Sandro Penna è nato a Perugia nel 1906 ed è vissuto a Roma, dove è morto nel 1977. Ha fatto diversi mestieri: il contabile, l’allibratore di corse ippiche, il commesso di libreria, poi il correttore di bozze e il mercante d’arte. Nel 1939, grazie all’interessamento di Giansiro Ferrata e Sergio Solmi, pubblica la prima raccolta di versi, Poesie, il cui successo lo introduce come collaboratore in alcune importanti riviste dell’epoca, “Corrente”, “Letteratura”, “Frontespizio”, “Il Mondo.” Nel 1950 pubblica il suo secondo libro, Appunti, e nel 1956 Una strana gioia di vivere, edito da Scheiwiller, cui segue la raccolta completa delle sue Poesie l’anno dopo. I successivi libri: Croce e delizia (1958), Tutte le poesie (1970),  Stranezze 1957-1976 (1976), Il rombo immenso (1978), Confuso sogno (1980), Poesie, prose e diari (a cura di Elio Pecora e Roberto Deidier, 2017).

https://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Penna

 

POESIE

da TUTTE LE POESIE

Il rumore dell’alba
Come è forte il rumore dell’alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.

Già mi parla l’autunno
Già mi parla l’autunno. Al davanzale
buio, tacendo, ascolto i miei pensieri
piegarsi sotto il vento occidentale
che scroscia sulle foglie dei miei neri
alberi solo vivi nella notte.
Poi mi chiudo nel letto. E mi saluta
il canto di un ragazzo che la notte,
immite, alleva: la vita non muta.

Mi avevano lasciato solo
Mi avevano lasciato solo
nella campagna, sotto
la pioggia fina, solo.
Mi guardavano muti
meravigliati
i nudi pioppi soffrivano
della mia pena. pena
di non saper chiararnente…

E la terra bagnata
e i neri altissimi monti
tacevano vinti. Sembrava
che un dio cattivo
avesse con un sol gesto
tutto pietrificato.

E la pioggia lavava quelle pietre.

Finestra
È caduta ogni pena. Adesso piove
tranquillamente sull’eterna vita.
Là sotto la rimessa, al suo motore,
è – di lontano – un piccolo operaio.

Dal chiuso libro adesso approdo a quella
vita lontana. Ma qual è la vera
non so.
E non lo dice il nuovo sole.

Amore, gioventù, liete parole
Amore, gioventù, liete parole,
cosa splende su voi e vi dissecca?
Resta un odore come merda secca
lungo le siepi cariche di sole.

Guardando un ragazzo dormire
Tu morirai fanciullo ed io ugualmente.
Ma più belli di te ragazzi ancora
dormiranno nel sole in riva al mare.
Ma non saremo che noi stessi ancora.

Poesia senza titolo
Era l’alba sui colli, e gli animali
ridavano alla terra i calmi occhi.
Io tornavo alla casa di mia madre.
Il treno dondolava i miei sbadigli
acerbi. E il primo vento era sull’erbe.

Altissimo e confuso, il paradiso
della mia vita non aveva ancora
volto. Ma l’ospite alla terra, nuovo,
già chiedeva l’amore, inginocchiato.

Cadeva la preghiera nella chiusa
casa entro odore di libri di scuola.
Navigavano al vespero felici
gridi di ucceli nel mio cielo d’ansia.

Scuola
Negli azzurri mattini
le file svelte e nere
dei collegiali. Chini
su libri poi. Bandiere
di nostalgia campestre
gli alberi alle finestre.

Il vegetale
Lasciato ho gli animali con le loro
mille mutevoli inutili forme.
Respiro accanto a te, ora che annotta,
purpureo fiore sconosciuto: assai
meglio mi parli che le loro voci.
Dormi fra le tue verdi immense foglie,
purpureo fiore sconosciuto, vivo
come il lieve fanciullo che ho lasciato
dormire, un giorno, abbandonato all’erbe.

Le nere scale della mia taverna
Le nere scale della mia taverna
tu discendi tutto intriso di vento.
I bei capelli caduti tu hai
sugli occhi vivi in un mio firmamento remoto.
Nella famosa taverna
ora è l’odore del porto e del vento.
Libero vento che modella i corpi
e muove il passato ai bianchi marinai.