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GUIDO MONTI: LA POESIA E I NOSTRI TEMPI

GUIDO MONTI: LA POESIA E I NOSTRI TEMPI

La traccia che la redazione del portale eventi del comune ha pensato, per stimolare la riflessione dei suoi collaboratori su questo lungo periodo, da adito a molti spunti; partirei da uno stralcio della stessa per iniziare una breve digressione sul possibile rapporto tra poesia e buissimo tempo che stiamo passando prima che come cittadine e cittadini, come donne e uomini toccati nel nostro senso dell’esistere. Ebbene ci dice un inciso che ho estrapolato: <<…la cultura fa parte dei nostri comportamenti … ci aiuta a non negare il male, ad essere all’altezza di quello che accade, a trovare vie nuove sperimentando…>>. Ed allora mi torna alla mente il famoso saggio (Sentieri interrotti, 1950) che Martin Heidegger scrisse su uno dei più grandi poeti di ogni tempo Friedrich Hölderlin, anche se già da tempo era presente nelle sua opera (Hölderlin e l’essenza della poesia, 1937); ebbene il filosofo riprendeva in questi scritti, una domanda che lo stesso poeta si faceva in una delle sue elegie composta nel 1801 dal titolo Pane e vino: <<perché i poeti in tempo di miseria?>>. Oggi potremmo intendere, per tempi di miseria, quelli dei vecchi e nuovi fascismi, delle guerre, del progresso tecnologico pervasivo e cieco e ora quello della pandemia; ricordiamo che Hölderlin, il più grande lirico tedesco dopo Goethe, aveva vent’anni allo scoccare della rivoluzione francese e certo ne respirò la forza ideale, visse poi dal 1804, dopo una diagnosi di schizofrenia ed un periodo di internamento, in una mite demenza per quasi quarant’anni della sua vita. Ebbene questo poeta, potremmo definirlo il poeta della poesia e quindi sicuramente, cucendogli un termine moderno, non engagé; egli difatti non si pose il problema di stabilire un rapporto tra poesia e vicenda storica ma piuttosto con l’essenza della storia. E quindi per tornare alla sua sibillina domanda ripresa nei saggi di Heidegger: <<perché i poeti nel tempo della miseria?>>, ecco, egli forse si chiede: cosa fanno i poeti nei tempi di miseria? Nei tempi di miseria, i poeti riconoscono la mancanza di poesia come mancanza, custodendone però la traccia, il destino, potremmo chiamarla destinazione. Cioè a dire i grandi poeti non si fanno prendere nell’esca del mondo, dalle sue lusinghe, dal suo progresso, dal suo orrore, insomma dalla sua storia. Essi hanno sempre contestato le magnifiche sorti e progressive – anche, presuntivamente della poesia. Naturalmente nella poesia si parla anche di mondo, ma non nel modo in cui parlano del mondo le scienze, i saperi, le pratiche. Si parla del mondo, in quanto si è consapevoli che il mondo è la parola che viene prima del mondo. Il mondo è fondato sulla parola, non viceversa. Ed il lettore autentico dovrebbe esser consapevole che quando si parla di poesia, non si parla appunto di un sapere costituito, una scienza costituita, una retorica, ma che si parla di mondo. Ed allora non dovrebbe porsi in atteggiamento scientifico di sapere ma in quello di ascolto. E per tornare al rapporto tra poesia ed essenza della storia, pensiamo ad un quasi coetaneo di Hölderlin, a lui pari per grandezza, Giacomo Leopardi che è lì con la sua immensa opera a costeggiare questo lembo di pensiero ricorrente nelle epoche: il malum mundi, il male ontologico al mondo, che ci tocca ed interroga oggi più che mai. E difatti Leopardi ci dice che il male è del mondo, del mondo bello e non buono, ricordiamo il Dialogo della Natura e di un Islandese. Non c’è un male, in vista di un bene, per il poeta di Recanati, non vi è alcuna dialettica, che pure Agostino pensava esservi come lo stesso Hegel, coetaneo ed amico di corsi a Tubinga dello stesso Hölderlin, tra male e bene; il male come “difetto” di bene quindi superabile. Noi continuiamo a trasformare invece il male in bene. E questo è certamente nella legge della società non dimentichiamolo e anche nella predicazione della chiesa. Noi, trasformando il male in bene, in realtà non riconosciamo il male. E l’ultimo spunto di riflessione che vorrei trarre con voi lettori, sul “mal pandemico” di questo anno, è quello suggerito dalla poesia del terzo grande pensatore dell’ottocento che apre con la sua scrittura la nostra modernità, il nostro essere ora e qui: Baudelaire. Una sua frase colpisce ancora <<coscienza del male>>: niente ottimismo, niente progressione, niente tecnica. Coscienza del male. Analizziamo allora il titolo del suo libro: I fiori del male che peraltro tal titolo, non lo inventò lui ma uno scrittore secondario Hyppolyte Babou che disse: <<questo amico fa dei fiori del male scrivendo le sue poesie>>; ebbene il titolo è un genitivo soggettivo, e cioè c’è il male, ma è anche un genitivo oggettivo, il male è seducente. Allora i fiori del male vogliono dire che il male è terribile e bello ad un tempo, Baudelaire quindi ha eliminato il peccato in senso teologico ma lo mantiene in senso etico, morale. E quindi non lo elimina anzi lo guarda in faccia, perché occorre esser coscienti di far parte del male, per ricercare il nuovo. Ed allora, dentro questa pandemia, occorre aver questa coscienza, con la forza, il coraggio di intendere, che il male è anche in noi. Per i credenti il male invece non esiste a condizione che siano buoni… Non si è buoni né cattivi; si cerca il nuovo, nella coscienza di essere nel male, ma questo non ci fa malvagi. La coscienza del male vuol dire, per Baudelaire, appunto estrarre la bellezza dal male, perché il male è bello, non è brutto. Sono i moralisti che pensano che il male è brutto, come il giudice che lo condannò per la sua immensa opera. Allora noi facciamo il male perché il male è bello, ci seduce, confondiamo quindi il male con il bello, diciamo la bellezza del male, i fiori del male. Ed allora l’arte che trasforma il male in bello, non è vera arte. La vera arte è coscienza del male, come coscience du mal e coscience dans le mal: la vera arte è cercare il nuovo, le nouveau, in fondo all’abisso e con questa consapevolezza. Il nuovo in qualche modo è cherche la vie, come afferma RimbaudI fiori del male sono la bellezza del male, come dice l’Islandese volante di Leopardi: <<…ho visto la natura, una donna dal volto bellissimo ma terribile>> l’arte deve esser nuova <<au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau>> dice appunto Baudelaire. E quindi amiche ed amici, questo fa la grande poesia e sembra questo suggerirci il gran triunvirato che ho scomodato: aprire gli occhi sul vero. Nella poesia non troverete giammai consolazione, neanche per i tempi più nefasti, soccorso sì, se la sceglierete consapevolmente, come alto strumento di discernimento del vero dalle fatue luci di cui è imbellettato il mondo.

Guido Monti

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Commenti 1

  1. Gianfranco Biancofiore

    Mi chiamo Gianfranco e sono un musicista che legge molta poesia contemporanea e al quale è anche capitato di musicarne un po’.Sono e rimango persuaso che la poesia sia veicolo della verità e pertanto che ci apra gli occhi sulla verità. D’accordo pertanto anch’io con la conclusione di questo intervento sulla poesia.Grazie per l’opportunità. I poeti vanno salvaguardati e non uccisi come è accaduto con Victoria Amelina. VERGOGNA!!!!

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