Silvio Raffo della Porta, nato a Roma nel 1947, vive a Varese. Ha pubblicato di poesia: I giorni delle cose mute (Kursaal editoriale, 1967), Invano un segno (Rebellato, 1976), Stanchezza di Mnemosyne (Forum, 1982), Immagini di Eros (Forum, 1984), Da più remote stanze (Hellas, 1984, prefazione di Daria Menicanti), Lampi della visione (Crocetti, 1988), L’equilibrio terrestre (Crocetti, 1991), Quel vuoto apparente (Edizioni del Leone, 1995), Vocative (LietoColle, 2003), Il canto silenzioso (Marna, 2005, prefazione di Maria Luisa Spaziani), Maternale (NEM, 2007), Al fantastico abisso (Nomos, 2011); di narrativa, i romanzi: Lo specchio attento (Edizioni Dello Zibaldone, 1987), Il lago delle sfingi (Marna, 1990), La voce della pietra (Il Saggiatore, 1996), Virginio (Il Saggiatore, 1997), Spiaggia Paradiso (Marna, 2000), I figli del Lothar (Ulivo, 2008), Dependance (Acar, 2009), Eros degli inganni (Bietti, 2010), Giallo Matrigna (Robin, 2011), La Sposa della Morte (Robin, 2012); in prosa, biografie e saggi: Guida alla letteratura contemporanea (Bonacci, 1977), Donna, mistero senza fine bello (Newton Compton, 1994, a cura), Gli specchi della Luna (Tettamanti, 1999). Ha curato opere di Ada Negri, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Antonia Pozzi, Platone, Seneca, Marco Aurelio. È inoltre autore di traduzioni: Emily Dickinson, Oscar Wilde, Christina Rossetti, Sara Teasdale, Wendy Cope, Emily Bronte.

https://it.wikipedia.org/wiki/Silvio_Raffo

silvio.raffo@virgilio.it

 

POESIE

Quanto abbiamo vagato in questa selva –
quante penombre
abbiamo attraversato,
quanti fantasmi incontrato. Ogni belva
silenziosa
e fantastica svaniva
se non ci spaventava nell’agguato.
E quante notti,
giunti sulla riva
d’un grigio fiume sentimmo la voce
velata e seducente
della morte –
ma poi gentile nell’inganno atroce
ci sospingeva il
giorno a nuove porte.
Non c’era scampo dalla sua violenza,
dalla morsa
immortale del destino.
E’ così che avanziamo nel cammino
rassegnati a
una stolida pazienza.

*
Oh no non è qui la mia vita
la vita vera
intendo
quella che s’è smarrita
che ha perso strada facendo
la giusta
direzione
quella che avrei dovuto
seguire risoluto
cogliendo
l’occasione
d’un volo, di un amore
di un attimo assoluto –
di un
diverso dolore
da questo che ristagna
dentro il lago del cuore
nella
muta campagna
della desolazione

*
Lo sai da sempre, non c’è soluzione
alla fatalità della passione.
L’amore è solo quest’atroce sfida:
devi
ucciderlo prima che ti uccida

Vedersi o non vedersi non altera l’amore
se si è raggi di un unico splendore.
Mai la quercia vedrà la sua radice
se è quella linfa a renderla felice

*
Sei tu che mi sorridi dallo
specchio
ogni mattina, o madre mia fanciulla
con il mare negli occhi.
Non c’è nulla
che può turbarmi, e non sarò mai vecchio.

da MATERNALE

Post Scriptum da Altrove
(…the Everlasting
Clocks chime Noon )

Pensano che mi sia qui ritirato
per attendervi,
solo,
la fine a cui da sempre preparato
convogliavo le forze nel
profondo:
la Fine, sì, del Mondo

Non sanno che ho trovato
il Luogo
dove il Tempo è già passato:
qui, dove gli orologi dell’Eterno
battono
mezzogiorno
estate e inverno

da POESIE DA ALTROVE

#
Amore fantomatica creatura
che giocavi
con Psiche a nascondino
sei tu che fuggi quando m’avvicino
perch’io ti
vincerei nell’impostura

*
Di fiore in fiore svolo facilmente
ma non
son l’ape che sugge profondo –
son la farfalla, che non gusta niente –
che sa di stare un solo giorno al mondo

*
Anima bella
anima farfalla
anima pura
innocente fanciulla
di te solo Narciso è innamorato –
uno
spettro l’ha al cuore pugnalato

da IMMAGINI DI EROS

Assapora l’aroma non amaro
dell’equilibrio terrestre:
v’è un accordo
supremo
seppur raro
fra l’Oscuro
e il Celeste

da L’EQUILIBRIO TERRESTRE

Gli Angeli sono tristi perché

strano suona

il loro saluto al mondo umano.

