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I MEDICAMENTA DI NADIA SCAPPINI

I MEDICAMENTA DI NADIA SCAPPINI

Generosa di sé fino alla consumazione, Nadia Scappini in Come dire dell’amore (Moretti & Vitali, pagine 104, euro 12, bandella di Gianfranco Lauretano, postfazione di Giancarlo Pontiggia) ci consegna un libro da biblioteca che ne contiene molti, tra parola, preghiera, profezia. Lauretano scrive: «La poesia collabora a un’idea di risarcimento delle ferite e del passato, a una sorta di “redenzione”, perché bisogna pur cominciare a riparare le parole». Pontiggia compie un’analisi puntuale di tutte le parti che compongono il libro, rintracciando in “Natale” il culmine. Dice infatti “Natale”: «eppure qui, in questo tempo, / aiuola barbara e sontuosa / segno di un altrove che si insiste / e preme / stretto all’istante / che sarà la nostra Luce / per il Tempo nascosto e presente / nella bellezza fertile / l’amore // noi cancelliamo ogni traccia di rancore / nell’impronta di quel Bimbo uscito al mondo / dentro il sospiro di un sì senza riserve // – ha dato senso ad una storia, quella di tutti noi e di ciascuno, / attorno al fuoco di un presepe , / attimo del tempo fatto eterno». Dice di sé Nadia Scappini: «La mia poetica scaturisce dalla convinzione e dall’esperienza che poesia preghiera e profezia siano sorelle, nascano su uno stesso terreno. Quando scrivo faccio un atto di fede, credo e prego (non in senso confessionale, ma dichiarando la mia precarietà di essere umano), ciò che rende il mio sguardo più acuto e mi consente di attingere a un oltre. Questo libro rappresenta un po’ un bilancio della mia vita in cui ripercorro con emozione e gratitudine il momento in cui la poesia mi ha prepotentemente visitata senza darmi scampo (introibo) e da allora mi accompagna come una sorta di continua e rinnovata redenzione (exibo). Accoglie persone che hanno abitato nei miei sentimenti radicando in profondità e personaggi stralunati come Livio che chiedono una forma entro la quale esprimere il loro mondo. Accoglie testi nati in uno stato quasi di trance – e di nuovo l’estate, quelle lunghe giornate, con gesto rotondo – dove le vibrazioni della campagna polesana, le suggestioni sensoriali la fanno da padrone; e testi che richiamano presenze ancestrali depositarie di segreti che solo poco a poco e per barlumi si disvelano. Su tutto una parola che continua a brulicarmi dentro con passi diversi, accendendosi, spegnendosi, acquattandosi per ricomparire riparata, lievitata, assestata sulla misura esatta di una dimora/ritrovata. E una pietas che segna l’appartenenza ad un’umanità disorientata, peregrinante e fragile che solo nel volto dell’altro si può specchiare, riconoscere e trarne conforto». Sono molti i punti di forza del libro: l’infanzia, la nonna, la natura ricreata e poi naturalmente l’amore e la ricetta per perdonarsi inaugurando una nuova memoria. A tratti epica, ha trovate d’ingegno mirabolanti. Favole intorno alle (molte) parole udite, alle (poche in confronto) parole pronunciate. Libro ricchissimo di spunti, quello di Nadia Scappini, diversa in ogni poesia. Nella memoria resta l’immagine di un omino che vorrebbe solo abitare in una poesia, in un libro. Nadia Scappini (Bagno di Romagna, 1949, vive a Trento) ha pubblicato tra i titoli più recenti Le ciliegie sotto il tavolo, Un’ora perfetta, Sonia e il poeta, Limone ruffiano.

Pierangela Rossi

Avvenire

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