Raffaella Bettiol è nata a Venezia nel 1952 e vive a Padova. Tra le sue raccolte poetiche si segnalano: L’Anima Segreta (Panda, 1997), Ipotesi d’amore (Marsilio, 2006), Una sprovveduta quotidianità (Pequod, 2008). Nel 2002 per Archinto ha curato l’antologia Il mio bicchiere da viaggio-Otto poeti italiani d’oggi. Ha scritto numerosi saggi su poeti italiani contemporanei. Ha curato, assieme a Bruno Pellegrino, la biografia: Giuseppe Bettiol-Una vita tra diritto e politica (Cleup, 2009).

raffaella.bettiol@gmail.com

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POESIE

da IPOTESI D’AMORE

L’innocenza di Dio
alle piccole vittime di Beslan
Non allontanarti
limite della mia debolezza
soglia di preghiera.
L’autunno silenzioso
rosso di rose tardive
abbandona l’estate
nel pianto di foglie abbrunate,
lento il morire
forse il respiro di un aroma nuovo,
ma quelle piccole bare bianche
inespugnabili e sole!

So l’innocenza di Dio altrove l’arbitrio,
eppure è nel sangue il riscatto della vita.

L’autunno svena gli acini al sole.

da UNA SPROVVEDUTA QUOTIDIANITÀ

Gli amori
Negli anni gli amori
resistono tenaci
o si disperdono nell’aria,
molecole infinite
di un finito amore.
Chissà dove vanno,
chi li potrà raccogliere?
Parole appena pronunciate
fuggono via veloci.
Gli altri , quelli testardi,
senza vuoti di memorie,
sfilano divertiti dinanzi a noi
incuranti degli anni.

La stanza
La nostra stanza, amore mio,
un disordine continuo,
tu getti la camicia sulla sedia
io la gonna,
cadono le calze,
i libri sui comodini
fanno bella mostra
assieme a bicchieri,
carte, indirizzi
a ciò che resta
d’un intero giorno.
Il letto spesso è sfatto,
nervosamente solleviamo coperte,
le rigiriamo, le tiriamo
ce le contendiamo
da una parte all’altra,
infine le gettiamo fuori
all’aria aperta.
Loro ci guardano un po’ sorprese
un po’ intimorite,
non sanno il perché
di tanta confusione.

Il caos, amore mio,
ha le sue ragioni segrete,
l’amore invecchia, credimi,
più in un calcolo prevedibile
di gesti, che di anni.

Orgoglio muliebre
Se tu mi lasciassi,
chiederei indietro
baci, tenerezze
le inutili lacrime
gli abbandoni improvvisi
le liti furibonde
le carte bollate.
Riempirei, insomma,
la valigia dei ricordi
per sotterrarla nel giardino
sottostante il garage
discarica di sogni.

Me ne andrei allora
persa e libera per la città,
superba gatta soriana
senza ombre né dubbi
con-fusa tra la gente.

INEDITI

La morsa del freddo
a Salvatore
A Ancora spoglie le acacie,
la morsa del freddo non cede,
illividisce l’aria.
Più scure dell’ebano bruciato
oscillano le ortensie,
steli secchi alle folate del vento.
Tu non puoi tornare,
altra la tua stagione!
E tutto forse ormai
è passato.
Ma il ricordo insiste
s’annoda al cuore,
al mese di giugno,
il tuo,
al rosso vivo dei papaveri
sulle distese dei campi,
ai piccoli uccelli
che volano basso
fra rami e cespi,
nubi sperse nel verde.
Al mare che ondula
dolcissimo come il cielo,
alle tue mani di salsedine sulla sabbia.

Il mito di Fidia
Scivola il pareo
sulla sabbia bianca
fra gli esili steli dei gigli
nel vento di resine che sale,
nell’azzurro assoluto
che squadra il cielo.

Silenziosa lei incede
sull’acqua, esile il corpo
ma no, non acerbo,
sfuggono le caviglie
alla presa delle alghe,
abbagliate di luce
la sfiorano appena,
umide e verdi foglie
incidono il mare.

Negli occhi vividi
il turgore d’un paesaggio
che l’estate infiamma
d’un eros possente ed antico,
ma non conosce ancora il tempo
che scolora i giorni,
eppure in lei di Fidia
rivive il mito.
Cerchiano i pini nell’irreale quiete
l’assolata spiaggia
e fugge, cerca un riparo
fra i sassi levigati d’acque
un piccolo granchio.

Il gioco arrendevole
Il mio, il tuo volto
nello specchio
mutevole della laguna,
nel gioco arrendevole del sole.

Ti guardo,
non vorrei lasciarti,
il giorno chiama alla vita
abbagliato di luce.

