda,
nel salire a riscoprire la vita.
Ha incatenato la musica,
l’ha suonata a cavallo del tempo,
il suo viaggio non si è consumato:
maschere d’odio e tristezza inconsolata
pervadono il suo canto,
nella purezza assoluta solo
se compresa nei recessi,
nella perdita, nel fluire del tempo
di un’umanità mai conosciuta.

Alla leggerezza di Sonia Giovannetti
Non siate come penna ad ogne vento
dice il Sommo. Ma siate pur leggeri
nel metter capo ad ogni vostro intento,
sì che di questo possiat’esser fieri.
Ché se di dignità si vuol contezza,
essa perviene a chi sa procurare
di metter nelle cose leggerezza
e d’ogni soma s’arrivi a liberare.
E acciò che dignità sia guadagnata,
pure da presso al fuoco dell’inferno
resti la penna una creatura alata
come Beatrice, a far l’amore eterno.

Voli fughe approdi di Giuseppe Iuliano
Poeta passatore di cieli e inferi
ci esorti – voce affranta – fratelli d’occidente
novelli Ulisse di ogni deserto e mare.
Compagni di mille pericoli a scontrare veglie
sfidiamo d’Ercole colonne mito e arcano
di terra e gente dove il sole mai più scompare.
L’orizzonte e le sue bolge il nostro inferno
non hanno ponti ma muri di sensi e gesti
vigilia di allergie, pietre di intolleranza e sfregio.
Ha semenza di bisogni la nostra casa.
Albero sfrondato secco di radici e rami
insegue di virtù e conoscenza l’eterna bussola.

Sentiero di vita di Francesca Luzzio
Ho percorso un lungo tratto
del mio sentiero ed inferno
e purgatorio ho vissuto
e non senza smarrimenti,
non senza duri ritorni
da impervi, errati percorsi.
Ma se alzo gli occhi, vedo Te,
dolce Maria, madre anche mia
e, come il sommo poeta
non posso non invocarti
e dire: “Vergine madre,
figlia del tuo amato figlio,
abbracciami un giorno, quando
in cima al duro sentiero
a Te supplice verrò!”

Nel mezzo del cammin di Valeria Massari
Grande è il Poeta che cesella il verso
narrando gesta di persone e fatti
nell’oltremondo, di là dall’universo.
Che di metafora fa uso a tratti
nel lungo viaggio verso il Paradiso,
ascesa impervia dagli oscuri anfratti.
Mentre a Virgilio, pensoso in viso,
fisse negli occhi le asperità,
sempre s’affida guardando al regno del Dio assiso.
Il regno alto della Trinità
e della gioia pura e immanente
per molte anime nell’eternità.
Con Beatrice guida trascendente,
là, nella luce di fulgide fiammelle,
verso “L’amor che move il sole e l’altre stelle”

Remember Dante di Riccardo Minissi
Nell’Era Medievale il viaggio interiore
di un grande poeta esiliato
dalla propria Patria
senza cedere a una grazia indecorosa,
apre nell’intimo della sua anima,
orizzonti inesplorati,
lontane Madeleine Proustiane,
che lo riportano a ritroso,
alla riscoperta di antichi sentimenti,
gli ultimi anni in compagnia di un figlio,
vagando per la Toscana e l’Italia,
in un cui ogni giorno
è un Viaggio senza Tempo.

Per Dante di Renato Minore
La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno;
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia

(Paradiso, canto 17)

Il corpo ha acciacchi
di stagione dolorini
spruzzati random
sull’orrore la meraviglia
e poi la psiche inzuppa
la solita pappa
dove nel sogno
sono sempre ignaro
o impreparato alla recita
al discorso all’abbraccio
in ritardo e senza appello
perché devo devo devo
e poi la mente si chiede
delle nostre solitudini,
del sesso della morte
le molte idee serie
o fantastiche il romanzesco,
il leggendario dello stomaco
dei polmoni del respiro
io con l’equilibrio
che sembra svanire
tutto si rivolta
gli occhi puntano
ciò che vola
e mai si ripete
il ricordo meschino
dello scherzo crudele
che feci divertito
dal suo stupore
e poi mi chiedo
se ho davvero colpa
il clic corticale spontaneo
s’era spento un terzo di secondo
più tardi prima di raggiungere
i centri della coscienza
nei lobi frontali
non c’era scelta
io non sapevo.

