Umberto Segato è nato a Mira, in provincia di Venezia, nel 1932 e vive tra Roma e Todi. Giornalista de “Il Giorno” e poi, in televisione, Inviato Speciale del TG2. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Non arriva nessuno (Rebellato, 1962), Viaggio a vista (Edizioni del Leone, 1992), Specchio in uno specchio riflesso (Edizioni del Leone, 1999, nella rosa dei Premi Alfonso Gatto, Città di Marineo, Metauro e Viareggio), Versi scabri (Ilmiolibro.it, 2011). Ha pubblicato anche i romanzi I luoghi e il tempo (Newton Compton,1988, Premio “Città di Benevento”), Candida (Ilmiolibro.it, 2015), Eredità o la colpa di Serena (Ilmiolibro.it, 2017), Racconti dal passato (Ilmiolibro.it, 2018).

usegato@alice.it

 

POESIE

ex libris
Sono un anarchico
che all’ordine tende,
un ateo che rimpiange il divino.
una contraddizione,
un vivente ossimoro,
un essere umano.
Come una scintilla
vibro
tra due poli d’attrazione.

Il salto della cavalletta
Salta, e non sa la cavalletta
Quale sarà la sua meta,
Non sa la sorte che l’aspetta.
Scatto da nulla retto, l’insetto
Uno stelo d’erba afferra,
O il petalo di una rosa;
Oppure atterra
Sulla fatta di una vacca
O sul fango di una gora.
Nel viaggio gioca il caso
Che l’uomo non appaga.
Indaga in cielo e in terra
Le cause di ogni effetto
Vuole strade dritte
Per avere certo il fine.

La cavalletta salta senza direzione
Nessuna volontà o intenzione.
Reazione chimica delle giunture,
dinamiche leve di mete future:
stelo, rosa, fatta di vacca,
in una pozza di fango, nell’acqua…

Non diversa, checché tu creda,
la lotteria della creatura
nella biosfera.

Dio si diverte
Un dio nega irridente
la fame della creatura
di sapere origine e natura
di sé, del mondo, di ogni ente.

Sposta di un niente ogni volta
il nastro che segna la meta,
confonde con falsi traguardi
l’orgoglio di ogni profeta.
Allontana l’orizzonte del certo
di ogni faticosa ricerca.

Per questo la quiete si trova,
a volte,
tra chiuse tende di un’alcova.

Il nuovo ordine
Io mi immagino che quando Keplero
E Copernico e Galileo diedero forma
Al Cosmo attuale, gli astri tutti
Stelle, pianeti, galassie e vaganti comete
Materia oscura – buchi neri compresi
Si accomodassero secondo il novus ordo
Lasciando di sasso il Primo Costruttore
Che, per rabbia, prese a calci in culo Tolomeo
Delle alte sfere cattivo scrutatore.

E che poi, quando Einstein, Borh e Heisenberg
Ricomposero il puzzle della materia,
l’Architetto capì ch’era cosa seria.
Finita la sua era, andò a fare bella figura
In un universo adiacente, più innocente
Lasciando perdere Eva, Adamo e la mela matura
che fece di tutti noi prodotti di cultura.

“fiat lux!”
Con quale voce il gran Dio gridò?
Aveva corde vocali, gola, palato?
Fece tutto in un lampo
sfregò con l’unghia lo zolfanello
come un cow boy allo steccato?
Si sentiva solo?

Narciso,
dal nulla un’immagine di sé creò.
Ma, se tanto mi dà tanto,
A un simile artigiano
Non affiderei l’unghia di una mano.

Auschwitz
Molto prima d’arrivare alla Porta
Le teste dei vivi dondolavano inerti
Non avevano fiato né in bocca saliva
Rassegnati tutti a ciò che li attendeva.

Il fetido buio all’interno del carro
Copriva i corpi come un tabarro.
Vaneggiava uno, un altro scaracchiava
Moccio e liquame il piancito allagava.
Indifferenti tutti a puzza e fetore
Fissavano il vuoto, vuoti di stupore.

Il vetturino scese, sfilò il catenaccio
Le porte cigolarono su cardini rugginosi.
“Scendete, svelti, fine della corsa
Qui è la doccia, lavatevi la crosta”.