Si riposano stanchi sulle guglie
di
turrite città. Piangono un poco,
tra loro si sorridono per gioco.

Gli
angeli sono tristi perchévano
sembra il loro saluto al cuore umano

da LAMPI DELLA VISIONE

Quel vuoto apparente
párodos
Della vita si apprezza sovente
più tardi del dovuto
l’intima leggerezza, il senso muto
di quel vuoto apparente

armoníe aphanés phanerés kréitton
(Eraclito)
(Armonia invisibile è d’armonia visibile più forte)

Non ha inizio, né fine
Non ha ‘dove’ , né ‘quando’
Si stanzia nel Non-Luogo
Fluttua nell’OltreTempo

*
Distanza che lo sguardo non misura,
non abita lo spazio-lineamenti
che nessuna magia può scandagliare-
tracciati senza inganno di natura

*
La fiaba della Vita mi nutriva
di cibi e di bevande affatturate
Arcana vocazione agl’incatesimi
m’incatenava inerme a streghe, a fata

*
Incompiuto finisce il mio poema
da giorno a giorno , l’incantata piena
non trabocca dall’argine silente.
Non che la foce,ignota è la sorgente

*
Nulla di mio possiedo sotto il sole
se non quest’ombra amica. O grave stella,
che mi segui e mi guidi fra le aiole,
o casta solitudine sorella

*
Inseguivo dei versi ritornando
dal muto borgo a casa nella sera
Di là dal lago cantò una campana,
m’innamorò quella voce leggera

*
Mondi amati, sognate beatitudini,
giardini del ridente desiderio
vi ritrovo al bagliore di riverberi
nel cerchio opaco delle solitudini

táde metapesónta ekéina
(Eraclito)
(questo, rovesciandosi, è quello)

Illusione del Viaggio è il movimento,
ogni sosta è finzione di Traguardo
Non sai se andare o stare, al fuoco lento
della Visione consumi lo sguardo

*
Mi fascia il bianco camice di lino,
l’inconsùtile saio levigato
Cinge la fronte un serto adamantino.
Come l’anima è il corpo, immacolato

*
Lasciatemi coi grilli e le cicale
nella brezza di mare sonnolenta
sulle sponde del Sogno Verticale
indifferente al flutto che si avventa

*
Mi preparo ogni sera per l’amante
che a visitarmi viene trepidante –
nel cuore della notte, senza forma,
alato nemico di chi solo dorma

*
Si leva a notte qualche volta il vento
e l’ultimo rintocco di campana
spegne la chiesa. Mi saluta arcana
la luna a cui negai l’appuntamento

*
Ciò che ti manca è sempre altro alimento
da quello che sa darti il tuo pensiero
Del suo gioco l’incanto è prigioniero,
l’anima stanca sogna un mutamento

*
Aleggiando tra i cespi di verbena
sul mio terrazzo volto al breve oriente
mi promette una notte sorridente
l’angelo mite della luna piena

(noi come le foglie)

Già muore agosto, e il consumato ardore
si dissolve alle brezze della sera
L’estate, nel congedo più severa,
ti abbandona al deserto del tuo cuore

*
Io sono un’ombra cui nessuno impose
d’acquistare reale consistenza
Nella mia forma un angelo nascose
il riverbero della differenz

*
Trascorsero fanciulli come stelle
nel tuo cielo immutato
Lo stesso viso, docile e ribelle,
confondeva il presente col passato

*
Questi lunghi anni grigi senza amori
questi anni monotoni, gelati
un giorno scoprirai che sono stati
i tuoi anni migliori

*
Dal sole all’ombra muti trascorrendo
ci prepariamo all’ora del commiato
Dolce verrà la sera raccogliendo
gli ultimi nostri passi sul selciato

