Rocco Scotellaro è nato a Tricarico (Matera) nel 1923 da famiglia artigiana. Ha svolto un intenso lavoro sindacale e politico culminato nella sua elezione a sindaco. È morto a Portici, stroncato da un infarto, nel 1953 nel pieno degli anni e della sua attività di scrittore. Le sue raccolte di versi: È fatto giorno. 1940-1953 (Mondadori, 1954, 1982), Tutte le poesie 1940-1953  (Oscar Mondadori, 2004), Poesie (RCE, 2016). Altre opere (racconti, romanzi, saggi): Contadini del Sud (1954), L’uva puttanella (1955), Uno si distrae al bivio (1974), Margherite e rosolacci (1978), Giovani soli (1984), Lettere a Tommaso Pedio (1986), Scuole di Basilicata (1999), Il prezzo della libertà. Lettere da Portici (a cura di Pasquale Doria, 2015).

https://it.wikipedia.org/wiki/Rocco_Scotellaro

 http://www.centrodocumentazionescotellaro.org/biografia_scotellaro.asp

  

POESIE

Passaggio alla città
Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.
Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse dei tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio sorriso.
Addio, come addio? Distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,
querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata.

È calda così la malva
È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.

Improvvisa la sera
Improvvisa la sera ci ha toccati
me, le mie carte, la pezza di luce
sui mattoni della stanza.

È tanto imbrunito
che mi sento addosso paura.
Ha ripreso la vita
dei piccoli rumori.
Sono sui tetti le anime
dei morti del vicinato,
camminano sulle zampe dei gatti.

La luna piena
La luna piena riempie i nostri letti,
camminano i muli a dolci ferri
e i cani rosicchiano gli ossi.
Si sente l’asina nel sottoscala,
i suoi brividi, il suo raschiare.
In un altro sottoscala
dorme mia madre da sessant’anni.

Tu sola sei vera
Colei che non mi vuol più bene è morta.
È venuta anche lei
a macchiarmi di pause dentro.
Chi non mi vuol più bene è morta.
Mamma, tu sola sei vera.
E non muori perché sei sicura.

Giovani come te
Quanti ne fissi negli occhi
superbi della strada, erranti
giovani come te.
Non hanno in ogni tasca
che mozziconi neri
di sigarette raccattate.
Non sanno che sperdersi
davanti alle lucide vetrine
alle chiacchiere dei bar
ai tram in rapida corsa
alla pubblicità
padrona delle piazze.
Tanto perché il tempo si ammazzi
cantano una qualsiasi canzone,
in cui si chiamano fuorviati, si dicono
amanti del bassifondo
e si ripagano di comprensione.
Una canzone è per covare insano amore
contro le ragazze cioccolato
che sono un po’ le stelle sempre vive
che sono la speranza
d’una vita sorpresa in un sorriso.

E quanti, ma quanti
vorrebbero la luna nel pozzo
una loro strada sicura
che non si rompa tuttora nei bivii.
Quando compiono un gesto il solo gesto
son lì coi mietitori
addormentati ai monumenti
che aspettano la mano sulla spalla
del datore di lavoro.
Sono coi facchini di porto
contenti della faccia sporca
e le braccia penzoloni
dopo che il peso è rovesciato.
Son sprofondati talvolta in salotti
a far orgia di fumo e d’esistenzialismo
giovani malati come te di niente.

Spiriti pronti a tutte le chiamate
angeli maledetti
coscritti e vagabondi,
compagni dei cani randagi,
la nostra è la più sporca bandiera
la nostra giovinezza è
il più crudo dei tormenti.
Or quando la terra accaldata
ci mette addosso la smania del fuoco
nei lunghi meriggi d’estate,
è tempo di crucciarsi
di dir di sì all’Uomo che saremo
e che ci aspetta
alla Cantonata
con falce e libro in mano!

Noi non ci bagneremo
Noi non ci bagneremo sulle spiagge
a mietere andremo noi
e il sole ci cuocerà come la crosta del pane.
Abbiamo il collo duro, la faccia
di terra abbiamo e le braccia
di legna secca colore di mattoni.
Abbiamo i tozzi da mangiare
insaccati nelle maniche
delle giubbe ad armacollo.
Dormiamo sulle aie
attaccati alle cavezze dei muli.
Non sente la nostra carne
il moscerino che solletica
e succhia il nostro sangue.
Ognuno ha le ossa torte
non sogna di salire sulle donne
che dormono fresche nelle vesti corte.

Ho capito fin troppo
Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore
gl’intrecci degli uomini, chi ride e chi urla
giura che Cristo poteva morire a vent’anni
le gru sono passate, le rondini ritorneranno.
Sole d’oro, luna piena, le nevi dell’inverno
le mattine degli uccelli a primavera
le maledizioni e le preghiere.

I versi e la tagliola
Con la neve si para la tagliola
e si aspettano i gridi dei fringuelli.
La maestra ai bimbi della scuola
legge un verso d’amore per gli uccelli.
Mi piacevano i versi e la taglìola.

Padre mio che sei nel fuoco
Padre mio che sei nel fuoco,
che brulica al focolare, come eri
una sera di Dicembre a predire
le avventure dei figli
dai capricci che facevamo.
Tu pure non farai bene dicevi
vedendomi in bocca una mossa
che forse era stata anche tua
che l’avevi da quand’eri ragazzo.