Belacqua (Purgatorio, IV) di Roberto Pacifico
Sedendo et quiescendo anima efficitur sapiens
Belacqua disse: “È inutile affrettarsi,
a che pro affaticarsi se un volere
superiore prescrive di attardarsi
qui; seduto, passo il tempo a vedere
per esempio, che il sole dalla parte.
sinistra fa il suo corso; vuoi sapere
perché mi perdo in questa oziosa arte?
“Belacqua, forse perché t’ha ripreso
quell’antica abitudine di startene
cheto e pensoso”. Non reagì. Sorpreso
non sembrava di me. “Fratello, andare
su a che giova, se Dio m’ha sospeso
in questo posto dove ad aspettare
mi convien fermo al sasso tanto tempo
quanto quello che in vita a ritardare
il pentirmi passai? Là, dove il tempo
non si coniuga in fu, è, e sarà,
dico in ciel, la mia preghiera non vale”.

Io stava come quei che ‘n sé repreme di Rita Pacilio
Se fossi qualcosa da amare
entrerei nelle parole della gente
stordita dall’invocazione dei beati
patirei l’efferatezza dei tramonti
il grido e l’intimità dei monti
sollevando il fregio dei sogni sommersi.
Alla testa calva dell’anima dei monaci:
dimmi, sono degna?
Se cadessi direttamente dal cielo
resterei fragile e invisibile nell’aria
mezza rotta, senza armonia
e attraccherei il mio nome
a ciò che resta del tuo seno santo
all’aurora rischiarata dalle stelle.

Burrato di Massimo Parolini
Giù per quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
Dante ancora scende calcando l’ombra
su quel burrato dentro allo scarco
di questi giorni e sempre sbraita il minotauro
e si riga di sangue il muro dei lari
le strade le piazze le stazioni dei treni
riscorre il rosso Flegetonte la mania
delle idee degli dei dell’insania follio
Dante ancora inveisce
contro ignavia e bramosia
mentre esce un nuovo mostro
dalla vacca artificiale
oggi in cui non si osa
più alzare la parola civile
contro nulla, se cede,
o qualcosa, se è vile

33 di Gerardo Passannante
Cui dono ista lepida poesia?
Meglio a nessuna. Resti indedicata
in questa mia privata comedìa,
adesso che Plebea è ritornata
carica di passato, per offrire
un senso dante svolta a questa data.
Ché mentre mi pareva di languire
sotto gli sguardi smorti e la carezza
che le lacrime offrivano al sentire,
una presenza assente, con lentezza
filtrava e grandeggiava dentro me.
Accantonata allora l’incertezza,
sopprimerò stasera il tu: benché
mi aspetto fiducioso che Nerina,
nella composizione trentatré,
concluda degnamente la terzina.

A Dante di Roberto Pazzi
Dio non parla,
è un poco divino,
dimenticare una lingua.

Mentre Dante si avvicina di Susanna Piano
Sto seduta su una sedia di cucina,
orfana di supreme verità e di armonia,
mentre Dante si avvicina a questa notte impensierita
che non ospita più stelle, né Muse, né alta fantasia.
Qui l’infernale è una televisione
che ancora trasmette il mondo che mal vive
e proverebbe sdegno e amarezza
per tale degrado e corruzione.
Qui il purgatorio sono le vite:
ognuna a modo suo sconta una pena.
Ma per l’Empireo, qual’ è la strada?
Le sue rime sul tavolo
ci saranno preziose
per affrontare questo viaggio
tra le profonde cose.

