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I POSTMODERNI DI DONATI

I POSTMODERNI DI DONATI

Con “postmoderno”, si sa, intendiamo ormai quel movimento che si è sviluppato tra la metà e la fine del XX secolo attraversando la filosofia, le arti, l’architettura e la critica per descrivere la fase storica che segue il modernismo. Anche la letteratura, con una tendenza che nasce come serie di stili e idee dopo la seconda guerra mondiale in reazione alle teorizzazioni precedenti, è stata chiamata postmoderna ed estende molte delle tecniche e assunzioni fondamentali della stessa letteratura modernista, ma con un atteggiamento o comportamento che, ritenendo in crisi i fondamentali principi dell’età moderna (razionalità e fede nel progresso illimitato) nonché gli stili delle avanguardie, è incline al recupero dei valori del passato. Sono, queste indicazioni preliminari, sufficienti a spiegare perché un poeta quarantenne oggi, Roberto Donati, decida di intitolare il suo libro di poesie postmoderni con la p minuscola (Transeuropa)? Sì lo sono e, a maggior ragione, perché in corpo d’opera l’autore inserisce una notazione metatestuale, il parere della critica sui suoi testi trascritto in versi: “ho frammentato la prosa / e non ci ho trovato un senso / ma va bene così mi ha detto un critico / si arriverà a un poeta che si spiega / in postmoderno Donati analizza tautologie / a un robot che dia dignità a onde bip e a radiazioni crz / i cortocircuiti si chiameranno poesie”. Bisogna naturalmente che l’ironia, o un robusto senso dello humor, contribuisca all’operazione e, in ogni caso, occorre mettere a frutto il proprio talento. Cosa che puntualmente in questo libro accade pur sapendo, come avvisa un breve passaggio in quarta di copertina, che “imbarazza solo il senso di scrivere per altri”.  È quella di Donati una poesia come parola, secondo un processo riscontrabile più in generale nella produzione di questi anni. E il puro peso della comunicazione, nei verticali “racconti” dell’autore, non inibisce alla parola le virtù liriche, fantastiche, evocative e mitiche che sono proprie della “poesia”, piuttosto le accoglie e le subordina a un’intenzione di discorso “umano” e perciò vario e mai concluso. I personali itinerari e labirinti della vita sono pieni, in queste pagine, dei ragguagli minimi di una realtà quotidiana di contatti e di rapporti e, nello stesso tempo, delle emanazioni e degli aloni mentali che li avvolgono a rivelarne l’essenza profonda.

Paolo Ruffilli

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