*
Moriranno le forme luminose
che un incanto ingannevole compose
In un buio silenzio varcheremo
di una murata porta il varco estremo

*
Sarà come salire sul battello
mentre un sole velato ti saluta
quell’ultima domenica perduta
nei giardini deserti del Castello

(Verità preferibile sempre)

Ad armi pari si combatte il lento
duello con Madonna Verità
Se non sarai leale oltre che attento
nemmeno vinta ti si svelerà

*
M’incantavi quand’eri incantato
incantevole alato fanciullo
Non altro incanta che un ingenuo canto
Accorda opache note il disincanto

*
Come la scia d’una stella leggera
la tua grazia ha più luce nella sera
Rade volte la scorsi. A lampi sparsi
nella notte svanì senza svelarsi

*
Ha sapore di cenere il presente
La fiamma che bruciò dal primo altare
dentro l’aria si spegne lentamente
Il fuoco lo puoi solo ricordare

*
Potevamo capire anche più presto
che il nostro mondo no, non era questo
che il regno a noi assegnato dalla sorte
era quello dell’ombra, della morte

*
Pago l’amore della Perfezione
con il tributo della Solitudine
Ma non tradisco l’Angelo – rifiuto
l’antidoto dell’Approssimazione

*
Lasciatemi morire
come sono vissuto:
solo – senza mentire
nell’ora del saluto

tétlathi kradíe
(Omero)
(sopporta , o cuore)

Questa pulsante sfera
ardeva di splendore
milioni d’anni luce
prima del tuo dolore

*
Oggi festeggio un mese
dal ritorno del male
È un ospite cortese,
misterioso – puntuale

*
Soffro il dolore della pietra immota
Si è seccato il torrente del mio cuore
fino a ieri di lacrime irrigato
Pulsa la vena d’ogni sangue vuota

*
Si confondono in grigi nembi i giorni
d’un passato remoto senza luci
Cuore spezzato, invéntati un ricordo
per le notti deserte che verranno

*
Si fa di sera più invadente il male,
mio discreto compagno abituale
Gli sono grato della sua presenza,
fedeltà ch’è suggello di coerenza

*
“Attraverso l’angoscia ti ho provato” –
Aspetto le parole che ad Abramo
gridò tra i nembi il messaggero alato –
ma forse troppo geme il mio richiamo

*
Per qualche segreta sventura
non so se passata, o futura,
senza scampo la mia vita
è già come se fosse finita

(dolceamara invincibile (fiera) )

La tua grazia leggera
(un altro inganno)
m’illude coi suoi vezzi – in primavera,
la stagione più futile dell’anno

*
Nella faretra aveva quella sola
quasi invisibile freccia
Parlava con accento intimidito
Neppure seppe d’avermi colpito

*
“Il tuo corpo è reale?” gli chiedevo
mentre l’anima al sogno trattenevo
Per alleviare la sua grave pena
spezzare avrei dovuto la catena

*
Lo strale di Cupido era nascosto
nella curva innocente delle ciglia
Fremeva l’arco – l’ultimo avamposto
cadde abbattuto dalla meraviglia

*
Venne un giorno a trovarmi. Ero malato
del mio solito male. Disadorno
trovò l’arredamento dl locale.
S’affacciò, si ritrasse spaventato

*
Come la neve, l’amore
quest’anno un’altra volta m’ha ingannato
Fittizio il suo candore: era la brina
che mascherava il prato

*
Rimane nella stanza della musica
l’eco del tuo diteggio all’imbrunire
Poche stridule note, cauti accenni
di un addio che si vuole differire

pathémata mathémata
(sofferenza è disciplina)

Fin qui il mio tempo è stato
l’attesa di un momento
Ora ‘il coltello sento
che fu profetizzato’

*
La vita se n’è andata
resta la sua sembianza,
del giorno un simulacro
nella stanza

*
Io sono qui,
come un’icona triste
E la vita a chiamarmi
poco insiste

*
M’aveva soltanto sfiorato,
stranamente leggera…
M’accorsi verso sera
della lama affondata nel costato

*
Il disastro non è, come si crede,
conflagrazione, apocalisse, schianto
è crollo silenzioso, disincanto
dell’anima che abiura alla sua fede

*
Non so da quanto il grigio è il mio colore
È un palazzo di pietra la memoria;
anni di piombo grevi, senza storia,
sulla cella deserta del mio cuore

