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VOLPONI POETA

VOLPONI POETA

Paolo Volponi, Poesie 1946-1994 (Einaudi,  2001, a cura di E. Zinato). POESIE E POEMETTI 1946-66. Il ramarro (1946-48): L’esordio di Volponi nel mondo letterario avviene come poeta, esprimendo i dolori e le pene di una adolescenza immatura eppure bramosa di uscire da se stessa e organizzare un rapporto col mondo. Notiamo in queste brevi poesie un accentuato zoomorfismo e un paesaggismo psichico e pulsionale, come se la realtà esterna fosse la proiezione dell’io. Egli si rivolge alla sua “sconcia donna”, “più tubercolosa di un topo d’India”, amandola con la forza trapassante del suo sguardo: non sappiamo nulla di lei, nemmeno se è reale o no. L’antica moneta (1949-54): Anche in questa raccolta il poeta è attento alla natura e alla donna, oltre che agli uccelli, che ora annunciano morte, ora cordiale solidarietà. L’antica moneta è la luna che affiora dalla notte. Il giro dei debitori (1953-54): “io tendo / come un seme a interrarmi, / a sdebitarmi intero, / come intera la notte di novembre / giace sulle membra terrestri.” Questi versi rappresentano il mito della metamorfosi e della morte-resurrezione: il poeta desidera farsi strumento di conoscenza, anche rischiando la propria esistenza. Le porte dell’Appennino (1955-59): Qui Volponi affronta principalmente il dissidio tra partire e restare, tema trattato pure ne La strada per Roma. Lasciare la feroce (nemica) figura di Urbino è il suo destino, ma è consapevole che “chi fugge salva solo se stesso / come un passero, se un passero / si salva fuori del branco”. Anche per il tema della fuga vale l’alogico diritto di contraddirsi, tanto è vero che Volponi ha sempre mantenuto integra l’alternativa del restare a Urbino, dove conservava una dimora. Foglia mortale (1962-66): Cogliamo qui lo sforzo autoanalitico dell’autore. In particolare, nel poemetto La pretesa d’amore, dà a se stesso (e al lettore) il consiglio di non pretendere l’amore, di accontentarsi di fare e giudicare, giudicare rettamente controllando ogni pensiero: “non confondete l’ansia con il pensiero e la ragione, / la noia o il divertimento con il giudizio”. Ci sia chiaro che la libertà è vera solo se è comune e utile. Se agiamo con umile pazienza, la natura servirà la nostra coscienza, in una “tranquilla possibilità di esistere” dell'”uomo attivo, non indulgente, felice”. CON TESTO A FRONTE (1967-85): Il testo a fronte è tutto ciò cui rimanda una poesia, quindi la realtà stessa. Tema dominante è la riduzione tecnocratica del mondo ad azienda. Il dirigente aziendale Volponi si muove nel mondo industriale cercando di salvaguardare la propria e altrui integrità morale e la possibilità di liberazione del simbolico, sospendendone il significato, sospensione come atto di umile amore per la libertà dei contemporanei e dei posteri; ciò somiglia al destino di indebolimento dell’essere cui si richiama la filosofia di Gianni Vattimo. Attraverso questo destino di debolezza (contraria ad ogni volontà di potenza) la tecnica diventa umana e amica dell’uomo, smettendo il suo abito tirannico. Nella poesia Pasolini da cinque anni è morto l’autore ricorda uno dei dialoghi con l’amico e maestro Pierpaolo Pasolini, quando questi gli disse che pure lui, Volponi, avrebbe scritto un romanzo, animato dalla stessa timida bravura che gli faceva conoscere anche i pensieri delle cose intorno, di “quel sale e quel pepe nei loro finti cristalli.” Erano in trattoria. NEL SILENZIO CAMPALE (1990): Continua la disperata consapevolezza del poeta rispetto a un brutto universo interamente omologato e automatizzato. Tuttavia egli spera che qualcuno si sottragga a questo destino annientatore della libertà: solo la cultura può salvare l’uomo e riempirgli le giornate di pensieri autentici: “eppure talvolta accade che tra / questi muti volti dell’obbedienza / capiti uno che insorga e stra- / volga ogni senso della sua stessa esistenza / e di quella generale, civile, che tra- / passa ogni singola coscienza.” In particolare, nella poesia Le cose di Mao, comprendiamo che il pensiero non autoritario può salvarci: Mao è conscio di come il suo famoso libretto rosso è distorto e strumentalizzato da questo o quel potere, mentre lui ha voluto solo dire “Boh” e nient’altro. ULTIME: Nelle poesie degli ultimi anni di vita, Volponi ha indossato i panni del “poeta civile”, un po’ corsaro come fu l’ultimo Pasolini. L’invettiva volponiana si rivolge all’Italia tecnocratica e mafiosa, per un ritorno del vero onore, cioè della “lealtà del vero”.

Leonardo Monopoli

Homolaicus.com

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