Raffaele Crovi è nato nel 1934 a Paderno Dugnano, è cresciuto a Cola, frazione del comune di Vetto (Reggio Emilia) e dal 1952 si è trasferito a Milano, dove è morto nel 2007. I suoi libri di poesia sono: Serenità di lacrime (1951), La casa dell’infanzia (1956), L’inverno (1959), Fariseo e pubblicano (1968), Elogio del disertore (1973), Genesi (1974), L’utopia del Natale: 1974-1979 (1982), La vita sopravvissuta (2007). I suoi libri di narrativa: Carnevale a Milano (1959), Il franco tiratore (1968), La corsa del topo (1970), Il mondo nudo (1975), Fuori dal paradiso (1982), Ladro di ferragosto (1984), La convivenza (1985), La valle dei cavalieri (1993), La parola ai figli (1994), Il santo peccatore (1995), Appennino (2003), Cameo (2006). Ha lavorato nell’editoria (Einaudi, Mondadori, Rusconi, Camunia, Giunti, Aragno), nel giornalismo (“Avvenire”, “Corriere della Sera”, “il Giorno”) e alla televisione (programmi culturali della RAI di Milano).

https://it.wikipedia.org/wiki/Raffaele_Crovi

 

POESIE

Cibo
Si sta a tavola
per fare festa
con l’odore
per nutrire
di sapore i sentimenti,
per tessere in testa,
con il calore
del cibo, una favola.

Al cine
Quand a s’era dressa a blazer
dal brontolino sud a l’orba.
deninter a Politeama Mariani
in na scena prenda dla tela
un SS l’a tale la gola.
in della ed ter,
a un cantarein e al so nimel.
Al sanguev viv di du ninni
al s’ strenne in dla melta scura
e tut in un col la me boca
la s’è impida
dla salia acida ed la paura.

Al cinema
Mentre masticavo tranquillo
semi di zucca seduto al buio
nella platea del Politeama Mariani
sullo schermo in un’orrenda sequenza
una SS ha sgozzato.
sull’aia sterrata
di una casa colonica,
un contadino ed il suo maiale.
Il sangue vivo delle due creature
si è perso nel fango morto
e di colpo la mia bocca
si è riempita
dell’acida saliva della paura.

Merchee
Me peder al merchee
al vendiva al sutani e al ciacer:
incontro a m’adagh
che al pelch
dal Teater Asioli
l’è una piasa magica;
lasso j’ator
i van indrè e avanti
per cuntrater
schers e sentimeint
di sulle e di amanti.

Mercato
Mio padre al mercato
vendeva sottovesti e parole:
oggi scopro
che il palcoscenico
del teatro Asioli
è una piazza magica;
dove gli attori
contrattano
spostandosi indietro e avanti,
beffe e sentimenti
di guerrieri e di amanti.

Amigh
I s’incuntren
per scherser
e j stan insem
per parler
A deres reta
na giurneda
la n’è mai finida:
j’amigh j’insegnen
a fer al pit
a la veta.

Amici
Ci si incontra
per scherzare
si sta insieme
per parlare.
In compagnia
una giornata
non è mai finita:
gli amici insegnano
a corteggiare la vita.

La vita sopravvissuta
Il tempo futuro
non è la tua vita futura:
ci sarà chi al tuo posto
costruirà e vivrà
quel che chiamiamo avvenire.
Futuro è il tempo di un verbo,
futuro è uno spazio da esplorare,
futuro è progetto
di quello che verrà.
Dei giovani o dei vecchi?
Chissà.

Da quando l’innocenza
Da quando l’innocenza
dell’infanzia è stata violata,
la cometa è scomparsa,
non è più tornata.
Le ansie sono state cancellate,
le fiabe decifrate:
senza dubbi sul bene e sul male
non ci sarà più Natale.

Con un vocabolario di morsi e parole
Con un vocabolario di morsi e parole,
di graffi, di baci, di amplessi
riusciamo a profanare
la coerenza, a vincere i complessi,
in un’esplosione di calore
che fa semenza ed emulsiona il cuore.

Da te diviso
Da te diviso
sono come spaccato a metà,
senza il secondo occhio
per mettere a fuoco la realtà.
La tua presenza, il tuo contatto
estendono il mio udito e il mio tatto.
Guidato dai tuoi gesti e dalla tua voce
mi schiodo dalla croce.

Figli
Sono stato educato
dalle parole di mio padre,
voglio essere rieducato
dalle parole dei miei figli:
non da rimproveri o consigli,
ma da argute malizie,
da astute provocazioni.
Non voglio che perdano tempo
a imitarmi,
spero trovino un’allegra ironia
per guidarmi.

Temperanza
Vorrei essere
un uomo confidente,
che l’amore consacra,
un ansioso credente
che ama e dissacra.

Non mi fido della memoria,
mi affido alla Provvidenza,
credo alla storia,
rifiuto l’obbedienza.

Una casa
Se abbandonate,
se deserte di voci,
se vuote o disabitate,
le case si ammalano,
cominciano a creparsi,
a sgretolarsi, finché diventano
un cimitero senza croci.
Perciò, almeno una volta
al mese io vado a trovare
la mia casa di campagna,
la mia solida compagna
degli anni di ragazzo,
la testimone disinvolta
delle inquietudini della gioventù:
non c’è finestra, stanza, davanzale,
in essa, a cui non abbia dato del tu.
Magari le faccio visita
senza entrare,
ma ne accarezzo i muri,
dicendo: «Sta buona, sono qui intorno,
potrai imprigionarmi, se vuoi,
la prima volta
che farò ritorno,
ma intanto non nutrirti
della muffa verde che sbuca
dalle tue pietre, combatti il tempo –
intacchi, se vuole, i calanchi,
ma non i tuoi solidi fianchi –
tu resisti, mansueta, io arrivo,
non chiuderti come una tomba,
lascia aperta la soglia,
perché entri a far riposare
il mio corpo stanco
nella tua stanza più spoglia».