*
E m’appare d’un tratto
la mia vita
effimera corolla
già sfiorita

kúphon gar chréma poietés
(Platone)
(creatura leggera il poeta)

Passeggiavo, padrone del paese,
felice come un bimbo, come sempre –
più di sempre, poi ch’era luna piena –
nel buio luminoso di sorprese

*
Come una mano l’edera ghermiva
la fronte gialla della casa; un sogno
insisteva a chiamarmi. Si stupiva
l’anima, ancora colta di sorpresa

*
Mi scortano i gabbiani in paradiso
questa sera – varcata la collina
uno spasimo affanna il calmo volo –
poi, l’approdo insensibile improvviso

*
Dall’ultimo di maggio
il lago è assai salito
il cigno a mezza sponda
ha un fremito stizzito

*
Se di mattina, a la stagione estiva,
non mi trovate in casa né in giardino
scendete verso il lago qui vicino:
sono in canoa, chiamatemi da riva

*
Anche quest’anno non c’è un altro cuore
che con me si rallegri della prima
fiorita del ciliegio. Il suo candore
solo dell’ape cattura la stima

*
Viene il giorno che acquista compiutezza
la tua vita, e così la solitudine –
Non ti domandi più che cosa sia
quel che ti manca – basta la Poesia

éros anthemóentos
(Alceo)
(Primavera vestita di fiori)

Quest’ultima di marzo
giornata solatìa
la dedico senz’altro
pensiero alla Poesia

M’ha colto di sorpresa,
ignaro anche dell’ora
e l’anima s’è arresa
al lieve incanto ancora

In un letto di foglie
ho steso il corpo ansante
Turbe,dolori e voglie
dissolti in un istante

Da un intimo rifugio
un gallo strilla roco
Indugio,triste un poco,
nel vicolo canoro

Mi chiamano le strida
dell’anatrella pazza
che intrepida svolazza
verso l’imbarcadero

Le primule di Antonia
ho visto sul sentiero
frivoleggiar con timide
violette del pensiero

Fende l’acqua dorata,
come un candido strale,
la sagoma chiomata
d’un battello trionfale

E tutto questo è dato
un lunedì splendente
in dono ad un poeta
di già convalescente

o pái parthénion blépon
(Anacreonte)
(fanciullo che con occhi di fanciulla)

Svelami, o Musa,
il volto della Grazia
quella tremenda luce
che mai sazia

*
Restavo solo in compagnia del sole,
della brezza sull’onde,sulle aiole
sulla scia di quel trepido sorriso
che m’aveva annunciato il Paradiso

*
Non sciuparlo quell’esile figmento,
quella grazia incarnata in filigrana,
quel lieve segno,quel presentimento
d’azzurro che a inseguirlo s’allontana

*
Neppure lo sfiorai: fredda una luce
gli diffondeva intorno il vago alone
che a credere nei sogni meglio induce
velando dei contorni la visione

*
Innamorato resto di un’immagine
e il mondo è fatto solo di persone
Scenderò nella gelida voragine
col sorriso beffardo delle icone

*
Al congedarsi dai volti
che amiamo, è senza speranza
il senso della distanza
che tanti ne ha dissolti

*
Morire non dovrai di solitudine
da una coltre di tenebra fasciato
ma risvegliarti docile alla tiepida
brezza d’un sogno, come appena nato

eméra dáctylos
(Alceo)
(il giorno è un dito)

Saliva alla mansarda
dalla scala a spirale
quella luce beffarda,
un alone irreale

*
All’alba opaca un velo
ottunde la memoria
da una morsa di gelo
riemergi alla tua storia

*
Non mi visita più come una volta
il Demone dell’Intima Armonia:
diserta il mio sentiero,cede il passo
alle invasioni di Malinconia

*
Non fu della colomba il volo arcano
che vidi,alto suggello dell’Evento
ma l’obliquo sbandare del gabbiano
sinistro come il mio presentimento

*
Le sere sono molto silenziose
qui nel mio regno di magie nervose
di mostri pronti a stringerti d’assedio,
di larve inquiete, d’inesausto tedio

*
È povera di eventi questa vita
E l’altra lo sarà forse del tutto:
una lunga domenica sbiadita
senza gustare della noia il frutto

