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LE PROSE POETICHE DI RITA PACILIO

LE PROSE POETICHE DI RITA PACILIO

[…] La fatica. La penna rossa. La penna blu. La tastiera. Il confronto. La dedizione all’arte visionaria. L’emancipazione e lo scorporamento dalla tradizione. È per questo motivo che, L’amore casomai (La Vita Felice) di Rita Pacilio, lo chiameremo Amore. Il lettore scoprirà che possono esserci racconti di dieci righe all’interno di un compiuto preciso e reale: dal punto focale della vista ai pochi centimetri palmari del cono sulla pagina. Spazi. Respiri. Corsivi. Musicalità. Memoria collettiva. Identità. Ipertempo che allude al casomai del titolo. Inizialmente mi sono chiesto se racconti o poesie “distese”. […] Facendo riferimento ad altri scritti, in L’amore casomai, l’autrice sfugge alla cattiveria del dolore, simile al dolore agito e oggettivato. C’e dolenzia, invece. Chiamo dolenzia la parola che accompagna con dolcezza un accento all’orecchio. L’offerta tra malinconia e melanconia, la rinuncia alla nostalgia come il nostos/algos ingombrati dal presente, a favore invece della sorprendente nostalgia del presente. Senza confondere – è importante – il presente interno con il tempo esterno. Senza scompaginare, eppure mescolando, l’Io autorappresentativo con quello letterario. Un’evoluzione, quindi, dal dolore a dolenzia, dicevo. Allo struggimento. La sospensione tra la superficie e l’Es si mescola alla profondità dell’arte della scrittura. […] L’amore casomai offre una grande possibilità alla scrittura contemporanea, perché possiede lo strumento: la lingua delle parole. Quella chiave. La stessa. Utilizzata dall’Autrice con maestria, viene consegnata al lettore per condurlo nella toppa del tempo che tempo non è, luogo che città non è. Nonostante si possa essere coinvolti intimamente, si avverte il pudore della consegna. La letteratura che siamo soliti leggere ha, quasi sempre, una forzatura di immagini, furbi belletti, arrampicamenti metaforici, e versi che non aggiungono e non sottraggono al già detto […]. Nel libro di Rita Pacilio, invece, una mela è una mela al forno, una sciarpa è una sciarpa che appartiene a noi, un pullover un pullover intriso di odore come al cane l’indumento del padrone. Un albero non è soltanto un albero, ma il filmato di una storia. Semplice. Senza bluff. Un banale ago, un ignaro filo ed ecco il ricamo! Cioè con l’arte della parola che da verbo diventa cosa; da cosa si fa verbo, e questo si chiama Mestiere: Rita Pacilio ha la capacità letteraria di rendere l’immagine poetica l’unicum del racconto. Forse l’autrice non si rivolge, ne descrive tempo, luogo e situazioni campate al vissuto di una sera, o fine a se stessa. Quindi, non bisogna cercare un tendine conduttore o spiegazioni moralistiche. La bellezza del libro sta nello sguardo alla scrittura che non è agita da persona. […] Un insegnamento. Si rivolge alla scrittura per indagare sé e ognuno di noi sapendo offrire il sé a chi sa leggere con il sorprendente assunto di Freud, quello che non sappiamo come acquisire, né risolvere: “Il regno della fantasia per realizzare i propri effetti deve realizzarsi sull’impossibilità della verifica”. Una lezione per noi tutti. Poesia e narrativa colta. […] Poesia o racconto? Non un interrogativo: è superflua la risposta. Piuttosto siamo di fronte alla possibilità che ognuno di noi ha nel poter risolvere la propria suggestione davanti alla finestra del sentimento accusato, espresso, eppure ineffabile. Sarà il lettore a dare voce alle emozioni, indotte o primarie, conosciute o immaginate, ma, di certo, prima di tutto, leggendo nell’inchiostro gli innumerevoli simboli.  […] È il compito della cultura offrire il sapere, cioè, donare il luogo interiore a chi possa fare del sapere il proprio laico credo. L’amore casomai è poesia, narrazione e racconto.

Luigi D’Alessio

Postfazione

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