Salvatore Quasimodo è nato a Modica (Ragusa) nel 1901, appena diciottenne lasciò la Sicilia e si stabilì prima a Roma e più tardi a Milano. Le sue raccolte di poesia: Acque e terre (Solaria, 1930), Oboe sommerso (Circoli, 1932), Erato e Apòllion (Scheiwiller, 1936, prefazione di Sergio Solmi), Ed è subito sera (Mondadori, 1942), Giorno dopo giorno (Mondadori, 1947), La vita non è sogno (Mondadori, 1949), Il falso e vero verde (Schwarz, 1954), La terra impareggiabile (Mondadori, 1958), Dare e avere (Mondadori, 1966). Numerosissime le sue traduzioni: da Alceo, Saffo, Catullo, Virgilio, Ovidio, Eschilo, Euripide, dall’Antologia Palatina, e ancora da Shakespeare, Molière, Ruskin, Cummings, Neruda, Aiken, Euripide, Eluard. Premio Nobel nel 1959. È morto nel 1968 a Napoli.

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https://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Quasimodo

http://www.treccani.it/enciclopedia/salvatore-quasimodo/

POESIE

da ACQUE E TERRE

Vento a Tindari
Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull’acque
delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima

A te ignota è la terra
ove ogni giorno affondo
e segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

Specchio
Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

da ED È SUBITO SERA

Già la pioggia è con noi
Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.

Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d’improvviso un giorno.

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera

Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre bette il piede dei cavalli!

da GIORNO DOPO GIORNO

Alle fronde dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

Uomo del mio tempo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

da LA VITA NON È SOGNO

Lettera alla madre
Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,

il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;

non sono triste nel Nord: non sono in pace con me,

ma non aspetto perdono da nessuno,
molti mi devono lacrime da uomo a uomo.
So che non stai bene, che vivi come tutte le madri dei poeti,
povera e giusta nella misura d’amore per i figli lontani.
Oggi sono io che ti scrivo:
finalmente, dirai, due parole di quel ragazzo

che fuggì di notte con un mantello corto

e alcuni versi in tasca.
Povero, così pronto di cuore lo uccideranno

un giorno in qualche luogo.
Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo di treni lenti

che portavano mandorle e arance, alla foce dell’Imera,

il fiume pieno di gazze, di sale, d’eucalyptus.
Ma ora ti ringrazio, questo voglio,

all’ironia che hai messo sul mio labbro, mite come la tua.

Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,

per tutti quelli che come te aspettano, e non sanno che cosa.
Ah, gentile morte, non toccare l’orologio in cucina che batte
sopra il muro, tutta la mia infanzia è passata

sullo smalto del suo quadrante, su quei fiori dipinti:

non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde?
O morte di pietà, morte di pudore.
Addio, cara, addio, mia dolcissima Mater.

da LA TERRA IMPAREGGIABILE

Alla nuova luna
In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò.
Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.