*
L’ultimo desiderio? Una sorpresa!
Dàtemela come il fumo al condannato
che compaia qualcuno inaspettato-
che un evento giustifichi l’attesa

éthos anthrópo dáimon
(Eraclito)
(Démone all’uomo l’indole)

Non è trovare un senso a questa vita
che la rende più bella o meno amara
La felice ignoranza già fuggita
è più savia d’ogni arte che s’impara

*
Io non ho conosciuto mai l’amore
né mai l’amore ha conosciuto me
Di chi sia stata la pena maggiore
è ignoto a tutti, e ignoto anche il perché

*
Alle prime intemperie settembrine
l’amara nostalgia del non goduto
discorda con le pratiche divine
della rassegnazione, del rifiuto

*
Per l’ennesima volta differita
si fa beffe di me l’Apocalisse:
tempesta breve, già quasi ammansita
quella che il cuore estrema mi predisse

*
È un battello deserto la mia vita,
una nave fantasma mai partita
Immobile dal mare del Pensiero
scruta le rive il bianco passeggero

*
Linfe ed umori in un’arsura stretta,
la morta gora ha tutto prosciugato:
dalle liquide vene del passato
allo scarno domani che mi aspetta

*
Allénati all’insonnia virginale,
agli esercizi dell’onnipotenza,
alle intemperie di un’adolescenza
eterna,al tuo Peccato Originale

egó dé móna kathéudo
(Saffo)
(io giaccio sola)

Animae meae dimidium , dove sei?
Di te nessuno mi reca novella
Dovrò chiedere forse alla mia stella?
Vedendoti ti riconoscerei?

*
Perché non sei con me, sul mio balcone,
a godere l’ozioso privilegio
del concerto fra i rami di ciliegio
e la carezza della Perfezione?

*
Sono già nella bara certi giorni
mio sudario il Silenzio: questo manto
di perla che mi avvolge come un velo
lago montagna cielo

*
In the deepest of the Heart
in the thick of His old Park
there is no Light
but Dark

*
…Così insoluto resterà l’enigma
(che non interessa a nessuno)
Ero l’uomo che non sapeva amare
o che la sorte condannò al digiuno?

*
Chi raccoglie dal grembo della notte
le mie grida d’aiuto ininterrotte?
S’adempie all’alba la condanna atroce:
altro di me non resta che la voce

*
Benché dilaniato
dall’artiglio del drago
morirò senza un grido,
da ragazzo educato

rhysmós anthrópous échei
(Archiloco)
(ritmo governa gli uomini)

Non conosco altra infanzia o giovinezza
se non questa che il giorno mi consuma
ma che intatta resiste- tenerezza
di un’alba che si schiude dalla bruma

*
Sette d’agosto giorno d’incantesimi
Può ancora capitare che Realtà
superi Sogno
in forza e intensità

*
Tra i cespi di mortella e di lavanda
dice un cartello: “I fiori non si toccano”
ma nell’arcaica grazia della danza
mille farfalle infrangono il divieto

*
Non sono dei. Li affascini quel tanto
che può carpirli il tuo fuoco irreale
Scelgono poi la femmina,
come ogni altro animale

*
La folla dei fedeli
si fa vieppiù sparuta
Arcangeli,premiate
il cuore che non muta

*
Volevo l’oro,
non il similoro
Ebbi la scaglia greve
dell’amianto

*
Tra breve lo spettacolo avrà fine
Ma non ve ne dolete, signore e signorine
Fosse durato in eterno
sarebbe stato un inferno

exodos
Siamo in un mondo che muore. L’agonia
è il privilegio della nostra sorte
Una cetra è sospesa sulle porte
del vuoto, una ghirlanda di Poesia

Eros-Anghelos
Il poema dell’angelo
“I will not let thee go except thou bless me.”
(Emily Dickinson)

I
Del sogno ritentando l’avventura,
improbabili tracce ravvisavo:
ombre d’ombra , echi spenti di paura _
non era vero il sogno che sognavo

II
Non v’era labirinto in cui smarrirmi
potessi più , nel morbido piacere
d’inseguire una larva evanescente
e nemmeno la languida corrente
d’un Lete in cui specchiarmi e intravvedere
una nuova sembianza in cui stupirmi…
Solo fatui bagliori di chimere,
fantasmi d’aria, rivoli di niente

