Remo Pagnanelli è nato nel 1955 a Macerata, dove è vissuto e dove è morto suicida nel 1987. I suoi libri di poesia: Dopo (Forum, 1981), Musica da viaggio (Olmi Editore, 1984), Atelier d’inverno (Accademia Montelliana, 1985), L’orto botanico (6 Poeti del Premio Montale, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1986), Preparativi per la villeggiatura (Amadeus, 1988), Epigrammi dell’inconsistenza (Stamperia dell’Arancio, 1992), Le poesie (Il lavoro editoriale, 2000), Quasi un consuntivo (1975-1987) (Donzelli, a cura di Daniela Marcheschi, 2017). Con Guido Garufi ha curato l’antologia Poeti delle Marche (Forum, 1981). È autore di saggi critici sulla poesia italiana contemporanea.

http://www.remopagnanelli.it/biografia.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Remo_Pagnanelli

 

POESIE

*
L’hidalgo è stanco.
Il suo orizzonte è senza fondali,
se pure non erano parvenze quelle architetture,
e il copione già di per sé imprevedibile
non serve al suo futuro di trovarobe.
Così l’hidalgo stanco
non traccia più chimere
nell’arco del cielo e tutto
si riconnette – l’ora, il rosa
in uno smerigliato ma tenace
fluire, anche la sua bianca allegria
che pure gli sembrava prodigio inattaccato.

*
Stasera mi sembra lontano, me lo
ripetono le vele trapassate di luce,
l’orribile segreto e il muto terrore
che non entra nelle parole;
una gioia così distante e incastonata
in un fondo dorato (chi ragiona se
sia più o meno veritiera?)

Dubitativo
…ma quei due, hanno avuto il tempo di fare,
non dico, tutto quello che volevano
ma almeno di provare a farlo prima che
qualcuno li cacciasse dal treno in corsa
e sbattuti su una piana di vento
iniziassero a prendersela l’uno con l’altro,
a litigare dimenticando quell’unico dio
che ce l’aveva con loro, quell’unico occhio
che li fissava con odio.

*
A conferma di quanto detto e sostenuto prima
si lamentava della mancanza di una qualsiasi uscita
scorgendone svariate per altri, tutte comode e perseguibili –
perciò, amore, non andrà lontano…
e come potrebbe in queste condizioni…
Tutto per lui è così difficile
da risultare scontato fin dalla partenza

Bruciato presto ogni piano di difesa, ogni ponte di fuga,
(anche le vettovaglie, tipi di leccornie,
la gelatina mobilissima degli arti da recuperare),
sei bravissimo in questo
e lo sai che in questo consiste
la fattispecie, la pratica di ogni morte

Les Adieux
Infilàti in una nebbia nebbione,
tra ordini e contr’ordini gridati,
si rivedono i due vecchi amanti,
da tempo in un ipotetico oltreche.

Lui può assaporarla giovane
come ancora la sognava…
hanno l’opportunità di dire
te l’avevo detto che non finiva
…anche qui dandosi incontri che falliscono,
dove gli dei non si avventurano facilmente,
tutto retto ancora dal caso.

Ma il sospetto di stare
assistendo a un film d’infimo ordine
non li abbandona… e in qualche modo
ne sono fuori.

Comunque, per un po’ d’odore,
si rianimano al solo guardarsi,
fra le crepe rattrappite
dei loro corpi di bacca
(in una nebbia nebbione)

TOMBEAU
IV
(pensa nel sonno i sonni fanciulli, li sogna, cigni
neri di inutili cicloni? Le querce gli andavano
dietro, gli echi di lui suonavano dalle rive)
lasse celesti e lunari non castamente mortuarie
(qui) rimarginate da bassa plenitudine e bellezza,
in ciocche decrepite e tiepide urne dove gli occhi
si conservarono (anche le suole alate le sabbie dei
cavalieri)

