Pietro Spataro è nato nel 1956 a Roma, dove vive. Le sue raccolte di poesia: Al posto della cometa (Facchin, 2002, con prefazione di Francesca Sanvitale) dal quale il maestro Luciano Sampaoli ha tratto i testi per un ciclo musicale intitolato “Le cometine”; Cercando una città (Manni, 2006, con prefazione di Pietro Ingrao, Premio Internazionale L’Aquila). Giornalista, nel 1978 ha inziato a lavorare a “l’Unità” dove ha ricoperto l’incarico di Vicedirettore. È stato responsabile, negli anni Novanta, de “l’Unità 2”, il secondo quotidiano di cultura e società al quale collaborarono alcuni tra i più importanti scrittori italiani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Spataro

pietrospataro@hotmail.com

 

POESIE

Dicono della libertà, pensaci
perché siamo liberi o perché
siamo liberamente prigionieri?

Oppure: dandoci una scelta
o illudendoci di scegliere il già scelto?
Trent’anni dopo se il mondo, chiediti

è come sognavamo oppure il sogno
ha travolto precipitando fuori
la compagnia dei sognatori

Un falegname
Mio padre abita il legno
conosce le sue stanze
i suoi lineamenti
forse anche la vita che
lo attraversa e conduce
la trasformazione
Sa come prenderlo
come farlo piegare
come spezzare le sue
incresciose rigidità
A volte lo combatte
lo domina, lo picchia
poi lo accarezza,
lo protegge con le sue creme
e aspetta che prenda forma:
allora lo custodisce
come fosse un figlio suo
o la sua segreta vita

La borsa dei ferri
La tua borsa nera era
un fantastico ritrovo
aperta cercavo pinze
tenaglie, chiodi da sei
– non sapevo mai
quali fossero davvero –
il martello, la levigata
armonia della pialla
il segaccetto, la sciabola
il punteruolo, la raspa
il trapano a mano
le viti, il dado, il cacciavite
Tutto saliva lentamente
sulle mie mani incerte
verso le tue sicure
per dare forma all’informe
all’indefinito legno
appena nato

Uno in più
Da oggi sei un esubero quindi
non sarai più esuberante
perché non trovi alcun motivo
o eccitazione nel vederti
tagliare via come escrescenza
Non hai nemmeno un nome certo
– operaio, licenziato, uomo
in mobilità, disoccupato? –
Avessi fantasia nel disperato
faresti di te un’ode o un canto
nuovo pastore errante
nella modernità che lascia
residui, rifiuti o annullamenti
della vita resti significanti

Cogito
Pensando costruisco
l’artificio, il danno
metafora della realtà
o similitudine
O forse trasformo
il pensiero nell’assunto
facendo della realtà
un presunto

Cercando una città
Cercando una città
dove vivono i poeti
si canta nelle strade
e nelle case si apre
la porta a ogni passante
dalle finestre si aspetta
il ritorno di quelli
che erano partiti un tempo
Poi si leggono i libri
sulle panchine in piazza
ognuno recita il suo ruolo
il vigile non vigila
sulle infrazioni ma tiene
a bada la frotta dei lettori
e degli ascoltatori
E si immagina il domani
che sarà giorno forse
più lungo, più sereno:
una libera corona di parole
levigate dai respiri

Pienza
Qui c’è una via dell’amore
che conduce parallela e lenta
alla via del bacio proprio all’inizio
della via della fortuna
Tutte scacciano via buia
precipitando sulla terrazza
che pare appesa al mare
invece è valle sconfinata
Cipressi, terra d’ocra, tetti
giù fino al torrente caldo
che costeggia la francigena:
è terra d’aspri contrappunti
questa, serena di ampi respiri
terra di vita, di ritrovamenti
compiuti quando viene sera
e le curve rotolano leggere
rinascendo al percorso
della luna alta sul dorso

Orazione
E’ accusatoria l’orazione
vendicativa, sanguina
come fosse una ferita
viva dettata dallo sbrego
in una carne già snervata

Camerata bianca a vista
letti d’acciaio ripetibili
la flebo che s’agita
appesa al suo paletto
poi dalla finestra

irrompe l’indicibile
fioritura della stagione

Cerchio
Cercando in giro il mondo
catturo il sentiero dominante
struttura convessa, sfera
equa posizione di percorsi
Ritrovo a fine giro un senso
nel cerchio dell’esistenza:
la distanza è un filo avvolto
su se stesso, eterno ritorno
comprensione di destini
racconto di umanità, futuro

Ottagono
Prismatica ripetizione di destini
specchi riflessi sui lati brevi
tempi per la ricognizione
della stagione, necessità:
il caso è un lento scivolare
in otto angoli aperti e vivi
come braccia in forma
di accoglienza
L’ottagono è città multipolare
trionfo di culture, di saperi
incontro di diversi, uguaglianza
curiosa esplorazione
sinfonia di nomi nuovi
città del sole, liberazione

Il pensiero della bomba
Non sa la bomba l’indirizzo giusto
non sa dove abita la vita
inerte porta morte, veloce infilza
spalanca corpi, squarcia la storia, s’innalza
potere sul mondo, verbo da accoppiare
– coniugando i tempi del morire –
Forma di illimitato annientamento
nasce dove nidifica il deserto

Ritrovamento
Al tuo seno non ci avevo pensato
né ai brividi di vederlo vivo
pensavo alle labbra, al cuore aperto
al percorso del tuo fianco, alla pelle
Ora sto nel tuo corpo
come una sciarpa nuova

Scena prima
Derive o approdi
fantasmi di marine
uomini indecenti
nel feroce assalto
vele ferite al vento
dove la notte cade:
la terra allora appare
nero porto sepolto

Preghiera civile
Abbiate pietà di noi
dispersi senza scienza
nella furia dell’epoca
perdonateci gli errori
alleviate a noi i dolori

sopportate gli avari
commerci di uomini
i fiochi sentimenti:
noi qui siamo stranieri
persino nei nostri

quotidiani pensieri
perduti in una terra
che più non trova
la fonte delle vena
nella guerra nuova

Terre da avvistare
I poveri hanno confini labili
li proteggono con cura
– sapientemente –
aspettando che arrivi una lettera
da lontano a portare notizie
del ritrovamento

Confessione
Io non ho rimorsi per aver letto
la filosofia di Marx o i quaderni
del carcere di Gramsci, oppure
aver deviato inseguendo l’eresia
di qualche altra umana filosofia
Non ho delitti da chiedere perdono
nemmeno pentimenti da recitare:
ho cercato una città che cerco
ancora oggi che è così misurata
la passione, smilzo il breviario
di questo pacato andare in ordine
senza più lo scarto nemmeno
di un’avanscoperta sul terreno

30 maggio
La penombra ricordi
nel quadrilatero sghembo
intermittendo le luci
nell’attimo
il bacio imprevisto
bruciò labbra di cuore
Poi la mano percorse
la duna destra
del tuo seno ancora
sul sentiero dell’alba
Innamorando piegammo
il passaggio dell’epoca
nell’ultimo quarto
dell’ultimo secolo

10 aprile
Lascia che la Senna lacrimi
lascia che Place des Vosges sanguini
lascia che Saint Germain sconforti
sfiorando dedali per noi finora
di vita senz’onda di pianto
Come malinconici orologi
battendo il tempo che manca
siamo sul tramonto di Parigi
immobili sull’orlo di Parigi

2 luglio
Glaciale il mantello
scende a dar letargo
alla pelle del giorno
C’è calma di tempo
l’assoluta calma
senza braci