III
Ma quando, già persuaso a rinunciare,
riaprivo gli occhi su uno spazio umano,
tra veglia e sonno al plumbeo limitare
un angelo mi prese per la mano

IV
Che avesse accompagnato il mio cammino
non m’ero accorto (forse , a quando a quando,
quel leggero pulsare , un più vicino
fremer dell’aria che fendeva aliando?)
Una nube di fumo tuttavia
faceva schermo a quella epifania

V
Non lo vedevo in volto, era velato
da quella nebbia: solo traspariva
a tratti il suo profilo delicato.
Mi camminava a fianco , e in me moriva
ogni altro desiderio che non fosse
d’accordarmi fedele alle sue mosse

VI
Mi guidò lungo chiari cigli erbosi
simili a cirri di marina spuma
che orlavano il sentiero sinuosi.
E visitammo ville nella bruma
trasognate, con portici sontuosi
e terrazze lunari scintillanti,
umide grotte magiche di canti

VII
… e non parlava; ed io aspettavo un gesto,
che schiudesse le labbra alla parola,
che mi dicesse che cos’era questo
sogno che sognavamo: fu la sola
domanda che gli posi, ma fu invano ,
perché taceva, guardando lontano

VIII
Dalla remota ombra uscimmo infine
a nuova luce : basso, all’orizzonte
il sole disegnava il suo confine.
L’angelo mi baciò lieve la fronte
ed innanzi mi spinse , sulla riva
d’un lago che alla brezza trasaliva.
Qui mi lasciò per divenire onda,
scomparve come fumo che sprofonda

IX
E lo chiamai; né mi rispose il vento
che arabescava i cerchi ampi del lago
con le sue dita , mobile strumento.
Un brivido percorse con un vago
chiarore d’ala l’acqua sbigottita
dove la cara forma era svanita

X
E mi guidò una nuvola al ritorno,
alata e bianca , celere nel corso.
Un tempo incalcolabile è trascorso
dal tramontare di quel solo giorno.
Ma da allora si è fatto il mio cammino
più sicuro nell’aria che non trema:
l’angelo che ha segnato il mio destino
ogni istante mi detta il suo poema.

THE BITTER KINGDOM
1-
Ieri, un millennio fa, sostava il Tempo
a una fermata d’autobus con me
(Di bouganville il muro straripava)
Sapevo che quel lucido intervallo
come un premio speciale era serbato
al suo stanco pupillo; mi avvisava
che alla mia solitudine tornato
sarei per sempre, per l’eternità.
Mi preparassi, dunque. Vacillai,
temendo di non esserne capace.
(Dall’assolato muro si struggeva
la bouganvilla per me di pietà).
Imploravo piangendo un’altra pace.
Ma il tempo sentenziò: “Ci riuscirai.
E gusta fino in fondo il tuo dolore.
Non sperare di soffocarlo mai.
Non concedergli tregua. Il solo errore
è corteggiare la felicità”.

2-
Non l’avevo mai bene misurata
la mia ricchezza, quel vano potere,
quell’arida miniera sconfinata.
Non che ne fossi ignaro, ma temevo
le insidie del deserto, le chimere.
Eppure attraversare lo dovevo.
Era il deserto della solitudine
era del vuoto l’infinita stanza,
della morte l’indocile abitudine,
d’ogni traguardo l’intima distanza.

3-
Era quello il mio dono, un patrimonio
astratto, incalcolabile, indiviso
che fruttava monete senza conio.
Un regno amaro- ma pur sempre un regno-
senza sudditi con un solo re-
Era il mio personale paradiso.
E dovevo tenerlo chiuso in me,
senza svelare del mio rango il segno?

4-
Misero mi appariva il mio possesso:
privilegio di pura iniquità
che nessuno poteva ereditare.
Dal Tempo ottenni il tiepido permesso
di qualche rara visita, di cui
avrei dovuto render conto a Lui.
Per tutto il resto dovevo trattare
direttamente con l’Eternità.

5-
Alla fermata l’autobus giungeva
con due soli minuti di ritardo.
La bouganvilla al sole sorrideva
e dispariva rapida allo sguardo.
quattro, cinque, sei agosto duemila