V
dove gettano leghe di legnometallo, l’oscurità si
sgrana in solventi azzurri, in gomiti cavi di gocce
di cenere (s’animano allora le anime immobili, si
scuote il mare tornato intatto da remale mormorio)
– Chi tu sia, il mio non tronco trattieni con ospitalità
regale, le non più braccia nello stridore sgomento
di una stretta
(non la corrente ma il nuovo gelo ti spaventa,
e tu saltalo, se sei un arcangelo. . . . . . . . . . . .
corrompi e sciogli i gorghi, sporcati (poco)
nei liquami – il tuo occhio non regge la visione?
E tu saltala, se sei un arcangelo. . . . . . . . . . . .)

VIII
ora dalla tua ferita (per somiglianza figurale
isolanuvola) fluiscono acerbe ragazze dai colli
lunghi e contesi, che si spengono in una cavea
illune, traversata da un postale, dentro cui suonano
iridi felicemente orientali, dai piedi teneri e
conclusi
(in prossimità del canale si staccano una sera
qualunque teste spedite via)

XI
(una valletta di calici e coppe dischiuse)
gloria levantina scorre su stordimento e pianti
fra una moltitudine di rose travolte da increspature
– vi affonda una mano. . . . . . . . . . . .
(a mezza costa la storia ci sorpassa
ci cancella di volo negli essiccatoi
autunnali – siamo nei piovenali
abbandonati)

XII
la risacca è quella degli anni giovani, logorati
su una losanga emersa da un tiglio genius loci,
ala prediletta e luminosa fra le corde dello
scollamento

*
L’anno ha pochi giorni perfetti.
Non ci lascia mai incolumi la divinità felpata.
Noi la subiamo come l’eccessivo caldo
o il troppo freddo.
Nel corso passano senza freno i dagherrotipi
della nuova eleganza e ci portano via
le donne e la vita.

*
Che altro di strabiliante chiedevo per me,
da lasciarvi tutti così sorpresi e non piacevolmente,
niente che già non si sapesse e di cui si fosse
taciuto e da tanto.
Altri, della passata generazione, direbbe
che il corteggiamento riesce e
del resto chiedere pista e circuire
non è difficile; io nemmeno immaginerei
la morte senza rima come un verso libero.

*
Vorrei fare una lunga vacanza nella terra.
Mie notizie penerebbe il vetro del mare o qualche animale
dal mugugno impigliato nel trabocchetto del buio.
A chi volesse trasmigrerei nelle stagioni intermedie
il fresco dal mio sottocutaneo (la terra
si raffredda più presto del mare), risolto
nel minerale, spesso in simbiosi col vegetale,
assoggettato in altra specie dall’acqua che disperde
in più sciolto da ogni esperimento di corporeità.

*
Forse l’eterno è in questo dormiveglia
di calce mista a biacca senza bagliore,
che elude in inganno ogni virile
aspettazione. Piè Veloce non agguanta
la sua tartaruga né noi il tratto esiguo
d’una giornata.

Vorrei questi versi riversi come un cane
che si abbandona all’agonia.

EXILES
Uccelli di specie lontana salutano
passeggiando come foschie sopra
l’adolescente fanciullo adriatico
nell’estivo rifiorire del mare in
un’erica sepolcrale sorella all’autunno.
Gli orti sono invasi da spume presto secche.

forse è ottobre, forse autunno, non sappiamo,
quando s’inazzurrano, per celarsi, le vene
della città, le piane desiderate già al
primo caldo di pasqua, dolci e struggenti.
Scendiamo a coppie sui laghi bianchi, dalle
punte bionde e fiacche, non traslucidi ma
opachi, come noi sul punto di addormentarsi.
Ora fa buio e le candide pernici (nelle estati,
marroni e scattanti ai nostri brindisi)
s’alzano verso gli chalet delle pensioni
e i mangiatori di fiori graffiano le siepi
delle ringhiere.