Sulla ghiaia piccoli passi furtivi,
forse dei colombi
all’ombra d’un paesaggio
che ogni cosa dissolve e imbeve
dentro l’aria
melanconiosa di salso.

In un disordine d’azzurro
l’acqua lambisce le rive,
balugina d’alghe fatate,
schianta
sul peso dei ricordi.

Ed io vorrei che i miei
i tuoi occhi
non fossero mai velati
dal dubbio di non amare
di non essere amati,
ma il tempo leviga i selciati
i nostri sguardi consuma
di ora in ora.

Sale una lieve bruma
due giovani risplendono
nell’ebbrezza del vento
che li sferza,
incuranti d’un inquieto destino.

Un bacio
In un chiarore irreale
svanisce la laguna,
su barene deserte
tremula la carne dei gabbiani.
Nei densi cristalli della galaverna
ora si è fermato
l’azzardo del tempo,
tu non puoi oltrepassarlo.
Aldilà della riva devi rimanere
dove il sole colma i giorni
e gli alberi implodono
di foglie e colori.

Le tue mani s’ arrestino lì
dove inizia a morire la luce,
anche se vorrebbero violarla,
sfidare l’impossibile.

Galleggia sull’acqua
una rosa carminia
immobile,
nessuno l’ha mai violata.

Ciò che resta è quel bacio
nel suo inizio
nel suo perdurare
infinito.

Un trench ingiallito
Un trench ingiallito
alla Spencer Tracy indossi
mia vecchia strada,
non si è scrollato le nubi
dalle spalle il mattino,
e no, non cessa la pioggia.
Ti guardo, assorta
non fumi sigarette,
salgono dai camini
nuvole dense e grigie
vapori e gas.
Tutto si nasconde e confonde,
come un malato abbandonato
a fatica respiri
incatenata all’inverno
all’incuria, alle piogge.

Nulla riesce a risvegliarti
se non i sogni
le parole innocenti,

ridono piano i ragazzi
prima di darsi un bacio.

The pungent breath of orange blossoms
Night is lit up by the fishing lamps
in the pungent breath of the orange blossoms
from the orange groves suspended in the valley
immersed in the saline air
of the thirsty
land, seed of a deserted body.
Among the rocks of water, the tufts of grass,
the light step of Lesbia is heard,
the mad jealousy of Hera
betrayed at the altar,
and the Sapphic echoes
of a harp in weeping lament.
Time has emptied many an hourglass
along the spasms of the white shores
where the Pythagorean dream
drags the moon into the immortal
cistern of the soul.
The sun’s tears fill up
the grooves left by Norman horses,
by Arabic poetry petrified
in memory’s marine caverns.
Carts of death, asphodels of blood
have forged you in the cruel harshness
of days without disarmament
in the pallor of stars
fading in the dawn.
And from the sea-blossoming almonds
the goddess pursues
the fading lights
in the magic of rising night
in the restless tossing of boats.

Venice
In the white lagoon’s ancient light,
eye now almost lifeless
edge of brackish water,
a black gondola beyond the crowd
rests silently,
while the sun dies in the blanket
of clouds abandoned to the heat
of a late, lost summer.
Already, the roses wither
on the marmoreal windowsills
and the petals fall on the spent shores.
The lagoonal wave laps the dark
sadness of my life
and a silent mask is reflected
in the brilliant light of a carnival
still hidden in the night
from an uncertain future:
I cannot decipher
if it’s my face or my soul,
the emptiness has worn out its edges.
And now night falls on the puddle
left by the high tide of sunset,
on the canals seared by the eternal thirst
of a snowy brightness of newly born dawns.

The gown
The gown you knew
I wear
like then
in a night of fog
black and dense, the silk between tbc fingers
the hands lingering
over tbc folds now crushed
along the free shadow of tbc legs
perhaps it was the dark womb of love
perhaps its restless solitude
calling us…

but now the room is empty
in a light that dies
discarded rag, tbc gown
on the hard wood of a chair

still I wear it again
in a night of fog
like then
and it madly spins
it forgets of a different time
that each hour quietly
falls…

Suffering
for Frederick Garcia Lorca
You die and a black angel appears!
The canker flowing on the beach
was delirious-suffering.

Far away in an asphalt could
the barking presages
the dawn of the third day
but already in the grave the body
feeds the flesh of the lilies.

The moon opens a passage
along tbc crepe of night
to bear a guitar’s Lament,
the bones of wood carefully laid
on the damp thole pins of earth
still echo
in the funeral dance of the cicadas.

Meanwhile, the neighing of the colts
bathed in the water fallen
from the water-wheel of death rises.

In the sea-made bed
the waves gasp
to the screeching of the chains
hurled against the tender limbs
of a child.
(Trad .Emanuele di Pasquale)