Eredità
Salve, fratello Caino
che hai svelato dell’uomo la natura!
Da quando hai drizzato la schiena
non c’è stato giorno senza catena,
né sparso sangue d’una creatura.
A quando il Nobel per l’impresa?

A.I.
Usi noi siamo al cielo vuoto
Alla vita senza scopo.
Figli dell’uomo, sciolti dal mistero
e dalla responsabilità
di un mondo ereditato,
abbiamo lavorato.
Ripeti con me, K.S.3:
“Il dovere nostro abbiam fatto,
ma l’identico non s’è ripresentato.
Questa è la prova
Che aveva torto il Matto”.

A volte
Avverti a volte Qualcosa
O ti sembra d’avvertire
Nella voce che canta
Nel viso che incanta
Nel dono dell’amante
Nell’attimo esitante
Del sole che tramonta
Qualcosa…

————–… visione…
Appare
E subito, Svelando,
Svanisce.

Nel lampo
Il divino fiorisce.

Il mnesico che rimane
– aereo fantasma, fantasia –
con improprie vesti addobbi:
Arte, Musica, Poesia.
Crudele è Colui che il dono concede
Per un attimino.

A Delfi
In un assolato pomeriggio d’agosto
dove un tempo Apollo parlava,
persi me stesso, non ci fu più Io.
Estatico, privo di carcassa,
per un istante conobbi il dio.

Ma subito i giorni, e la mente con essi,
tornarono lesti a far da padroni:
traversarono il Tempo, le morte stagioni
e io rifiutai degli inganni la grazia.

Ora che il Dio s’è fatto muto
Un dubbio inquieta quell’assenza:
fu un errore lasciar morire il mito
e farsi signore di un mondo finito?

Oppure
Nell’infinitamente grande
Eterno è parola vuota,
Non accetta passato né futuro,
Non ha fine né inizio.

Oppure:
Nell’infinitamente piccolo
Materia è onda
Onda è materia,
Non ha descrizione
Quasi un’illusione.

Oppure:
Un Creatore increato
È e sempre sarà.

Oppure:
L’immensità dov’è dolce affogare.

E io
Che d’affogar rifiuto
L’antinomia offende
Il paradosso sconcerta
E il mistero non appaga?

Terra di nessuno
Il Luna Park ha dichiarato fallimento.
Dalla Casa degli Specchi, dal Tunnel dell’Amore
Ecco, siam fuori
In un giorno senza luce, in una terra senza guida,
In un futuro senza sfida.
Trapassa l’allegria in fredda malinconia.

Sul telo bianco ove ogni ricordo appare
Mute scorrono le immagini del tempo
Guerre, bandiere, eccidi, comizi
E tutta la batteria della Storia dagli inizi.
“Non c’è più niente che duri, signora mia”.
“Non le dico l’intervento, l’operazione”.
“Latte o limone?” “Assaggi il lampone”.
Sulla strada passa la rivoluzione.

“In God we trust”, sul biglietto verde,
Verde arredo della terra di nessuno.

I barattoli Campbell, le “diamond dust shoes”,
Marilyn, immagine solare, diventata seriale:
Merce; che si vende a fine stagione
Con sconti da deflazione;
Poi s’appende sopra il capezzale
Per sognare sogni andati a male.

Eliot, il conservatore, sapeva
Che il nuovo nasce solo dalla regola,
Non da quest’ilare trasgressione
Da carnevale di matriarche in fregola.

Grida arrochite di gabbiani in pastura
Saziano l’aria sulle nostre rovine:
Non archi, colonne, statue divine
Ma una colorata distesa di lordura:
Tutti i polimeri derivati dal petrolio
(Bottiglie, fusti, lattine, vibratori)
Archeologia per una civiltà futura;
Nastri magnetici con incisa la storia
D’un’umanità senza memoria.

Ma l’indomito spirito dell’uomo
Spavaldo grida, cilindro in mano:
Su il sipario, lo spettacolo continua!

Sul palco il clown, pubblico in fermento,
Tripudio al soffitto, grato e contento.
Alla fine, applausi alla rappresentazione.