Pulsano schermi di Andrea Rompianesi
pulsano schermi attivamente avviati in lontananza asettica dove
[ le aride piantumazioni accorse
si dilatano in rifulgenti spasimi non so se sia d’unguento o forse
l’abbruttimento devastato da cui si fugge oltre la possibilità inesperta
[ quando dirama una vita nuova
altra
piuttosto iconica o riemergente quali mirabili ossessioni annottano
[ e qualcuno a dirsi quanto davvero sì lungamente
l’ha tenuto amore
come un mirato seguitare passo che sa di opporsi alla mancanza
di una ragione

Ghiaccio e fuoco di Anna Santoliquido
                                          a Dante
quando lo sconforto perseguita
Minosse scaraventa
nel cono dell’Inferno
ghiaccio e fuoco sconvolgono
cerco l’anima nel profondo
mi scontro con i morti
il Sommo di Firenze
dice che la pena
è la strada per ascendere
rigurgito affanni
dai ventricoli del cuore
una luce fioca mi investe
e torno alla sfera del canto

A riveder le stelle di Giovanni Sato
L’inferno qui è un luogo atono:
non è pesante l’aria e nessun fumo sale da fuochi e da demoni
ma un’aria leggera pronta ad amare.
Germogli sui rami tendono al sole
e canti d’uccelli riempiono l’ “aere” di un’intensa felicità.
Eppure le voci che si odono non lodano la bellezza
e un turbine d’esalanti e continui addii tormentano l’inizio e la fine del giorno.
Nessuna Lode:
bocche aperte all’odio urlano sottovoce inani parole contro qualsiasi divinità.
Quel che rimane dell’uomo è peggiore delle foglie morte
che ancora tra i primi fiori cercano di nascondere
il cuore della terra.
L’inferno qui ha le porte sempre aperte
e nessuno crede più alla speranza di tornare
“a riveder le stelle”.

Inferno 6 agosto 1945 di Lilia Slomp
Sbigottita la morte alla sua falce
inginocchiata alla mietitura
folle d’agosto, orfana di spighe.
Anime erranti, ombre delle ombre,
marcia di solitudini disperse
braccia in alto per tastare il vento
come piante in scheletri di rami
arresi all’abbandono delle foglie.
Non possono le mani la preghiera,
la bocca non ha labbra nel bisbiglio
che è solamente rantolo di fossa.
I sette fiumi lenti di Hiroshima
cullavano i corpi alla deriva.
Ancora fiamma viva la Commedia.

Morte di un amore di Claudia Manuela Turco
Morte di un amore
per occhi verdazzurri
tramutati in ambra.
Eterna lotta di frecce
tra un centauro malato
e l’incauto Cupido.
Lacrime o scaglie di marmo
nascoste tra cespugli
con o senza rose.

Ricorda gli occhi che spendesti di Sandro Varagnolo
Ricorda gli occhi che spendesti
tra le spire dell’effimero viaggio
stemperando i bagliori dei giorni
nello sbando del senso.
Tanto errare soggioga al rimpianto
come spacco che disserri
ciò che hai perduto
– e la cenere avvampa.
Dopo non resta che rincorrere
la memoria e i ritorni dei viventi.
Si è dunque compiuto il tempo?
Sul far dell’ignoto contrisce
l’aspra giustezza della pietà.
Quelle che diciamo
sono sempre le ultime parole:
abbiamo noi perdonato?

Inferno Lampedusa di Stefano Vitale
Bruciano i giorni le pagine bianche
feroce mattanza l’indifferenza
filo spinato di anime stanche
muro che cresce prigione di sale
immobili al largo dell’ultima pietra
nascono i nuovi fiori del male
eppure si leva un soffio di vento
perché un poeta un tempo lo scrisse
questo vi basti a vostro salvamento

Primum exul stans demum exultans di Giovanni Zamponi
Sento le ombre ritrarsi al mio passaggio
per darmi un po’ conforto, anche sbiadito;
arrivederci, ti sussurro, a maggio,
ma l’augurio m’appare già tradito.
A te convien tenere altro viaggio,
mi rispondi così, puntando il dito,
finché ritornerai a quel dolce raggio
che i tuoi occhi da tempo hanno smarrito.
Mira la selva, mira l’alto monte,
mira quel dolce piano che declina
fin dove ha sua dimora l’orizzonte
che annuncia il tremolar della marina.
Ti volga al cielo e alle sue cose belle
l’amor che muove il sole e le altre stelle.

 

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