RUFFILLI MUSICISTA
L’idea di promuovere il varo del nuovo libro di Paolo Ruffilli La gioia e il lutto (Marsilio, 2001) mi riempie non solo di piacere, ma di orgoglio; perché ho seguito tutte le fasi della elaborazione del testo, le successive stesure fino alla versione definitiva che troviamo stampata in queste pagine. E, da testimone del lungo lavoro dell’autore, devo confessare prima di tutto a me stesso l’insieme di interesse e di stupore che mi ha accompagnato negli anni seguendo la composizione di questo La gioia e il lutto. Sì, l’interesse coinvolgente per le tematiche della morte e del morire, della sofferenza e del dolore, dell’ottica deformata secondo la quale i vivi osservano e accompagnano chi muore; e lo stupore, intanto, per il modo fresco e originale che Ruffilli teneva nell’affrontare argomenti apparentemente così intrattabili (e improponibili) per la loro condizione usurata e banalizzata dalla pubblicistica corrente e corriva, dall’approssimativa pratica dei nostri tempi anche nella stessa scrittura creativa in versi o in prosa. Alla iniziale proposta della prima stesura di La gioia e il lutto da parte dell’autore, guardavo le pagine dattiloscritte con scetticismo prima di cominciare a sfogliarle, pur essendo uno dei “lettori di confronto” di Ruffilli per i suoi testi di poesia che mi ha sempre sottoposto prima della pubblicazione. Il poema mi ha subito preso: non mi aspettavo questa intensità e questa verità. Odio il genere “compianto” o “lamento”, ma La gioia e il lutto è tutt’altra cosa: è un entrare nelle ragioni della morte, fino a elaborarla, fino a lodarla (nell’ultima parte del testo). Quello di Ruffilli è un poema di speranza anche senza essere consolatorio: proprio perché non è consolatorio. C’è un modo di essere anche senza vivere. Io, ateo totale, ho apprezzato molto il significato religioso di questi versi, confermandomi nel sospetto che l’ateismo sia la condizione necessaria per la vita religiosa. Da un punto di vista critico, la prefazione di Pier Vincenzo Mengaldo dice quasi tutto e c’è poco da aggiungere. Concordo sulla natura sincopata di questa partitura antimelodica. Lo sciorinarsi di questi versicoli mi convince: sono come il sottofondo musicale di una preghiera, qualcosa che non fa resistenza, che evita le insopportabili esibizioni dell’espressionismo. La partitura musicale è, del resto, la chiave per interpretare la poesia di Ruffilli. La sua riconosciuta “leggerezza” è l’effetto e la virtù di una misura appunto musicale che consente all’autore qualsiasi scelta proprio perché per via di musica ogni sua scelta si traduce immediatamente in una soluzione: è la musica che consente a Ruffilli di dar voce felicemente a qualsiasi tema e argomento di cui voglia parlare, anche il più ostico e apparentemente impronunciabile, ed è la musica che consente dunque di pronunciare le cose più ardue, rendendole semplici e coinvolgenti. Il poeta Ruffilli è un grande musicista e trascina nella sua musica sempre le cose che contano, parlando insieme al cuore e alla testa. Quello che soprattutto mi interessa sottolineare in conclusione è che non mi accadeva da molto tempo di leggere una poesia così emozionante, così forte e angosciosa. Il libro di Ruffilli è di quelli che non ci lasciano tranquilli, anzi vengono a incunearsi nella nostra mancanza di tranquillità per restituirci paradossalmente slancio vitale. Bellissimo libro.
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Lug 2019
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RUFFILLI MUSICISTA
3 Luglio 2019 | 0 Commenti
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